Da Vita del 21 novembre 2008
Le cose più impensabili capitano nei posti più impensabili. Come a Zarqa, ad esempio. Zarqa è una piccola città giordana a pochi chilometri a nord-est di Amman. In questa povera località industriale esiste uno dei più antichi campi profughi palestinesi creato dalla Croce Rossa nel 1948. A tutt’oggi la comunità di origine palestinese è composta da circa 18mila anime, il cui membro più illustre aveva un nome che ancora oggi evoca terrore: Abu Musab al-Zarqawi. Qui, in un contesto intriso di fondamentalismo, è successo l’impensabile. Il fatto è semplice: una ong creata dalla comunità cattolica latina, lo Our Lady of Peace Centre di Amman, ha incominciato ad occuparsi della cura dei disabili vincendo poco alla volta l’iniziale diffidenza della maggioranza musulmana. La fotografia simbolo di questo piccolo miracolo è quella del vescovo cattolico Selim Sayegh, vicario patriarcale dei latini di Giordania, che spinge un bambino in carrozzina a fianco delle autorità musulmane durante una marcia di sensibilizzazione per i diritti delle persone disabili. «In Giordania», spiega a Vita Majdi Dayyat, presidente del comitato organizzativo dello Our Lady of Peace Centre, «il numero dei disabili è enorme: si stima che siano 600mila, circa il 10% della popolazione. Lo scopo della nostra organizzazione è quello di far crescere la consapevolezza dei problemi dei disabili nel nostro Paese. Il primo obiettivo è quello di veder riconosciuti i diritti di queste persone, e per noi il primo loro diritto è il diritto alla dignità. L’altro nostro obiettivo è quello di offrire assistenza gratuita a queste persone». Non è ancora chiaro perché vi sia un così alto numero di disabili nel Paese, anche se per Dayyat le ragioni vanno cercate nell’eredità delle guerre del passato e nella diffusa endogamia nelle tribù locali. Una cosa è certa: per una famiglia giordana avere un figlio disabile è una vergogna insostenibile di fronte alla società. «Queste persone», continua Dayyat, «vengono fatte vivere nell’ombra e sono isolate dalla società perché la società non le accetta. Dunque i disabili non vengono fatti uscire di casa per non subire l’umiliazione dello scherno da parte del resto della popolazione. Questo isolamento, di fatto, coincide con la privazione della libertà». Il lavoro per entrare e scardinare questa mentalità è lungo e faticoso, ma nonostante l’esiguità delle forze sta iniziando a dare i primi frutti. La gente prende coraggio e decide di scendere in strada spingendo le carrozzine dei propri figli, a volte anche deformi, per far sapere a tutti di aver scoperto il valore unico e grande di quelle persone loro affidate. «Abbiamo organizzato molte marce nei diversi governatorati giordani. Cinque a Madaba, cinque ad Aqaba, tre a Zarqa, due a Masraq e una a Fuheis. I cortei partono dalla moschea locale e arrivavano alla chiesa della città. Siamo riusciti a coinvolgere le autorità locali, i dirigenti delle scuole, il responsabile nazionale delle politiche religiose, il ministro delle politiche sociali». La prima reazione delle famiglie è sempre di diffidenza: in un mondo in cui la religione ha ancora un grandissimo ruolo sociale, un gruppo di cristiani che offre aiuto a famiglie musulmane viene subito sospettato di proselitismo. Ma quando la gente comincia a conoscere, tende a fidarsi e inizia a collaborare. «Prendendo contatto con le famiglie », spiega Dayyat, «cominciamo a dire loro che questi bambini sono persone come noi, hanno la stessa dignità di qualsiasi altra persona. Noi siamo un’organizzazione cattolica e per noi questo discorso ha un fondamento religioso. Noi crediamo che queste persone sono create da Dio come noi, la loro dignità viene da Dio». Sembra impossibile, ma parlare apertamente di questi temi anziché allontanare gli interlocutori sembra avvicinarli: «Siamo convinti che questo background religioso possa costituire una base comune per collaborare con i nostri fratelli musulmani. Da questa collaborazione tra cristiani e musulmani nasce l’ambizione di portare un messaggio che possa cambiare la mentalità». E il Paese cambia, davvero. La maggior parte delle marce ha avuto un buon successo. Soprattutto a Zarqa, Aqaba e Madaba dove i partecipanti sono stati tra i mille e i quattromila. E non solo. Le famiglie cominciano affidare i propri figli disabili alle cure dei cristiani, e l’organizzazione da parte sua ha iniziato a reclutare volontari e coordinatori musulmani. E qualcosa si muove anche a livello politico? «Da un punto di vista legislativo», conclude soddisfatto Dayyat, «sul tema dell’handicap in Giordania si è passati da un’impostazione di tipo “caritatevole” a un approccio fondato “sui diritti” dei disabili. Questo per me è un passo davvero importante, tanto che la Giordania è stato il primo Paese del mondo arabo insieme alla Tunisia a firmare la convenzione delle Nazioni Unite per i diritti dei disabili». Non solo: Mohammed Al-Tarawneh, responsabile del progetto di sviluppo delle politiche sulla disabilità del governo giordano, è stato eletto tra i 12 esperti indipendenti che, come previsto dall’articolo 34 della stessa Convenzione, veglieranno sull’implementazione della Convenzione negli Stati che l’hanno ratificata.