RAVASI ALLA BIENNALE NON PORTA QUEL CHE AVREBBE VOLUTO

Lucio Fontana, Via Crusis (X stazione), 1947.
Lucio Fontana, Via Crusis (X stazione), 1947.

Niente Kounellis, niente Kapoor, niente Bill Viola. Non ci sarà neanche il tema della Genesi. Ci saranno, probabilmente, Josef Koudelka, Lawrence Carroll, Lucio Fontana (che sarebbe stato ripescato dopo il ritiro dell’artista colombiana Doris Salcedo) e un altro artista che resta ancora avvolto nel mistero. A riferirlo è il Corriere del Veneto che cita tra le sue fonti il blog il Francesco Colafemmina. Come andranno veramente le cose lo si saprà solo il 14 maggio, giorno della presentazione ufficiale del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia 2013.

Le cose, evidentemente, non sono andate come avrebbe voluto il cardinale Gianfranco Ravasi che dal 2008 si dice convinto della necessità della presenza della Santa Sede alla maggiore manifestazione di arte contemporanea del mondo.

Josef Koudelka e Lawrence Carroll sono certamente grandi nomi, magari non quelli che ci si sarebbe aspettati viste le dichiarazioni rilasciate in passato da Ravasi. Altrettanto certo è che la proposta di un tema non è stato raccolta dal mondo degli artisti. Nulla si sa sulle ragioni che avrebbero portato Doris Salcedo a rinunciare alla sua partecipazione. Il Corriere dice che si era pensato di portare Shibboleth, l’opera che l’artista istallò nel 2007 nella Turbin Hall della Tate Modern di Londra. Ma davvero si pensava di riproporre quella stessa opera negli spazi ristretti dell’Arsenale? Io ne dubito fortemente. La possibilità che artisti di caratura mondiale accettino di coinvolgersi con una committenza così prestigiosa (ma così esigente) non è affatto scontata. Anzi.

E la Via Crucis di Lucio Fontana? A me pare una buona idea, anche se di ripiego. Sottolineare da una ribalta così importante, che quello che viene considerato il maggior artista italiano del secondo Novecento ha realizzato una serie di opere a tema esplicitamente religioso, è comunque un’operazione interessante. Sulla polemica circa l’eventuale acquisto dell’opera da parte della Santa Sede e i relativi costi, non so cosa dire: portare all’Arsenale quella Via Crucis non impone che l’opera venga comprata. Ma forse la sovrapposizione delle due operazioni non era prevista.

Tutto questo ammesso e non concesso che il Corriere sia bene informato.

UPDATE (4 maggio 2013)

Il Pontificio Consiglio della Cultura ha finalmente annunciato la conferenza stampa di presentazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale (14 maggio, ore 11,30, sala stampa vaticana). Qui trovate il comunicato in cui viene confermato il tema della Genesi. 

GANGNAM STYLE MANIA: CHI SARÀ IL PROSSIMO (ITALIANO)?

 

Il video folle (e irresistibile) di Ai Weiwei a favore della libertà di espressione è ormai un classico. Paragonata alle austere immagini del Congresso del Partito comunista cinese che si è appena concluso a Pechino, la performance di Ai è poesia pura. Ne ha fatta una versione anche Anish Kapoor, ironica, autoironica, certo, anche se un po’ venata di politically correct, nella quale sono coinvolti un po’ di personaggi e istituzioni inglesi e americane. Di italiani neanche l’ombra. Eppure grandi personaggi ce ne sono nel nostro Paese. Considerando fuori dai giochi Giovanna Melandri (perché ha già dato), ecco una possibile terna per la prossima versione Gangnam Syle.

Gangnam Syle, Ai Weiwei, Anish Kapoor, Lorenzo Ornaghi
Lorenzo Ornaghi
Gangnam Syle, Ai Weiwei, Anish Kapoor, Salvatore Settis
Salvatore Settis
Gangnam Syle, Ai Weiwei, Anish Kapoor, Paolo Baratta
Paolo Baratta

PADIGLIONE DI RAVASI ALLA BIENNALE? ANCORA NEI PENSIERI DI DIOTHE RAVASI PAVILLION AT THE BIENNALE? THREE SCENARIOS

Gianfranco Ravasi, padiglione vaticano biennale di veneziaIl cardinal Gianfranco Ravasi ha annunciato la sua intenzione di portare un Padiglione della Città del Vaticano alla Biennale di Venezia ormai qualche anno fa. Previsto per l’edizione del 2011, fu posticipato a data da destinarsi. Forse nel 2013. Quando gli chiesi informazioni nell’autunno del 2010 mi rispose che non c’erano i tempi tecnici per arrivare pronti al 2011. Ma da come parlava sembrava che l’idea ci fosse, ma fosse difficile da realizzare. La vera verità è che, a febbraio 2012, non sembra esserci neppure l’idea. Per ora sembra che il cardinale abbia riunito nel dicembre scorso un ipotetico comitato scientifico che potrebbe occuparsi del progetto. Ne farebbero parte Sandro Barbagallo, critico d’arte dell’Osservatore Romano, Micol Forti, direttore della Collezione d’arte contemporanea dei Musei vaticani, Francesco Buranelli, già direttore dei Musei vaticani e oggi segretario della Pontificia Commissione per i Beni culturali e padre Davide Dall’Asta, direttore della Raccolta Lercaro di Bologna. Il comitato, trapela da voci nei corridoi vaticani, in teoria dovrebbe occuparsi di realizzare le direttive suggerite da Ravasi. Ma sembra che in questo momento direttive non ce ne siano. Il gruppo di lavoro si sarebbe dovuto incontrare di nuovo a gennaio. Ma ai quattro le convocazioni non sono arrivate. Allo stato delle cose, dunque, oltre alle dichiarazioni via stampa di Ravasi non sembra esserci nulla di concreto. E il Padiglione vaticano alla Biennale resta un miraggio.

 

E fin qui la cronaca. Ecco invece tre possibili scenari che mi pare potrebbero realizzarsi:

 

1) Versione clerical del padiglione Sgarbi

È già stata collaudata l’estate scorsa in occasione della mostra per il sessantesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Benedetto XVI. Una lista di un centinaio di artisti che alternava grandi nomi, illustri sconosciuti e personaggi al di sotto di qualsiasi sospetto. Ogni artista dona un’opera di sua scelta. Nessuna preoccupazione di organicità.

VANTAGGI: Facile da realizzare. Poco costosa. Accontenta gran parte del sottobosco artistico romano legato a cardinali e monsignori di curia. Poche polemiche in ambito cattolico.

SVANTAGGI: Basso profilo mediatico. Critiche degli esperti del settore.

 

2) Versione art chic del portico dei gentili

È l’idea paventata nell diverse interviste dallo stesso Ravasi che ne sarebbe il vero curatore. Nomi di respiro mondiale come Bill Viola, Anish Kapoor, Yanis Kounellis. Un bel tema ampio e biblico (il libro della Genesi). Libertà assoluta per gli artisti. Poche opere, ma di impatto.

VANTAGGI: Copertura mediatica globale. Plauso degli esperti del settore, dei collezionisti che contano e un servizio di sei pagine su Vogue. Poter dire che la Chiesa è tornata ad essere un interlocutore per l’arte che davvero conta.

SVANTAGGI: Difficile da realizzare (convincere gli artisti a partecipare). Costoso. Assicurata l’ondata di critiche del mondo cattolico. Necessità di un giubbotto antiproiettile per poter girare nei palazzi vaticani.

 

3)  Versione cur(i)atoriale

 

Scegliere un curatore vero ma cattolico. Affidargli l’incarico di selezionare un gruppo ristretto di artisti di primo piano (da uno a cinque, non necessariamente di grido) in grado di mettersi in gioco in un progetto in cui il curatore possa dire davvero la sua. Quindi libertà dell’artista e libertà del curatore/committente. Come modello potrebbe essere presa l’esperienza dell’Evangeliario ambrosiano.

 

VANTAGGI: Possibilità di dire che la Chiesa è tornata a fare committenza a alti livelli. Discreto impatto mediatico.

SVANTAGGI: Difficoltà nel reperire un curatore vero ma cattolico senza innescare faide. Critiche sia da parte cattolica che da parte degli esperti di settore. Discreto impatto mediatico.Gianfranco Ravasi, padiglione vaticano biennale di venezia

Cardinal Gianfranco Ravasi announced its intention to bring the Vatican Pavilion at the Venice Biennale a few years ago. Scheduled for the edition of 2011, it was postponed until a later date. Maybe in 2013. When I asked him (it was the fall of 2010) he said that there were no technical time to get ready in 2011. But as he spoke, it seemed that there was the idea, but it was difficult to achieve. The real truth is that, in February 2012, there seems to be not even the idea. For now it seems that last December the cardinal had gathered a hypothetical scientific committee that could deal with the project. It would be part Sandro Barbagallo, art critic of the Osservatore Romano, Micol Forti, director of contemporary art collection of the Vatican Museums, Francesco Buranelli, former director of the Vatican Museums, and now secretary of the Pontifical Commission for Cultural Heritage and father David Dall’Asta, Director of Collection Lercaro of Bologna. The committee, leaked by voices in the corridors of the Vatican, in theory should take care to make the guidelines recommended by Ravasi. But it seems that at this moment there are no directives. The working group would have to meet again in January. But the four summonses have not arrived. As things stand, therefore, in addition to Ravasi’s statements in the press, there would be nothing concrete. And the Vatican Pavilion at the Biennale remains a mirage.

 

In the cardinal’s mind, we hope, are taking shape three possible scenarios to achieve what will be known as the Ravasi Pavilion:

 

1) Clerical version of the Sgarbi pavilion

It has already been tested last summer on the occasion of the exhibition for the birthday of Benedict XVI. A list of a hundred artists who alternated big names, illustrious unknown, people under any suspicion. Each artist donates a work of his choice. No worries of organicity.

PROS:

Easy to achieve. Inexpensive. Satisfied much of the roman art undergrowth related to cardinals of the Curia and monsignors. Some controversy in Catholic circles.

CONS: Basso profilo mediatico. Critiche degli esperti di arte.

 

2) Art-chic version of the arcade of the Gentiles

It’s the idea announced in several interviews by the same Ravasi who would be the true curator. Names of worldwide importance such as Bill Viola, Anish Kapoor, Yanis Kounellis. A nice wide biblical theme (the book of Genesis). Total freedom for artists. Few works, but impact.

PROS:

Global media coverage. Praise of art experts, big collectors and six pages of Vogue. To say that the Church is once again a partner for great art.

CONS: Difficult to achieve (to convince the artists to participate). Expensive. Ensuredthe wave of criticism of the Catholic world. Need for a bulletproof vest to run in the Vatican.

 

3) Cur(i)atorial version

 

Choose a true curator but Catholic. Entrust the task of selecting a small group of leading artists (one to five, not necessarily ultra-cool) can get involved in a project in which the curator can really have a say. So artistic freedom and freedom of the curator. As a model could be taken the Evengeliario ambrosiano.

 

PROS: Opportunity to say that the Church is back to do commission in high levels. Poor media coverage.

CONS: Difficulty in finding a true curator but Catholic without triggering feuds. Criticism both from Catholics by art experts. Poor media coverage.

ECCO LA SHORT LIST DEL PRESTIGIOSISSIMO FLOWER PRIZE 2O11HERE’S THE SHORT LIST OF THE PRESTIGIOUS FLOWER PRIZE 2O11

Eccoci qui con la terza edizione del prestigiosissimo Flower Prize. Nelle scorse settimane in molti hanno tradito impazienza nell’attesa della pubblicazione della lista dei finalisti di quest’anno. Dopo le prime due fortunate edizioni, vinte da Marc Quinn e Julia Krahn, il mondo dell’arte contemporanea vede nel Flower Price un indiscusso punto di riferimento per capire da che parte sta andando l’arte di oggi.

L’edizione di quest’anno alla formula ormai collaudata (entrano nella short list singole opere realizzate nell’anno in corso e viste di persona dal titolare di NONAME e il vincitore è decretato insidacabilmente dal titolare di NONAME) aggiunge novità eletrizzanti. La prima è che i lettori potranno tentare di condizionare la scelta del vincitore commentando questo post cercando di motivare la loro scelta. È una sorta di televoto in stile reality show, con la differenza che il parere del pubblico è squisitamente consultivo e non vincolante per la giuria di qualità. La seconda e più importante novità è che il parere della giuria potrà essere condizionato anche da tentativi di corruzione da parte degli artisti che potranno contattare il titolare del blog per tentare comprare la sua corruttibilità. In questo senso, a dispetto del nome del premio, il motto sarà: niente fiori ma opere di qualità.

Il vincitore sarà proclamato il 5 dicembre.

Ed eccoci alla short list 2011:

1) ANISH KAPOOR CON LEVIATHAN

anish kapoor, leviathan, paris, 2011

anish kapoor, leviathan, paris, 2011

2) ANDREA MASTROVITO CON FAMILY MATTERS

3) URS FISCHER CON UNTITLED

Urs Fischer, untitled, biennale di venezia, 2011

Urs Fischer, untitled, biennale di venezia, 2011

4) ELMGREEN & DRAGSET CON PLEASE DO NOT DISTURB

Elmgreen & Dragset, please do not disturb

5) PIPILOTTI RIST CON LOB OF THE LUNGPipilotti Rist - LOB OF THE LUNG - Milano, 2011

Here we are with the third edition of the prestigious Flower Prize. In recent weeks, many have betrayed eagerly awaiting the publication of the short list of this year. After two successful editions, won by Marc Quinn and JuliaKrahn, the contemporary art world sees in Flower Prize  an indisputable tool  to understand what is going on.

The formula is the same but with some changes. Enter the short list works in the current year and that the owner of this blog has seen live. The winner is decided by the owner of this blog. Readers can groped to condition the choice of the winner commenting on this post trying to justify their choice. It is the sort of remote voting, which is used in reality shows, with the differencethat public opinion is purely advisory and not binding on the jury. The opinion of the jury may also be influenced by bribes by the artists who will contact the owner of the blog trying to buy his corruptibility.

The winner will be announced on December 5.

An so the shortlist 2011:

1) ANISH KAPOOR, LEVIATHAN

anish kapoor, leviathan, paris, 2011

anish kapoor, leviathan, paris, 2011

2) ANDREA MASTROVITO, FAMILY MATTERS

3) URS FISCHER, UNTITLED

Urs Fischer, untitled, biennale di venezia, 2011

Urs Fischer, untitled, biennale di venezia, 2011

4) ELMGREEN & DRAGSET, PLEASE DO NOT DISTURB

Elmgreen & Dragset, please do not disturb

5) PIPILOTTI RIST, LOB OF THE LUNG
Pipilotti Rist - LOB OF THE LUNG - Milano, 2011

I MIEI APPUNTI SULLA FRIEZE ART FAIR 2011

I grandi assenti sono Damien Hirst e Jeff Koons. Erano anni che le loro opere la facevano la padrone degli stand delle gallerie più importanti. Quest’anno a Frieze Art Fair invece, no. Loro non ci sono e al loro posto in bella vista ci sono gli artisti del momento : Gerhard Richter, Ai Weiwei e Anish Kapoor. Il fatto è che questi ultimi nell’ultimo anno hanno presentato nuove opere di una certa importanza (il salto no-painting del tedesco, il Leviathan di Kapoor e la mostra alla Lisson per il cinese nominato numero 1 dell’Art Word da Art Review). I primi due no. Il 2011 per loro è stato l’anno del silenzio creativo (più per Koons che per Hirst, in verità) e così il mercato registra questa loro assenza. Le domande sono due : cosa staranno facendo di bello ? O meglio: di nuovo? Hirst riesce a far parlare di sé con gli Spot paintings (all’asta sia da Christie’s che da Sotherby’s e in mostra da White Cube), Koons invece sembra assente su tutta la linea. Tornerà o è andato in pensione come Cattelan ?

Pittura
Nell’anno del suo trionfo con la grande retrospettiva nei musei di Londra, Berlino e Parigi che lo incorona come il più grande pittore vivente, Gerhard Richter abbandona i pennelli. Almeno così sembra (parzialmente almeno) dalla mostra in corso da Marian Goodman a Parigi nella quale il pittore tedesco presenta delle grandi stampe digitali attraversate la mille strisce di colore parallele.  Per il resto la pittura non se la passa molto bene : nessuno ha il coraggio, la baldanza, la spregiudicatezza di fare quadri di grande respiro. Non è una novità certo. Ma quest’anno ho notato che a Londra la quantità di opere di pittura fosse più consistente rispetto agli ultimi due anni. Ci sono quindi questi due dati contrastanti : più pittura, ma più pittura stanca. Non è un caso che i due quadri più belli esposti in fiera fossero di due pittori morti : Jörg Immendorf e Sigmar Polke. Una nota : cosa succede con Cy Twombly ? Dalla fiera e dalle aste sono sparite le sue opere. Non così è per Lucian Freud. C’è un motivo ?

Gerhard Richter, Strip (CR 921-1), 2011, Digital print mounted between aluminium and perspex (Diasec) in two parts, 200x440cm.
Gerhard Richter, Strip (CR 921-1), 2011, Digital print mounted between aluminium and perspex (Diasec) in two parts, 200x440cm. (ndr : le righe nella realtà sono dritte).

Jörg Immendorf, untitled, 2006, oil on canvas, 250x300cm.
Jörg Immendorf, untitled, 2006, oil on canvas, 250x300cm.

Sigmar Polke, Siberian meteorites, 1988, artificial resin on polyester fabric, 300x255cm.
Sigmar Polke, Siberian meteorites, 1988, artificial resin on polyester fabric, 300x255cm.

Scultura e altro
Ma tornando a Frieze 2011: le due opere più forti (nel senso di provocatorie) sono del duo Elmgreen & Dragset. La prima mostra un bambino abbandonato in una culla davanti a una porta della camera 69 di un albergo fuori dalla quale è affisso l’avviso “please do not disturb”. La seconda riproduce un obitorio a grandezza naturale. Da uno degli scomparti d’acciaio spuntano un cadavere di donna coperto da un lenzuolo. Si vedono solo i piedi nudi e, accanto a essi, gli effetti pesonali della donna : una collana, un paio di scarbe e un Blackberry. Meno acuti di Cattelan, ma non meno ironici e spietati. Si rivede Nathalie Djurberg con una nuova animazione fatta per l’occasione. Non male. Ancora energica e immaginifica.

Elmgreen & Dragset
Elmgreen & Dragset

Nathalie Djurberg
Nathalie Djurberg

Nathalie Djurberg
Nathalie Djurberg

Fotografia
Oltre ai pittori anche i fotografi sono quasi sempre tedeschi. Cioè, sono tedeschi quelli che piacciono a me. Wolfgang Tillmans mi sembra tenere botta con alcuni pezzi belli anche se non innovativi (a lui perdono praticamente tutto), Andreas Gursky dà l’impressione che col passare del tempo sia sempre più compiaciuto. Di Thomas Ruff i galleristi hanno tirato fuori un paio di opere pixelate sull’11 settembre che non avevo mai visto (gli anniversari sono sempre gli anniversari). Taryn Simon c’è anche al Frieze (ha tenuto una conferenza giovedì), ma di lei vi parlerò in un altro post. Alla Biennale avevo notato la fotografa indiana Dayanita Singh e qui si conferma con un’opera molto interessante. Poi spopola Ryan McGinley con i suoi giovani nudi che fanno acrobazie in boschi illumninati da una irreale luce. C’è Darren Almond che mi è piaciuto molto. E infine l’intramontabile Luigi Ghirri. La presenza alla Biennale ci ha ricordato quanto sia grande. Mi pare sia l’unico grande nome italiano presente a questo Frieze.

Wolfgang Tillmans, Faltenwurf (grey), 2011.
Wolfgang Tillmans, Faltenwurf (grey), 2011.

Wolfgang Tillmans, Onion, 2010.
Wolfgang Tillmans, Onion, 2010.

Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007.
Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007.

Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007 (didascalia dell’opera).
Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007 (didascalia dell’opera).

I grandi assenti sono Damien Hirst e Jeff Koons. Erano anni che le loro opere la facevano la padrone degli stand delle gallerie più importanti. Quest’anno a Frieze Art Fair invece, no. Loro non ci sono e al loro posto in bella vista ci sono gli artisti del momento : Gerhard Richter, Ai Weiwei e Anish Kapoor. Il fatto è che questi ultimi nell’ultimo anno hanno presentato nuove opere di una certa importanza (il salto no-painting del tedesco, il Leviathan di Kapoor e la mostra alla Lisson per il cinese nominato numero 1 dell’Art Word da Art Review). I primi due no. Il 2011 per loro è stato l’anno del silenzio creativo (più per Koons che per Hirst, in verità) e così il mercato registra questa loro assenza. Le domande sono due : cosa staranno facendo di bello ? O meglio: di nuovo? Hirst riesce a far parlare di sé con gli Spot paintings (all’asta sia da Christie’s che da Sotherby’s e in mostra da White Cube), Koons invece sembra assente su tutta la linea. Tornerà o è andato in pensione come Cattelan ?

Pittura
Nell’anno del suo trionfo con la grande retrospettiva nei musei di Londra, Berlino e Parigi che lo incorona come il più grande pittore vivente, Gerhard Richter abbandona i pennelli. Almeno così sembra (parzialmente almeno) dalla mostra in corso da Marian Goodman a Parigi nella quale il pittore tedesco presenta delle grandi stampe digitali attraversate la mille strisce di colore parallele.  Per il resto la pittura non se la passa molto bene : nessuno ha il coraggio, la baldanza, la spregiudicatezza di fare quadri di grande respiro. Non è una novità certo. Ma quest’anno ho notato che a Londra la quantità di opere di pittura fosse più consistente rispetto agli ultimi due anni. Ci sono quindi questi due dati contrastanti : più pittura, ma più pittura stanca. Non è un caso che i due quadri più belli esposti in fiera fossero di due pittori morti : Jörg Immendorf e Sigmar Polke. Una nota : cosa succede con Cy Twombly ? Dalla fiera e dalle aste sono sparite le sue opere. Non così è per Lucian Freud. C’è un motivo ?

Gerhard Richter, Strip (CR 921-1), 2011, Digital print mounted between aluminium and perspex (Diasec) in two parts, 200x440cm.
Gerhard Richter, Strip (CR 921-1), 2011, Digital print mounted between aluminium and perspex (Diasec) in two parts, 200x440cm. (ndr : le righe nella realtà sono dritte).

Jörg Immendorf, untitled, 2006, oil on canvas, 250x300cm.
Jörg Immendorf, untitled, 2006, oil on canvas, 250x300cm.

Sigmar Polke, Siberian meteorites, 1988, artificial resin on polyester fabric, 300x255cm.
Sigmar Polke, Siberian meteorites, 1988, artificial resin on polyester fabric, 300x255cm.

Scultura e altro
Ma tornando a Frieze 2011: le due opere più forti (nel senso di provocatorie) sono del duo Elmgreen & Dragset. La prima mostra un bambino abbandonato in una culla davanti a una porta della camera 69 di un albergo fuori dalla quale è affisso l’avviso “please do not disturb”. La seconda riproduce un obitorio a grandezza naturale. Da uno degli scomparti d’acciaio spuntano un cadavere di donna coperto da un lenzuolo. Si vedono solo i piedi nudi e, accanto a essi, gli effetti pesonali della donna : una collana, un paio di scarbe e un Blackberry. Meno acuti di Cattelan, ma non meno ironici e spietati. Si rivede Nathalie Djurberg con una nuova animazione fatta per l’occasione. Non male. Ancora energica e immaginifica.

Elmgreen & Dragset
Elmgreen & Dragset

Nathalie Djurberg
Nathalie Djurberg

Nathalie Djurberg
Nathalie Djurberg

Fotografia
Oltre ai pittori anche i fotografi sono quasi sempre tedeschi. Cioè, sono tedeschi quelli che piacciono a me. Wolfgang Tillmans mi sembra tenere botta con alcuni pezzi belli anche se non innovativi (a lui perdono praticamente tutto), Andreas Gursky dà l’impressione che col passare del tempo sia sempre più compiaciuto. Di Thomas Ruff i galleristi hanno tirato fuori un paio di opere pixelate sull’11 settembre che non avevo mai visto (gli anniversari sono sempre gli anniversari). Taryn Simon c’è anche al Frieze (ha tenuto una conferenza giovedì), ma di lei vi parlerò in un altro post. Alla Biennale avevo notato la fotografa indiana Dayanita Singh e qui si conferma con un’opera molto interessante. Poi spopola Ryan McGinley con i suoi giovani nudi che fanno acrobazie in boschi illumninati da una irreale luce. C’è Darren Almond che mi è piaciuto molto. E infine l’intramontabile Luigi Ghirri. La presenza alla Biennale ci ha ricordato quanto sia grande. Mi pare sia l’unico grande nome italiano presente a questo Frieze.

Wolfgang Tillmans, Faltenwurf (grey), 2011.
Wolfgang Tillmans, Faltenwurf (grey), 2011.

Wolfgang Tillmans, Onion, 2010.
Wolfgang Tillmans, Onion, 2010.

Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007.
Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007.

Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007 (didascalia dell’opera).
Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007 (didascalia dell’opera).

NELLA PANCIA DEL LEVIATANO DI KAPOOR AL GRAND PALAIS

Leviathan, Anish Kapoor, Grand Palais, Paris, 2011

Leviathan, Anish Kapoor, Grand Palais, Paris, 2011

Leviathan, Anish Kapoor, Grand Palais, Paris, 2011

Leviathan, Anish Kapoor, Grand Palais, Paris, 2011

Leviathan, Anish Kapoor, Grand Palais, Paris, 2011

Come Giona, Pinocchio o il capitano Achab? Che cos’è questo gigantesto mostro che Anish Kapoor ha imprigionato dentro la gabbia del Grand Palais? È il provvidenziale pesce biblico, la simpatica balena di Collodi o il feroce capodoglio di Melville? È lecito chiederselo, anche se la risposta non è necessaria per addentrarsi nel fascino di questa opera riuscitissima. “Leviathan” di Kapoor è un’apparizione misteriosa e travolgente. È lì innanzitutto: grande e enigmatico. Come molte cose che della vita non ci spieghiamo e eppure ci sono e la ingombrano e sembrano sovrastare i confini dell’esistenza. Certe paure, certe bellezze, certe insensatezze o amori travolgenti.

Non è la sua prima opera a carattere epico, anche se forse si tratta della più grande con i suoi 33metri di altezza e i 100x72metri di ampiezza. Ma più delle dimensioni colpisce, e questa secondo me è una cifra decisiva dello stile di K., la sproporzione dell’opera rispetto al suo contenitore. Qui il Grand Palais appare in tutta la sua piccolezza (!!), sembra volersi far più largo per il disagio che gli procura questa ingombrante presenza. A temperare l’aggressività del tutto è forse l’eleganza cromatica soprattutto dell’esterno (l’interno è un vero e proprio rosso sangue) dove il color melanzana si abbina benissimo, anche se in modo acrobatico, al verde salvia della struttura e il giallo delle ringhiera del Gran Palais.

Due parole invece sulle due esposizioni kapooriane a Milano. Quella della Rotonda della Besana è bellissima e la Rotonda ci mette molto del suo. “My Red Homeland” è inquietante come tutti i lavori in cera rossa, mentre gli specchi sono di una perfezione che fanno chiudere un occhio sulla deriva ludica che potrebbero prendere. Ma la visita a Parigi mi ha fatto capire tutti i limiti, invece, di “Dirty Corner” alla Fabbrica del Vapore. Innanzitutto va detto che “Dirty Corner” è il progetto che in un primo momento Kapoor voleva realizzare per Parigi. Ma era evidente che non avrebbe funzionato. Il problema è che non funziona neanche a Milano perché non riesce ad entrare in rapporto con lo spazio nel quale è collocato. Non c’è quel senso claustrofobico che suscita un’opera che se fosse stata un pochino più grande avrebbe sfondato pareti e soffitto. Il gioco della camminata al buio (coinvolgente, ma già visto alla Turbin Hall della Tate con l’opera di Miroslaw Balka nel 2009) non giustifica un investimento di forze di questo genere.

L’ultima cosa è: ha ragione o no Francesca Bonazzoli che sul Corriere scriveva che Anish Kapoor è l’artista dell’establishment, molto spettacolare e per nulla scomodo? Per nulla scomodo non direi, la cera rossa non è innocua: è un’immagine lacerante. Da establishment? Beh, questo forse sì. Ma è come rimproverare a Kapoor di essere un artista di successo.

INAUGURATE PURE LA BIENNALE. TANTO IO ME NE VADO A PARIGI

Carré d’agneau, ratatouille, pomme frites e una birretta chiara. Ottimo. Per il resto il menù della gita di sabato scorso a Parigi con Davide e la Ficcanaso è stato: “Rembrandt et la figure du Christ” al Louvre, “Manet, inventeur du Moderne” al Musée d’Orsay e “Leviathan” di Anish Kapoor al Grand Palais.
Per ora pubblico qualche scatto. Nei prossimi giorni prometto che scriverò un post per ciascuna mostra.




Leviathan, Anish Kapoor, Grand Palais, Paris, 2011
Leviathan, Anish Kapoor, Grand Palais, Paris, 2011

ANISH KAPOOR AL GRAND PALAIS DI PARIGI (E POI A MILANO)

Anish Kapoor, Grand Palais, Parigi 2011 - Milano, rotonda della besana, fabbrica del vapore

Tra l’11 maggio e il 23 giugno Anish Kapoor si approprierà del Grand Palais di Parigi. Il battage mediatico è iniziato tanto per creare ancor più attesa di quella che di per sé ci sarebbe già. Non si sa ancora che cosa realizzerà, si sa però che sarà molto grande. Il sito dedicato all’istallazione è molto ricco. Io vi segnalo questi spezzoni di intervista. Qui riporto la parte più significativa.

“I think there is no such thing as an innocent viewer. All viewing, all looking comes with complications, comes with previous histories, a more or less real past. Abstract art and sculpture in particular, has to deal with this idea that the viewer comes with his body, and of course memory. Memory and body come together in the act of looking. I’m really interested in what happens to meaning in that process: as memory and body walk through, take the passage through any given work, something happens, something changes.”

Dopo Parigi sarà la volta di Milano. In un primo momento si pensava che l’artista indiano portasse Sky Mirror (2006),  da piazzare da qualche parte in città, e Ascension (2003), che invece sarebbe stata collocata alla Rotonda della Besana. A questo sarebbe aggiunta una mostra antologica alla Fabbrica del Vapore.  A gennaio si è detto invece (lo ha scritto il Sole24ore) che Kapoor avrebbe realizzato un’opera permanente per la città di Milano. A quanto mi risulta il progetto sarà presentato il prossimo 25 maggio a ridosso dell’inaugurazione della Biennale di Venezia (con la quale ci sarà una collaborazione) e prevederà un’istallazione alla Rotonda della Besana (quasi certamente Ascension) e una nuova opera alla Fabbrica del Vapore che sarebbe già in fase di realizzazione in un cantiere navale da qualche parte nel mondo (il contratto è già stato firmato). Non ho ricevuto conferma sulla possibilità che quest’opera possa diventare permanente. Pare anche che si stia lavorando a una mostra di pezzi di Kapoor appartenenti a collezionisti italiani anche questa probabilmente alla Fabbrica del Vapore.

Mi sembra una buona cosa che si sia riusciti a convincere Kapoor a realizzare una nuova opera apposta per Milano. Probabilmente non avrà l’imponenza di quella di Parigi, ma almeno non ci si è limitati – cosa che capita troppo spesso a Milano – a portare opere (magari bellissime) ma già note.