“L’annunciata” di Antonello da Messina (fino al 25 novembre al Museo Diocesano di Milano). Da non perdere.
Giuseppe Frangi su 30Giorni dell’aprile 2006:
(…) Quasi cinquant’anni dopo, lo stesso Longhi, in un breve, folgorante saggio (Frammento siciliano), ci suggeriva qualcosa d’altro su Antonello: ci diceva che per capirlo si deve pensare a una meteora. Nella Messina di quegli anni non c’era nessun presupposto che potesse far presentire il nascere e crescere di un artista con quella profondità di coscienza. In quegli anni a Messina, per dirla sempre con Longhi, i carretti portavano ancora alle famiglie nobili i «retablos del gotico fiorito». Antonello appare quindi sulla scena senza che nulla facesse minimamente presagire una presenza di quell’importanza e di quelle dimensioni. Una grandezza assolutamente gratuita, tanto gratuita, scrive Longhi, da essere «una grandezza che spaura».
(…)
Oppure prendete la sua famosa Madonna Annunziata (ne ha dipinte due: a Roma è arrivata solo la versione conservata a Palermo, per altro la più stupefacente). È un quadro senza una sbavatura, giusto in tutto: verrebbe da definirlo perfetto, se la categoria della perfezione non inducesse alla tentazione di un’“irrealtà”. Invece la perfezione stilistica di Antonello fa i conti con un’assoluta esattezza psicologica, per cui quello che dipinge corrisponde in modo totale a un “vero”. «Non può non essere andata che così», verrebbe voglia di dire guardando questo quadro che racconta l’attimo cruciale della storia della salvezza («in quello puncto che la Vergine concepì Christo», per usare le parole di uno dei predicatori più ascoltati di quegli anni in quelle terre, fra Roberto Caracciolo). Maria guarda davanti a sé piena di una dolcezza che non trova corrispettivo in nessuna parola, con una luce stupenda, tutta meridionale, che le scalda il volto. Ma il cuore del quadro è nella mano alzata, in un gesto impercettibile ma decisivo (sempre Longhi scriveva che quella era la più bella mano della storia della pittura: e il suo non era certo un giudizio soltanto estetico). È un gesto decisivo, ma pieno di apprensione. È un’adesione a una «possibilità delicatissima» (don Giussani). Se dovessimo cercare di descriverlo per negazioni, diremmo che è l’esatto opposto di un raptus. La pittura di Antonello infatti è una pittura calma e che agisce sempre in piena coscienza. È pittura alla luce del sole (e questa è un’altra grande differenza con i maestri nordici); è pittura che scantona dalle ombre, nel senso che le ombre, come quelle che cadono sul volto di Maria, sono sempre funzionali a un soprassalto di certezza.
Qui il pezzo per intero