Da oggi è online il nuovo sito dell’Associazione Giovanni TestorI.
È bellissimo andatelo a vedere.
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È bellissimo andatelo a vedere.
Era uno stronzo Jörg Immendorff. Un vecchio stronzo, cocainomane e puttaniere. Contestatario maoista negli Anni Sessanta, era diventato il pittore di corte di Gerhard Schröder e tutt’oggi è considerato uno dei maggiori artisti tedeschi del dopoguerra. È morto di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) nel 2007. Negli ultimi due anni di vita dipingeva dalla sedia a rotelle facendosi aiutare dai propri allievi. Aveva pure imparato a dipingere con la mano destra, visto che la sua, la sinistra, non riusciva a muoverla più. Era uno stronzo, ma questi ultimi quadri (in mostra fino al 13 marzo 2010 alla galleria milanese Cardi Black Box) hanno una forza, una raffinata eleganza, una profondità che solo un vecchio malato di SLA come Immendorf poteva sprigionare.
Sono andato alla Triennale a vedere “Roy Lichtenstein, Meditation on Art”, la mostra sul grande artista americano morto nel 1997. Mi hanno colpito molte cose. Ne scrivo una. Ho trovato bellissimo il grande quadro con il paesaggio in stile giapponese proposto in una delle ultime sale. È una tela o che Lichtenstein dipinge nel 1996, a un anno dalla sua morte. È straordinario come dopo una lunghissima carriera fatta, come tutte le carriere, di alti e bassi, un artista di 73 anni riesca a produrre, senza tradire lo stile che lo ha reso famoso, immagini di una tale forza e poesia.
Il 14 febbraio 2010 chiude a Milano, al Padiglione d’arte contemporanea (PAC), una mostra dell’artista giapponese Yayoi Kusama intitolata “I want to live forever”. Il 14 febbraio è vicino. Quindi sbrigatevi. I motivi sono due: il primo perché è possibile entrare nell’opera del 2008 “Aftermath of Obliteration of Eternity” (nella foto); il secondo è che si può vedere l’istallazione “Narcissus Garden” che l’artista propose alla Biennale di Venezia del 1966.
Sono stato a Londra e ho visto gli ultimi quadri di Damien Hirst (dice di averli dipinti di persona). La critica li ha stroncati sonoramente (qui l’Observer e qui il Financial Times). Siccome sono senza vergogna riporto l’sms che ho scritto in risposta a un amico pittore che mi chiedeva come fossero questi quadri visti dal vivo:
Sono quadri veri. La tecnica c’è tutta. A un certo punto, poi, scompaiono teschi, squali e iguana e compare un bosco. Se è un inizio, è molto interessante.
Qui sotto invece una frase quasi shock se si pensa che a dirla è lo stesso Hirst nella conversazione riportata sul catalogo della mostra:
“I don’t like conceptual art in the end, I’ve always thought that being a painter was better than being an artist or a sculptor. I always thought painting was the best thing to do.”
Sono stato a Londra e ho visto gli ultimi quadri di Damien Hirst (dice di averli dipinti di persona). La critica li ha stroncati sonoramente (qui l’Observer e qui il Financial Times). Siccome sono senza vergogna riporto l’sms che ho scritto in risposta a un amico pittore che mi chiedeva come fossero questi quadri visti dal vivo:
Sono quadri veri. La tecnica c’è tutta. A un certo punto, poi, scompaiono teschi, squali e iguana e compare un bosco. Se è un inizio, è molto interessante.
Qui sotto invece una frase quasi shock se si pensa che a dirla è lo stesso Hirst nella conversazione riportata sul catalogo della mostra:
“I don’t like conceptual art in the end, I’ve always thought that being a painter was better than being an artist or a sculptor. I always thought painting was the best thing to do.”
Si intitola “Something about Mary”, che poi è anche il titolo del film con Cameron Diaz noto in Italia come “Tutti pazzi per Mary”, ed è una mostra inaugurata negli scorsi giorni alla Galleria Met del Metropolitan di New York in occasione della messa in scena della Tosca di Puccini. La Mary del titolo è la Maria Maddalena che è al centro di passaggio chiave dell’opera del compositore italiano. Tosca, protagonista dagli occhi castani, diventa gelosa della sua rivale dagli occhi azzurri quando scopre che quest’ultima ha posato per un quadro dipinto dall’amato di Tosca e che raffigura proprio la Maria Maddalena. Chiaro no?
La mostra raccoglie opere di una dozzina di artisti tra cui Francesco Clemente, Elizabeth Peyton, John Currin e James Rosenquis. Quella qui sopra è la stupenda versione della Maddalena di Julian Schnabel.
Sono già quattro gli amici che, in occasioni diverse, mi hanno invitato a vedere con loro la mostra di Edward Hopper che aprirà giovedì a Milano a Palazzo Reale (nel 2010 arriverà a Roma). Di solito sono io che devo invitare qualcuno per non andare da solo per mostre. Hopper piace molto (anche a me) ed è un dato di fatto che questa sia la prima grande retrospettiva dedicata all’artista americano in Italia. Do ragione a robe da chiodi quando ne critica la campagna pubblicitaria da grande magazzino, ma leggendo qui viene l’acqualina in bocca. Anche perché chi scrive non ha mai visto un Hopper dal vivo (anzi no, “Gasoline” in una mostra a Lingotto ai tempi delle scuole medie).
Dal sito della mostra di Boston del 2007 ecco una divertente ricostruzione del quaderno degli schizzi di Hopper.
Quest’estate sono due i grandi concerti a cui sono mancato. I primo è quello degli U2 a Milano (avevo i biglietti, ma non vi sto a spiegare perché non sono andato) e quello di Stefano Bollani e Chick Corea a Umbria Jazz. Siccome che di quello degli U2 se n’è parlato in lungo e in largo, propongo qui il bis di quello dei due grandi pianisti. È una versione ipnotica di “Spain”. Buon divertimento.
Qui le foto che hanno vinto il World Press Photo 2009. Ci sarà tempo per compulsarle con calma.
Poi dall’8 al 31 maggio si potrà vederle a Zurigo (Sihlcity – Papiersaal) e a Milano dal 9 maggio al 6 giugno alla Galleria Carla Sozzani.
L’altro giorno l’amico Davide Dall’Ombra mi ha trascinato a Parigi per vedere una grande mostra. Si tratta della mostra su Mantegna curata da Giovanni Agosti per il Louvre. È un evento straordinario per diversi motivi, non ultimo il fatto che – cosa più unica che rara – il maggior museo francese ha chiesto a un italiano di curare una mostra del genere. Il fatto che quest’uomo si chiami Giovanni Agosti non è né un caso né un elemento estraneo al contenuto stesso dell’esposizione.
Arrivati alle 6 di mattina al gate 23 del Terminal 2 di Malpensa ho chiesto a Davide: “Ora che siamo qui, puoi anche spiegarmi perché stiamo andando a vedere questa mostra…”. Lui mi sorride e mi fa: “Da dove cominciare… Cominciamo dal 1961, l’anno di nascita di Giovanni Agosti…”. Davide, stretto nel suo cappotto scuro e avvolto da una spessa sciarpa di lana di un azzurro testoriano, racconta come si racconta un romanzo di cappa e spada: nomi, date, aneddoti, teorie di storia dell’arte. Volo Easy Jet scavalca le Alpi e scopro chi è Michel Laclotte: mitologico direttore Louvre che nel 1993, prima della pensione, fa la “sua” mostra che intitolerà “Il secolo di Tiziano”. Lì Agosti capisce una cosa: il mondo si divide in due, chi fa mostre di prosa e chi mostre di poesia. Quella di Laclotte era una mostra di poesia. E Agosti, le mostre, le vorrà fare di poesia.
Al Parigi Charles De Gaulle non ha ancora finito di raccontare, anzi, stiamo ancora dipanando il nodo della grande “Foppeide”, l’epopea che vide Giovanni allestire la mostra di Foppa a Brescia e pubblicare il catalogo della medesima un anno e mezzo dopo. Si racconta, dice Davide, che Agosti convocò a Brescia il pittore Giovanni Frangi d’urgenza: bisogna scegliere il grigio con cui dipingere le pareti della mostra. Doveva essere il grigio giusto, perché era proprio sul grigio lombardo che si giocava tutta la partita della mostra su Foppa. Agosti presenta a Frangi quattro diversi “grigi” con differenti tonalità di viola. Frangi, racconta sempre la leggenda, rispose: “Ma Giovanni, io non vedo la differenza…”.
Il treno per la Gar du Nord attraversa le banlieue sotto un cielo plumbeo e Davide racconta di come Feltrinelli dà carta bianca ad Agosti per il suo grande libro su Mantegna. Il libro esce a fine 2005, da tutta Europa arrivano elogi. Vendite importanti. Un libro così su Mantegna nessuno lo ha mai scritto. Ma il 2006 è l’anno del cinquecentenario e in Italia si allestiscono tre mostre sul grande artista: tutte e tre affidate al Nemico. Vittorio Sgarbi. Giovanni se lo sarà detto tra sé: il mondo va al contrario. Ma nel 2008 il grande colpo. In primavera arriva una telefonata dal Louvre: abbiamo scelto te, ad ottobre vogliamo il tuo Mantegna. Esita, c’è poco tempo, poi accetta. Così va in scena il Mantenga al Louvre.
Per Agosti fare una mostra su Mantegna è come fare una mostra su se stesso. “Quel che vedi di Mantegna – dice Davide – è una scorza dura, immobile, ma sotto ribolle un vulcano”. Così è Giovanni Agosti, uno che venera la Verità e – dice – figli della Verità sono l’Ordine e la Cronologia. Non si scappa. Così per i libri: l’ossessione per le note, la precisione, le virgole, gli spazi, le immagini stampate come vanno stampate. Così per le mostre. La ricerca di una perfezione apparentemente statica, rocciosa, incisa nel diamante, ma che contiene materiale esplosivo. Lì pronto a detonare. Come Mantegna, appunto.
Questo è il retroscena, la mostra godetevela voi. È al Louvre fino al 5 gennaio 2009.
Ps: qui c’è un articolo di presentazione dello stesso Agosti.
Ps2: qui, qui e qui ci sono tre spilli di Giuseppe Frangi sulla mostra.