SCIITI CONTRO SUNNITI, E L’IRAN NE APPROFITTA

INTERVISTA A MAGDI ALLAM
Giornale del Popolo, 5 febbraio 2007

Iraq e Libano come principali campi di battaglia di una resa dei conti della lotta fratricida tra sunniti e sciiti fomentata dall’Iran per destabilizzare tutto il Medioriente in funzione anti- israeliana e anti-americana. Questa l’analisi di Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera, nel tentativo di spiegare l’escalation di violenza certamente in Iraq, dove non si risparmiano dagli attentati neanche le moschee, ma anche in Libano e in Palestina (dove negli ultimi due mesi gli scontri inter-palestinesi hanno fatto più del doppio dei morti dei blitz israeliani). Da una parte il fronte sannita composto da Egitto, Arabia Saudita, Turchia e Giordania, dall’altro quello sciita guidato dall’Iran, sostenuto dalla Siria, da Hezbollah e i palestinesi di Hamas (sunniti ma vicini ad Ahmadinejad nel desiderio di distruggere Israele). Sciiti contro sunniti. Sunniti contro sciiti. Un odio che va avanti da 1300 anni da quando, anche allora per ragioni di predominio sul Medioriente, il cugino di Maometto, Alì, fu ucciso nella lotta per il predominio del Califfato. Non sembrerebbe cambiato molto. «Lo scontro tra sunniti e sciiti in Iraq – dice Magdi Allam al GdP – è sicuramente un elemento di grande tensione nella regione considerando che l’Iran, che è il Paese sciita per antonomasia, soffia sul fuoco della guerra civile. Una guerra civile vera e propria in Iraq sarebbe cavalcata dall’Iran per estendere la destabilizzazione anche nei Paesi vicini dove gli sciiti sono minoranza insoddisfatta». Sono il 20% in Arabia Saudita, il 60% in Bahrain, il 30% in Kuwait, il 40% in Libano. Gli sciiti vivono un complesso di discriminazione religiosa (sono considerati eretici dai sunniti) su cui l’Iran vorrebbe far leva. «Il rischio che ci possa essere un contagio di tensione confessionale tra sciiti e sunnti anche al di fuori dello scacchiere iracheno – continua Allam – è una realtà con cui occorre fare i conti seriamente». Ma quella in Iraq è diventata una guerra civile di stampo religioso? «Il conflitto non è in sé religioso e non si tratta ancora di una guerra civile tra sciiti e sanniti – dice ancora il giornalista italo-egiziano. C’è un tentativo di provocare questa guerra civile, ma la radice della violenza è legata al terrorismo patrocinato da al-Qaida e da elementi al passato regime di Saddam che fa leva sulla malcontento dei sunniti che si sentono privati del monopolio del potere. Ma non cadiamo nell’errore di immaginare che la questione confessionale sia all’origine della guerra civile. È un approdo a cui si vorrebbe portare la violenza attualmente in corso in Iraq». Ma la guerra civile c’è o non c’è? «Per guerra civile si intende la contrapposizione tra forze regolari o non regolari che fanno riferimento all’insieme della comunità. Ora, all’interno degli sciiti quelli che sono coinvolti in questo scontro violento con i sunniti sono quelli legati alla fazione di Moqtada al Sadr, ma non è la maggioranza degli sciiti. E la stessa cosa vale per i sunniti: è una minoranza che mette a ferro e fuoco il Paese». Come reagisce il mondo musulmano a questo stillicidio di morti? «Io ho parlato di assordante silenzio. Questo silenzio è vergognoso perché sembra che ci si possa indignare soltanto quando si deve dare addosso ai non musulmani, come è avvenuto dell’aggressione verbale a Benedetto XVI dopo il discorso di Ratisbona». E come giudica la posizione dell’opinione pubblica in Occidente? «È altrettanto vergognoso che da parte dell’Occidente non si spenda una sola denuncia a livello di governi e di istituzioni, quando ci si è sentiti in dovere di scatenare il finimondo alla vigilia della condanna a morte di Saddam Hussein. Quindi un Occidente che si infervora, che si mobilita per salvare la vita per uno dei più sanguinari criminali del Dopoguerra e che invece è del tutto silente quando giorno dopo giorno gli iracheni vengono massacrati a centinaia secondo degli ordini di morte che sono prestabiliti e che avvengono con cadenza quotidiana».

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