APERTURE PORFOLIO 2010 – VINCE LO SVIZZERO GIAPPONESE

L’Aperture Portfolio 2010 è stato assegnato al giovane fotografo svizzero David Favrod per la serie intitolata “Gaijin”. In realtà Favrod non è proprio svizzero-svizzero (capita a tantissimi svizzeri) ma è svizzero-giapponese perché sua madre, appunto, è nata in Giappone. La storia di questo porfolio inizia quando David scopre, a diciotto anni, che il Giappone non gli concede la doppia cittadinanza. Eppure lui, nato e cresciuto in un paesino sul lago Lemano, a casa aveva respirato molto della cultura materna anche grazie allo stretto rapporto con i nonni.  Così decide di ricostruire il proprio Giappone in Svizzera. Dimenticavo: “Gaijin” in giapponese significa “straniero” o “forestiero”.

Qui sotto alcune delle immagini premiate dalla Aperture Foundation (clicca per ingrandirle).

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Autoportrait

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Paysage

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Sans Titre

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Souvenier de ma gran-mère

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Godzilla

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
.

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Mes grands-parents e moi

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Mes grands-parents

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Paysage

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Autoportrait

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Sumo

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Paysage

Già che ci sono: c’è un’altra fotografa svizzera il cui lavoro è stato segnalato al Portfolio Prize. Si chiama Anne Golaz, le foto le potete vedere qui.

MARCO CINGOLANI E L’ATTENTATO A WOJTYLA (ALLE STELLINE)

Alla mostra “Pittura europea dagli anni 80 a oggi” in corso alla Fondazione Stelline di Milano è esposto anche questo quadro del pittore milanese Marco Cingolani intitolato “Attentato al Papa” (1989).

Marco Cingolani - Attentato al Papa, 1989

Ho poi trovato online questa intervista di Massimiliano Gioni all’artista, che dice qualcosa del quadro e molto di Cingolani. Qui il brano più significativo:

Massimiliano Gioni: Ciononostante i tuoi coetanei avevano Duchamp: un maestro, se vuoi, al quale guardare. Tu avevi una figura che nel tuo universo avesse lo stesso valore che Duchamp aveva nel loro?

Marco Cingolani: Ma, vedi, dal mio punto di vista loro erano degli antiquari. Io cercavo un altro committente, che non era né il museo né la borghesia. Era dio, in un certo senso: quando il committente è dio, si dipingono i cieli di Tiepolo. Quando il committente è la borghesia, dipingi marine e paesaggi. Se poi il committente è la piccola borghesia, allora costruisci oggetti, perché sono le cose che il piccolo borghese riconosce e mette in casa. Ormai in casa si prende un’installazione piuttosto che una resurrezione, che invece mette in scacco la normale percezione della vita. Ecco cos’era Il ritrovamento del corpo di Moro: era il ritrovamento di Cristo e di qualsiasi morto. E L’attentato al Papa diventa attacco all’Occidente, amplificato dai media, come in una specie di gigantesca agorà.

CHECCO ZALONE ALLA CERTOSA DI GAREGNANO

Da qualche giorno volevo fare un post sull’ultimo film di Checco Zalone.  Purtroppo però mi vedo costretto a parlarne bene. Dico subito che il film non l’ho visto, ma fa niente. Per quello che voglio dire basta il trailer qui sotto.

La scena in cui Checco ferma la delegazione di monaci buddisti che vogliono entrare in chiesa è girata nello bellissimo chiostro della Certosa di Garegnano. Dal trailer non si vede, ma la facciata di questa Certosa è una delle facciate più belle di Milano. All’interno, poi, si trova uno straordinario ciclo di affreschi di Daniele Crespi sulla vita di San Bruno. Vale davvero una visita.

Certosa di Garegnano Matrimonio in Certosa

Altra nota “artistica” su questo film: il quadro con l’ecstasy di Santa Teresa è un quadro realizzato ad hoc dal pittore pugliese Rino Sgarra, quindi non andatelo a cercare al Museo del Duomo.

Ultima cosa: non avendo visto il film non lo posso dire con certezza, ma dai pochi scorci che si vedono dal trailer anche qui Milano appare davvero una città cinematografica. Lo è da sempre. Qui sotto, ad esempio, l’incipit de “La notte” di Michelangelo Antonioni, anno domini 1961, in cui il Pirellone e la città vista dal grattacielo appaiono in tutta la loro bellezza.

TOP ART BLOG – UNA LISTA PER IL 2010

TOP ART BLOG 2010 - atsmediacontactsIl 2010 è finito ormai da un pezzo ma chissenefrega. Ecco un’altra classifica molto utile: quella dei migliori blog d’arte dell’anno stilata dal sito Artsmediacontacts. Nella classifica c’è qualche certezza (ad esempio che il blogger dell’anno sia Jonathan Jones del Guardian non ci stupisce), ma soprattutto ci sono tante sorprese. Le sorprese, evidentemente, direttamente proporzionali alla mia ignoranza, ma tant’è. Comunque mi sembra uno strumento utile per chi ha voglia di informarsi o imparare come si fanno i blog sull’arte contemporanea.

Manco a dirlo tutti i siti segnalati sono in inglese, ma fa niente.

A proposito, lancio un sondaggio tra i miei quattro lettori: segnalatemi i blog sull’arte IN ITALIANO che seguite e che trovate interessanti. Chissà che dopo il Flower Prize per l’arte contemporanea, non mi inventi anche il Flower Prize per il miglior blog…

Per le segnalazioni utilizzate i commenti qui sotto.

THE BURN, FOTOGRAFIE DI JANE FULTUN ALT

Lindsay Pollock ha segnalato sul suo blog la classifica dei “2010 Most Exciting Photographers” stilata da Rebecca Senf, curatrice del Center for Creative Photography e del the Phoenix Art Museum. Al di là dell’autorevolezza e del significato dell’operazione vi segnalo questa serie di foto di Jane Fultun Alt intitolata “The Burn”.

The Burn, Jane Fultun Alt, 2010 The Burn, Jane Fultun Alt, 2010
The Burn, Jane Fultun Alt, 2010 The Burn, Jane Fultun Alt, 2010
The Burn, Jane Fultun Alt, 2010 The Burn, Jane Fultun Alt, 2010
The Burn, Jane Fultun Alt, 2010 The Burn, Jane Fultun Alt, 2010

Qui la fotografa americana spiega il contesto in cui queste immagini sono state realizzate.

BUON NATALE DA NONAME

Bramantino, Fuga in Egitto, 1510 circa, Orselina

Dal Giornale del Popolo del 24 dicembre 2010

di Davide Dall’Ombra
In questa vigilia di Natale il nostro augurio è affidato ad uno dei quadri più celebri del Canton Ticino, il dipinto intorno al quale è stata costruita la mostra sul Rinascimento nelle terre ticinesi in corso alla Pinacoteca Züst di Rancate. Questa tavola di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino venne realizzata per il Santuario di Orselina intorno al 1510 ed è frutto di una commissione d’eccezione, grazie alla quale fa il suo ingresso in Ticino uno dei più importanti pittori del Rinascimento. Bramantino è un artista di grande cultura ed eccentricità che sorprende ad ogni prova per l’invenzione delle proprie composizioni, ricchissime di riferimenti aulici e spiazzanti per le soluzioni formali. Il genio di Bramantino sa qui celare la sua cultura e scalarla in piani che non disturbino la percezione del semplice fedele, al quale restituisce la consueta immagine di una Fuga in Egitto: un Angelo che indica la via, Giuseppe che accompagna Maria e Gesù Bambino, posti sull’asinello. In una commisurata distribuzione di doni, all’osservatore attento il pittore regala però suggestioni più colte, da sempre causa di grattacapi iconografici che i curatori della mostra a Rancate hanno sciolto. Di chi sono, infatti, quelle gambe che spuntano tra le zampe dell’asino? Perché l’Angelo che indica la via a Giuseppe non ha le ali? La risposta è nella fonte usata per dipingere questa Fuga: il Vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo, dove a condurre la Famiglia non è un singolo angelo, ma tre ragazzi e una ragazza. Un sottotesto colto, usato in modo esplicito già da Giotto agli Scrovegni.

Ma il sottile muoversi sul crinale delle due rappresentazioni della Fuga non è la più sostanziale dimostrazione di un’intelligenza piegata alla fruizione popolare. Ciò che rimarrà indimenticabile per il visitatore natalizio della mostra – aperta fino al 9 gennaio – e al pellegrino che al termine dei restauri si recherà al Santuario locarnese, sarà ben altro. Le imponenti figure in primo piano non nascondono infatti lo splendido paesaggio raffigurato nella parte alta del dipinto. È la Svizzera vista da un italiano: quei cieli che si fan nubi, quelle rocce che si fan castelli, quei ghiacci che si fan montagne, a lor volta trapuntante da fortezze, merli e palazzi. Non si tratta di registrazioni puntuali, perché, come ogni italiano, della Svizzera Bramantino porta a casa la sua versione; ma è indubitabile che del Ticino rivediamo qui tutti gli umidi boschi, sentiamo soffiare, distintamente, i venti freddi delle Alpi che fanno stringere Giuseppe e Maria nei loro ampi e pesantissimi mantelli. Tutto partecipa di questa ruvida carezza di brina che avvolge le figure umane, immerse in una nebbiolina che ne fa sfumare i contorni, sciolti all’aria della bruma. Spesso le figure di Bramantino appaiono lievitate, soprattutto nei volti, quasi fossero stati scaldati come pane al forno, tanto che gli occhi si fanno piccoli e delicati. Ma qui, potremmo esserne certi, la dilatazione è avvenuta non per il calore di una storia, ma per l’umidità di una temperie geografica. Qui il motore è il freddo umido che ci ridesta al mattino, è lo spirito che soffia nella natura che ci abbraccia ancora oggi, se ci svegliamo anche solo nel sottoceneri. Un vento che ci entra nelle ossa, ma nel quale non possiamo non riconoscere qualcosa di rassicurante, di nostro. È un freddo strano, misteriosamente gravido, perché è il freddo della vita. Il freddo di cui quel Bambino non ha paura, di fronte al quale non si copre, impegnato com’è ad offrirci il petto nudo ben prima del costato ferito. Un freddo che Lui viene a scaldare in modo indicibile e desiderabile, tanto che Maria, più vicina al Bambino, può scostare il mantello, mentre Giuseppe, simile ad un filosofo antico, è ancora tutto intento a dare spiegazioni che non varranno mai lo sguardo dolce, malinconico e pacificato della sua Sposa.

ARTE CONTEMPORANEA? GERMANIA ÜBER ALLES

Gerhard Richter

Qual è oggi il Paese europeo leader nel campo dell’arte contemporanea? La domanda se l’è posta nel suo blog Jonathan Jones, critico del britannicissimo Guardian, e marzullianamente s’è dato anche la risposta: la Germania. Per lui gli artisti numero uno sulla piazza sono oggi Gerhard Richter e Anselm Kiefer. Altro che Hirst o Cattelan.

Ma Jones non si ferma qui e rilancia: qual è il Paese europeo che ha dato di più nell’ultimo secolo? Anche qui la risposta è la stessa: la Germania. Madamina, il catalogo è questo: Espressionismo, Dada, Bauhaus, Neue Sachlichkeit, Joseph Beuys.

È vero che negli ultimi cento anni l’arte – in Europa – ha parlato soprattutto tetesco? Che dite?