dal Giornale del Popolo del 24 maggio 2007
Jacques Rogge, presidente del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), era stato categorico: vogliamo «il pieno rispetto dei diritti umani in Cina» prima di celebrare in questo Paese le Olimpiadi del 2008. A poco più di un anno dall’apertura dei Giochi nulla sembra essere cambiato dalle parti di Pechino: libertà di espressione, libertà di religione, rispetto della vita e delle minoranze. Nulla di nulla. A stare a quel che Amnesty International riporta nel suo rapporto per il 2006 pubblicato ieri, in Cina vi sarebbe stato addirittura un peggioramento nel campo dei diritti umani. «Un numero crescente di avvocati e giornalisti sono stati ostacolati, arrestati e imprigionati – dice Amnesty –. Migliaia di fedeli che praticano la loro fede al di fuori delle chiese ufficiali sono stati perseguitati, molti sono stati arrestati e incarcerati. Diverse migliaia di persone sono state condannate a morte e giustiziate. Migranti dalle aree rurali sono stati privati dei loro diritti fondamentali. Sono continuate le dure repressioni contro gli Uiguri nella Regione Autonoma dello Xinnjiang, e la libertà di espressione e di religione è stata severamente limitata in Tibet e per i tibetani». Se è questo che il CIO intende per «pieno rispetto dei diritti umani» c’è davvero da preoccuparsi. Paradossalmente per Pechino l’organizzazione dei Giochi Olimpici è stata un’ulteriore occasione per calpestare i diritti dei propri cittadini. Basti vedere come si sono mosse le ruspe nei cantieri che affollano la capitale cinese. Per realizzare alberghi e sedi olimpiche in centro, da anni Pechino è sottoposta a una violenta trasformazione urbanistica. Vecchie case attorno al Palazzo imperiale – perfino alcune ville di mandarini del 1400, ma ormai ridotte male – sono state demolite; gli abitanti, giunti al tempo di Mao dopo il terremoto di Tangshan nel ’76, espulsi con la forza. Alcuni sono stati perfino prelevati nella notte e trasferiti nelle campagne: l’indomani la polizia li ha trovati e imbavagliati. Nel frattempo le loro abitazioni sono state distrutte. Almeno 200mila pechinesi hanno dovuto accontentarsi di un irrisorio risarcimento da parte del Governo della città, insufficiente anche per affittare una baracca in periferia. Tutte le denunce sono state messe a tacere. Anche la periferia è in balia delle ruspe. Per far nascere i nuovi villaggi olimpici attorno alla circonvallazione, si stanno distruggendo circa 300 villaggi fatti di lamiera e legno, che poco si adatterebbero agli avveniristici impianti sportivi. Amnesty International denuncia una vera e propria campagna per scoraggiare i migranti a risiedere nella capitale e riferisce che le autorità municipali hanno discusso di un piano per l’espulsione di milioni di lavoratori migranti dalla città fino al termine delle Olimpiadi. A questo si aggiunge la decisione di chiudere tutte le oltre 200 scuole private per i figli dei migranti per scoraggiare i lavoratori clandestini a risiedere a Pechino. Chi solo prova a denunciare questa situazione viene costretto al silenzio. «Le autorità – si legge nel rapporto di Amnesty – hanno moltiplicato le misure di repressione contro i giornalisti, gli scrittori e gli internauti». La censura di internet ha raggiunto un grado di raffinatezza che non ha paragoni nel mondo, anche grazie all’appoggio di giganti occidentali come Yahoo, Google e Oracle. Mentre per i giornalisti stranieri è sempre più difficile entrare in contatto con la gente comune, anche perché chi prova a collaborare con la stampa straniera viene presto preso di mira. Oggi la Cina può vantare molti record e quello di sciorinare numeri astronomici in qualsiasi campo è diventato lo sport preferito dal Governo di Pechino: abitanti, crescita economica, sviluppo industriale, infrastrutture. Ma tra i vari campi in cui la Cina non è seconda a nessuno è quello della pena di morte. Secondo Amnesty International solo l’anno scorso sono state condannate a morte nel Paese almeno 2790 persone, mentre le esecuzioni di cui di ha avuto notizia sono 1010. In novembre, per la prima volta, il Governo ha ammesso che la maggior parte degli organi utilizzati per i trapianti appartengono ai condannati a morte. Di fronte a una situazione così imbarazzante in Occidente molti si stanno chiedendo se sia davvero il caso partecipare a una festa organizzata da un ospite così spietato con i propri cittadini. La proposta di un boicottaggio di Pechino 2008 è sorta agli onori della cronaca perfino durante il dibattito che ha preceduto l’elezione del presidente della Repubblica francese. La candidata socialista Ségolène Royal – sulla scia della provocazione dell’attrice e ambasciatrice dell’ONU Mia Farrow – si è detta favorevole a disertare l’Olimpiade a causa della connivenza del regime cinese con il Governo sudanese, colpevole del genocidio in Darfur. Insomma: se boicottiamo Pechino facciamolo per le sue responsabilità in Darfur e non per i suoi problemi interni. In questo modo, però, si finisce per accusare gli sponsor ufficiali dei Giochi e si dice nulla delle aziende occidentali che quotidianamente sfruttano il lavoro di chi in Cina è trattato come carne da catena di montaggio. «Se l’Occidente vuole boicottare – scriveva padre Bernardo Cervellera sulle pagine di Avvenire – deve boicottare anzitutto se stesso e i suoi rapporti iniqui con Pechino: per essere credibile, il boicottaggio deve costare qualcosa a noi stessi». «Per questo – continua il direttore di Asianews – meglio sarebbe che tutti coloro che commerciano con la Cina stilassero contratti cui collegare condizioni etiche: migliore trattamento degli operai, libertà di associazione, libertà di religione per le comunità locali, liberazione di qualche dissidente ». Per Cervellera, dunque, il problema non è tanto l’opportunità o meno della passerella olimpica, quanto una seria inversione di rotta nell’approccio dell’Occidente economico e politico nei confronti dei palazzi di Pechino. Manca poco più di un anno a quell’8/08/2008 (nella superstiziosissima Cina, l’8 è un numero fortunato) quando si apriranno i battenti dell’evento sportivo più importante a livello planetario. Nessuno, probabilmente, troverà il coraggio di restare fuori dal gioco. Ma non è detto, che qualcuno decida di giocarlo in modo diverso.