dal Giornale del Popolo del 31 ottobre 2007
In Russia parlano di “coma demografico”. Tra il 1992 e il 2005 il Paese ha perso il 16% della popolazione, 11 milioni di abitanti. Oggi sono 142 milioni, e di questo passo il Cremlino calcola che tra dieci anni scenderanno a 135 milioni. Per questo quel milione e 400 mila aborti nel solo 2007 appare ancor più allarmante a chi pensa al futuro della Russia. Così, senza neanche aspettare il normale iter legislativo, la ministra della Salute Tatiana Golikova ha deciso di ridurre per decreto il diritto all’aborto. Resterà legale solo per gravi ragioni mediche, per incesto o per stupro. Cade, da un giorno all’altro, l’interruzione di gravidanza per cause sociali ed economiche.
La storica decisione (l’Unione Sovietica fu il primo Paese a legalizzare l’aborto, ed è il primo a decidere di tornare sui suoi passi) giunge dopo anni di proclami natalisti delle autorità, come quello del governatore di Ulyanoysk – città natale di Lenin – che invitava i cittadini a prendersi un giorno di vacanza per «dare un figlio alla patria». Non ci illudiamo: le ragioni della marcia indietro del Governo russo non sono tanto di tipo etico, ma piuttosto di natura economica e sociale. L’incubo che si vuole fugare è quello di un’implosione demografica che potrebbe mettere in ginocchio questo immenso Paese ricco di risorse naturali, ma sempre più povero di “forza lavoro”. Quel che in Occidente accade più lentamente grazie ai flussi migratori, in Russia assume dimensioni allarmanti. Per ora è stato inutile provare a convincere le donne a fare figli offrendo loro sussidi e fondi pensionistici. Pochi soldi, infatti, non permettono alle famiglie con figli di barcamenarsi a cavallo della soglia di povertà. Così si è passati alle maniere forti e, per prima cosa, si è deciso di ridurre drasticamente il diritto all’aborto. Qualche mese fa il presidente Putin ha posto fra le emergenze nazionali la crisi demografica e ha fatto appello ad un ritorno alla “famiglia tradizionale”. Appello assai bizzarro se si pensa che gli adulti russi sono cresciuti nelle famiglie collettivizzate dell’Unione Sovietica e poi passate fin troppo velocemente allo stile di vita dei Paesi occidentali. Figli unici, gravidanze fuori dal matrimonio, madri sole e quindi povere e un tasso di divorzi degno dei Paesi occidentali. Il sospetto, più che fondato, è che l’ex colonello del KGB, oggi discusso presidente, proponga per il futuro della Russia il modello di famiglia prerivoluzionaria. Quello, cioè, della Russia cristiana. Che strano Paese la Russia: nel giro di un secolo introduce l’aborto per alimentare la forza lavoro femminile nell’ambito dei “piani quinquennali”, poi lo utilizza per la transizione al modello consumistico e, infine, lo vieta per un sempre più incalzante allarme demografico.
Noi, evidentemente, ci rallegriamo per la decisione del ministro russo, non foss’altro per i bambini che per questo decreto non verranno più uccisi. Ma dubitiamo che si possa, con i soli decreti, ridestare la coscienza di un popolo a cui è stato fatto dimenticare il valore dell’accoglienza dei figli. Distruggere, infatti, è sempre più facile che costruire.