INTERVISTA A MARIO MAURO, VICEPRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO.
Giornale del Popolo, 29 settembre 2006
Onorevole Mario Mauro, lei è parlamentare europeo dal 1999 e da questa legislatura è vicepresidente dell’assemblea di Strasburgo; come giudica, da cattolico, questi anni passati nelle istituzioni europee?
Negli ultimi dieci anni ho potuto notare un crescente sentimento anticattolico nelle istituzioni dell’Unione Europea, come testimonia una serie di azioni di cui, purtroppo, l’opinione pubblica è rimasta all’oscuro.
A cosa si riferisce?
L’esempio forse più eclatante è stato il voto con cui il 13 marzo 2002 il Parlamento Europeo ha adottato un rapporto su “Donne e Fondamentalismo” redatto dal Comitato per i Diritti delle Donne e Pari Opportunità. Da una prima lettura del documento i destinatari sembravano essere i regimi fondamentalisti di matrice islamica che non garantiscono parità di diritti fra uomini e donne. L’intenzione più evidente era quella di rompere i rapporti con i Governi che non permettevano la partecipazione delle donne ai propri organismi decisionali. Un obiettivo a prima vista politicamente sacrosanto. Ma per come veniva formulato il problema, alla fine il solo Stato al mondo che risultava proibire l’accesso delle donne ai propri organi di governo era il Vaticano. Dunque l’unico risultato pratico di questo progetto di legge votato dal Parlamento sarebbe stata l’espulsione del Vaticano dagli organismi internazionali, lasciando la Chiesa senza alcuna voce nell’ambito delle relazioni internazionali. Questo attacco non è stato comunque la sola azione espressa dal Parlamento Europeo contro il Vaticano. Negli ultimi 10 anni sono state presentate 19 interrogazioni scritte alla Commissione Europea contro la Chiesa o il Vaticano, 5 Relazioni e 4 Proposte di risoluzione che hanno “attaccato” posizioni della Santa Sede. In sintesi quasi 30 occasioni in cui il Parlamento Europeo ha attaccato la Chiesa o le posizione del Vaticano. Per rendere l’idea delle proporzioni di questa offensiva basti dire che il numero di interventi riguardanti i regimi dittatoriali e sanguinari di Cuba e Cina è inferiore a quello nei confronti del Vaticano.
Ma qual è il contenuto di queste prese di posizione?
Vanno dalla richiesta di non ingerenza nelle materie come il matrimonio o la vita alle posizioni che rimproverano l’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli omosessuali o dell’uso del preservativo per la lotta all’AIDS. Ma anche richieste di sospendere i finanziamenti dell’Unione a istituzioni cattoliche. In sostanza si vuol far passare per “fondamentalista” la semplice espressione di un credo religioso. Il mancato riconoscimento delle radici cristiane nella Costituzione europea è solo l’esito più evidente di un clima ormai molto radicato nelle istituzioni di Bruxelles.
Una situazione preoccupante…
Ma io non sono preoccupato né per i cristiani né per il cristianesimo, sono preoccupato piuttosto per la democraticità delle istituzioni, che sono frutto di quell’insegnamento che ha separato nettamente religione e politica, e che è insito nel cristianesimo stesso. Quando Gesù rende chiaro a tutti di avere distinto tra ciò che bisogna dare a Cesare e ciò che bisogna dare a Dio, pone le fondamenta dell’esercizio della libertà, quindi di un habeas corpus, come di ciò che della persona resta impenetrabile al potere. Sacrificare questo sull’altare del politicamente corretto significa far risultare politicamente scorretta l’esperienza della libertà. Le nostre istituzioni sono il frutto di una separazione convinta, completa e articolata – che non è mai ostracismo – tra religione e politica. E le radici dell’Europa sono radici cristiane perché serbano questo particolare accento della libertà che è poi il cristianesimo stesso. Questa ricerca del politicamente corretto a tutti costi sembra oggi quasi incomprensibile, non tanto perché nasca da una particolare ostilità verso il cristianesimo, ma piuttosto perché è espressione di una più profonda ostilità verso la libertà.
Questo atteggiamento è politico o deriva da una mentalità diffusa nell’Europa “già” cristiana?
Nel corso dei lavori preparatori della Costituzione europea ebbi l’occasione di scambiare due parole con Giscard d’Estaing, Presidente della Convenzione per la Costituzione, che mi fece notare come i cattolici praticanti nei 25 stati dell’UE rappresentassero solo il 3 per cento per cento della popolazione e che dal suo punto di vista, tenendo conto di questa percentuale, avrebbero già conseguito abbastanza. In politica quello che conta sono le relazioni di potere ed è certo che se le radici del nostro continente sono cristiane è altrettanto sicuro – a questo punto – che i cattolici in Europa contano molto meno delle proprie radici, come è stato ancora una volta dimostrato dal caso Buttiglione, da cui è emersa una chiara indicazione: «i cristiani ai leoni». La decisione della Commissione “Libertà” del Parlamento europeo contraria alla nomina di Buttiglione ha significato che ogni buon cattolico che manifesti la propria fede senza reticenza non sia idoneo a ricoprire incarichi al vertice dell’Unione e che tra il cristianesimo cattolico e i principi in cui si riconoscono le istituzioni europee esiste una incompatibilità sostanziale.
Come giudica le reazioni dei politici europei alle proteste contro il discorso del Papa a Regensburg?
Il Papa non ha fatto altro che invitare al dialogo e il suo discorso è stato frainteso. Fa specie che manchi all’appello dei difensori delle parole del Vicario di Cristo il nome di tanti, troppi, che hanno responsabilità politiche. Quasi che la politica si vergognasse o fosse vigliacca nel difendere la ragione e la libertà.
E lei come ha reagito?
Nei giorni scorsi ho inviato il testo del discorso del Papa a tutti i miei colleghi eurodeputati nella speranza che venissero evitate strumentalizzazioni future e che il Parlamento europeo assumesse una posizione chiara a sostegno della libertà di parola e di espressione.
Risultato?
L’Europarlamento si è rifiutato di intervenire sulle accuse fatte a Benedetto XVI. Nella riunione dei presidenti dei gruppi politici non è passata la mia proposta in cui chiedevo una risoluzione o almeno un messaggio di solidarietà per sostenere la posizione del Vaticano. Il presidente dell’Europarlamento, lo spagnolo Josep Borrell, ha così escluso questa iniziativa dalla sessione plenaria in corso in questi giorni a Strasburgo. Borrell mi ha fatto sapere che soltanto uno dei leader dei gruppi si è detto favorevole. Sono irritato soprattutto perché l’Europarlamento, in genere, non lesina di certo la sua solidarietà.
Torniamo alla Costituzione europea: Angela Merkel sostiene che verrà riscritta inserendo un cenno alle radici cristiane, Aznar invece non crede che sia opportuno rilanciare il processo costituzionale. Chi ha ragione?
L’entrata in vigore della Costituzione è stata rinviata senza trovare il coraggio di entrare nel merito di un brutto testo che ha sancito un pessimo accordo. Il problema non è l’allargamento dell’Unione. Il problema è quel che nella Costituzione c’è scritto e che esprime ciò in cui l’Europa crede. Si tratta di stabilire qual è il cemento su cui costruire l’allargamento. Quel testo è figlio di una generazione di politici che temono tutto e il contrario di tutto, perché piegati alla logica del consenso e dell’esercizio del potere fine a se stesso, privo di grandi ideali. Nella maggior parte degli Paesi membri oggi sarebbe difficile assicurare un “sì” referendario alla Costituzione. Mentre una volta la gente aveva l’impressione che dall’Unione europea provenisse tutto il bene possibile, oggi la situazione si è capovolta. Segno evidente del fatto che il problema più grande consiste nell’incapacità di restituire dignità all’Europa dei popoli. Per troppo tempo tutto è stato sacrificato in favore delle burocrazie nazionali perverse che poggiano su Stati malati di sovranismo e allo stesso tempo inguaribilmente nemici dei propri popoli, tanto da tollerarne la desertificazione culturale e morale attraverso l’approvazione di leggi inique, come nel caso di Zapatero in Spagna.
Dunque come se ne può uscire?
C’è la necessità di un’iniziativa politica che sblocchi l’impasse nel quale si trova il processo di ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa da parte degli Stati membri. Considerando che il modello “Convenzione più Conferenza intergovernativa” ha dimostrato di non essere in grado di rappresentare adeguatamente le istanze dei cittadini europei, insieme ai miei colleghi del PPE, sto lavorando per proporre un nuovo Progetto connotato da un forte ancoraggio nazionale, con il massimo coinvolgimento possibile delle opinioni pubbliche nazionali, della società civile a livello nazionale. È stato questo uno dei punti deboli della Convenzione: essere troppo europea e poco nazionale.
Molti criticano l’Unione europea perché avrebbe tradito gli intenti dei suoi padri fondatori. È vero? E se sì, qual è il modo per avviare di nuovo l’Unione su quella strada?
L’Europa sta perdendo il proprio orizzonte, la propria dimensione. Dopo l’era Kohl l’Europa è stata dominata da politici senza il coraggio necessario per poter generare il domani e senza la forza per poter mantener fede alla costruzione politica creata poco più di cinquant’anni fa da Adenauer, De Gasperi e Schumann. Una generazione di politici giunta a un’idea di Europa, bocciata dai referendum francese e olandese, per cui l’integrazione è diventata un valore in sé senza che ad essa venga associato un vero contenuto. Una scatola vuota, insomma. Paradossalmente ritengo che parte di quello che è stato fatto in cinquant’anni di paziente e complessa costruzione europea abbia, in qualche modo, dissipato l’intuizione originaria di Adenauer, Schumann e De Gasperi, anziché inverarla. L’Europa è sempre più lontana da come l’avevano immaginata i padri fondatori, radicati saldamente nell’esperienza cristiana. La storia recente della UE è una somma di delusioni. L’ultima, mi spiace doverlo ammettere, viene da Tony Blair che a luglio 2005 – all’inizio del semestre di presidenza britannica – aveva fatto un discorso coraggioso e rivolto al futuro.