A LONDRA PER UN’ABBUFFATA DI MOSTRE

Due giorni londinesi per un’abbuffata di mostre. A scarpinare di più sarebbe stato possibile vedere altro ma, come diceva Totò: «Ogni limite ha una pazienza». Ecco qualche appunto:

Rembrandt: The Late Works – National Gallery

Rembrandt, Lucrezia, 1666Una mostra coi fiocchi. Ricca, piena di colpi di scena. La prima sala con tre straordinari autoritratti varrebbe da sola il biglietto. Il tema, l’ultimo periodo del pittore olandese, non è fortissimo – l’ultimo Rembrandt non è l’ultimo Tiziano – ma i prestiti arrivati alla National sono davvero straordinari. La Lucrezia del 1666, con quella macchia di sangue che impregna la camicetta stesa a spatolate leggere, è un’opera di una modernità sorprendente. Quel che rimane della lezione di anatomia del dottor Joan Deyman, del 1656, omaggio al Cristo morto del Mantegna, è un momento difficile da dimenticare. E poi il Rembrandt incisore: che crea la luce dosando l’inchiostro con sapienza da alchimista. E poi i ritratti, ah, i ritratti…

Anselm Kiefer  – Royal Academy

anselm kiefer royal academy of artsUn grande classico, esposto nel migliore dei modi, in uno degli spazi espositivi più belli del mondo. L’ampiezza dei grandi saloni danno respiro alle immense opere del grande pittore tedesco. Severo, accigliato, impregnato di struggimento romantico. Kiefer gioca una partita da maratoneta solitario. Colto, coltissimo, arci-colto. Farebbe arrossire per ignoranza chiunque. La definizione più calzante che ho sentito, me l’ha detta una volta Giovanni Frangi, è quella data da Massimo Cacciari: un Van Gogh post bomba atomica. Una bomba esplosa trent’anni fa. Eppure i corvi sopra il campo di grano dipinto in questo tiepido 2014.

Giovanni Battista Moroni – Royal Academy

Giovan Battista Moroni - Royal AcademyUn bergamasco a Londra. Col suo accento, la sua arguzia, la sua raffinata provincialità. La mostra curata da Simone Facchinetti (lo storico dell’arte più simpatico che io conosca) e Arturo Galansino, neo direttore di Palazzo Strozzi, è un piccolo gioiello che fa capire agli inglesi (e a noi turisti del ponte di Sant’Ambrogio) che quel Sarto alla National Gallery non è affatto una meteora dell’arte lombarda. Il rosa del cavaliere in rosa, l’arancione del perizoma della Crocifissione di Albino, la dolcezza del ritratto di bambina dell’Accademia Carrara. Gli sguardi della nobiltà bergamasca. L’occhio del del direttore ottocentesco della National ci aveva visto giusto.

Alibis: Sigmar Polke 1963–2010 – Tate Modern

Alibis: Sigmar Polke 1963–2010 - Tate ModernAvevamo scritto che il 2014 sarebbe stato l’anno di Sigmar Polke. Sono cose che si scrivono un po’ così, senza prendersi troppo sul serio. Ma se una mostra come quella di Kiefer ha poco di sorprendente (sì, Kiefer è Kiefer…), quella alla Tate è in grado aprire scenari inattesi. Una mostra che riesce a mettere in discussione la gerarchia della triade dei tedeschi Richter, Kiefer, Polke (e Immendorf? Immendorf ce lo stiamo dimenticando?), dove Polke era sempre stato, forse per distrazione o pigrizia, stabile al terzo posto. Un inciso: Jonathan Jones, qualche anno fa, aveva scritto che la Germania è la nazione che ha dato di più all’arte contemporanea. Questa mostra è un nuovo tassello che conferma la tesi del critico del Guardian. Ma tornando alle classifiche: non so se Polke insidi davvero Richter, ma Kiefer certamente. Il Dall’Ombra, che ha avuto la cortesia di accompagnarmi nella scampagnata londinese, sostiene che una mostra come quella di Kiefer potrebbe far male a un giovane pittore, quella di Polke no. In che senso? Il primo può essere un muro contro cui scontrarsi. Non tanto per il grandissimo talento (quello non fa male a nessuno), ma perché non segna punti di rilancio, vie di fuga, percorsi inesplorati. Polke (non meno talentuoso, anzi, anz’anzi) invece è una rampa di lancio. Temi, materiali, tecniche. C’è una tensione alla scoperta e alla ricerca da cui non si può che imparare.

 

CAPIRE MEGLIO GIOVANNI FRANGI. QUALCHE PENSIERO

 

Giovanni Frangi parla del suo sito internet da quando lo conosco, quindi almeno dal 1999, l’anno della mostra alle Stelline “Il richiamo della foresta”. Alla fine c’è riuscito e da settimana scorsa è online www.giovannifrangi.it. Verrebbe da chiedersi: ci voleva tanto?

Giovanni non è un pigro e non è neanche uno a cui mancano le idee. Semplicemente pensa molto prima di fare le cose e decide di farle quando pensa sia il momento giusto di farle. Insomma, non improvvisa mai. Il fatto che il sito appaia oggi deve avere un significato particolare per lui e ho il sospetto che abbia a che fare con la volontà di fare un punto su quanto fatto fino a oggi.

Non varrebbe la pena parlarne infatti se non fosse che quel che ne è uscito è uno strumento prezioso per capire il percorso di uno dei maggiori pittori italiani degli ultimi vent’anni. È l’unico a disposizione per ricostruirne l’opera dall’inizio alla fine, se si tiene conto che il catalogo della mostra “Straziante, meravigliosa bellezza del creato” a Villa Manin copre il periodo 2005-2011.

Quel che appare anche agli occhi del più distratto degli osservatori è che la pittura di Frangi è molto cambiata. La critica che gli viene mossa più spesso è di aver tradito lo stile muscolare, giocato tutto sul colore materico, che lo ha contraddistinto almeno fino al 1999. Io sono tra quelli che pensano che non si tratti di un tradimento, ma di un passo avanti. Gli anni che da “Il richiamo della foresta” portano a “Nobu at Elba” sono quelli di un effettiva accelerazione verso un’altra direzione. Più elegante, ma non meno muscolare.

È stato in quel periodo che ho sentito parlare Frangi di Filippo de Pisis e, guardando a quanto è successo, la riflessione su questo maestro non era soltanto un eccentrico interesse a cui si sottopone chi vuole andare per forza contro il mainstream. L’avvicinamento a De Pisis, mai citato esplicitamente e forse neanche implicitamente, avviene tramite l’introduzione delle carte. A un certo punto, all’attività a olio, Frangi affianca un lavoro sistematico attorno a un genere considerato minore. Può darsi che la scelta sia dovuta a esigenze commerciali (si vendono più facilmente), ma a me pare che sul piano stilistico dalle carte non si torni più indietro. La stesura del colore molto diluito viene applicata anche alle tele e il disegno si fa sempre più essenziale. L’ossessione figurativa si affievolisce  senza mai scomparire definitivamente. La scommessa è tutta sulla pittura, il campo su cui un pittore vince o perde. Il punto più alto, forse, è “Giardini pubblici” esposto al Mart nel 2010.

Il sito documenta anche un altro aspetto decisivo dell’opera di Frangi. Da “La fuga di Renzo” in poi, le mostre sono sempre concepite come dei progetti compiuti, con una propria coerenza, come se fossero racconti con una trama. L’allestimento diventa parte essenziale della comprensione del lavoro che, quasi sempre, deve esser letto come un’istallazione vera e propria. Il capolavoro, in questo senso, per ambizione e risultato, è certo “Nobu at Elba” del 2004, che speriamo di poter rivedere presto riallestito.

Per lungo tempo la figura umana non è comparsa nell’opera di Giovanni. Ricordo la figura di donna appesa nel salotto di di un amico o il ritratto sulla copertina dell’edizione  Garzanti di “In Exitu” di Giovanni Testori. Le persone riappaiono nei quadri in modo inaspettato ed eterodosso in occasione di “Straziante, meravigliosa bellezza del creato”. Sono fotografie scattate in riva al mare, in Marocco mi sembra, i cui ingrandimenti sono dipinti quasi a monocromo. Pescatori, famiglie al bagno. Un omaggio a Schifano, forse. Anzi, sicuramente. Certo è una soluzione che non risolve il problema sconfinato della pittura della figura umana. Dilemma che resta aperto dopo la morte di Bacon e Freud (Richter non ne fa una malattia e nemmeno Hockney ultimamente) e chissà se qualcuno avrà mai la forza di riaffrontarlo con risultati all’altezza. Di certo le ombre di Frangi fanno fatica a scomparire dalla memoria di chi le ha viste. Per non parlare degli Albatros: «stormi d’uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar».

Ho consigliato a Giovanni di segnalare nel sito i due testi più importanti che trattano della sua opera: quello di Giovanni Agosti “Giovanni Frangi alle prese con la natura” edito da Feltrinelli e il saggio di Massimo Recalcati per la mostra al Diocesano “La règle du jeu. Atto secondo. Dieci giardini” del 2011.

Se potessi tornare indietro nel tempo e scegliere una mostra che non sono riuscito a vedere, forse, sceglierei quella del 2009 a Trento “Giovanni in gennaio”.

Di seguito ho provato a riassumere in nove immagini la storia raccontata da www.giovannifrangi.it.

IDENTIKIT DEL PIÙ GRANDE ARTISTA VIVENTE: VECCHIO E PITTORE

David Hockney, A Bigger Picture, Royal Academy, 2012Jonathan Jones si lamenta dell’enfasi con cui in questi giorni si sta celebrando David Hockney come il più grande artista britannico vivente (qualcuno addirittura dice “del mondo”). Dice: morto Lucian Freud si è subito incoronato Hockney come il più grande. Ma perché tutta questa fretta? Dice Jones:

I find it quite tasteless (and I’m sure he does, too) that David Hockney is widely described as Britain’s “greatest living artist” now Lucian Freud is gone. Hockney has inherited the job, it seems. What is the basis for this assumption? It comes down to two things, apparently: one, Hockney is no longer young; and two, he’s a craftsman who makes his paintings with his own two hands.

Eppure, lui dice Freud non era il più grande solo perché era un vecchio pittore:

He did not earn his extraordinary reputation by being a safe pair of hands. He was not just a decent craftsman who worked patiently until he became great. He was a profoundly original, scathing, cruel, sensual, serious observer of the human condition. His art attained a profundity that was paralleled in modern British culture by, say, the plays of Harold Pinter, and the poetry of T.S.Eliot.

E conclude: lasciamo ancora un po’ vacante il posto di “più grande artista inglese vivente”, giusto per non prendere cantonate.

Eppure qualche mese fa in un commento a un post di Robe da Chiodi, Giovanni Frangi aveva detto l’esatto contrario:

Stiamo parlando del più grande artista inglese vivente [Hockney, ndr.], Lucien Freud non regge il confronto , e Damien Hirst è di un’altra generazione e anche troppo coccolato per essere così veramente trasgressivo. La capacità di David Hockney di rinnovarsi, di cambiare rotta, di sperimentare linguaggi nuovi lo rende un artista assolutamente moderno. Ha usato la fotografia in tempi non sospetti inventando immagini memorabili. E’ un grandissimo disegnatore che può stare tranquillamente al fianco di Degas. Un maestro per le generazioni di giovani artisti, Alex Katz vicino a lui sparisce. Tutti i quadri californiani degli anni 60 dalle piscine ai ritratti in ambienti sono lo specchio preciso di un epoca. I quadri immensi del Grand Canyon hanno una potenza visiva struggente , mischia la cultura pop con il cinema. Le vedute dipinte en plein air nello Yorkshire dove lui è nato fino al Bigger painting per la Royal Academy sono una riflessione di un vecchio che torna bambino, in effetti l’elenco potrebbe essere anche troppo lungo: Picasso, Ocean Drive , il teatro , il nudo maschile…

Chi ha ragione?

ECCO LA SHORT LIST DEL PRESTIGIOSO “FLOWER PRIZE 2010”

A pochi minuti dalla proclamazione del vincitore del Turner Prize 2010, NO NAME è orgoglioso di presentare la short list del Flower Prize 2010. Il premio, istituito nel 2009 ma già considerato a livello internazionale, si propone di segnalare la miglior opera eseguita nell’anno appena concluso e vista di persona dal titolare del presente blog. Ricordiamo che nel 2009 il Flower Prize venne assegnato a Marc Quinn per l’opera Thomas Beatie”.

La proclamazione del vincitore avverrà il 12 dicembre alle ore 12.

Ecco dunque la short list:

1) CHRISTIAN BOLTANSKI con PERSONNES

Christian Boltanski - Personnes - 2010 - Milano - Hangar Bicocca

2) GIOVANNI FRANGI con GIARDINI PUBBLICI

Giovanni Frangi - Giardini Pubblici - 2010 - Mart - Rovereto

3) JULIA KRAHN con MUTTER

Julia Khran - Mutter - 2010

4) MAURIZIO CATTELAN con L.O.V.E.

Maurizio-Cattelan-L.O.V.E.-2010-Piazza-Affari-Milano-photo-zeno-zotti

5) JAMES TURREL con DHāTU

james turrel - dhatu - 2010 - Gagosian Gallery - London

A pochi minuti dalla proclamazione del vincitore del Turner Prize 2010, NO NAME è orgoglioso di presentare la short list del Flower Prize 2010. Il premio, istituito nel 2009 ma già considerato a livello internazionale, si propone di segnalare la miglior opera eseguita nell’anno appena concluso e vista di persona dal titolare del presente blog. Ricordiamo che nel 2009 il Flower Prize venne assegnato a Marc Quinn per l’opera Thomas Beatie”.

La proclamazione del vincitore avverrà il 12 dicembre alle ore 12.

Ecco dunque la short list:

1) CHRISTIAN BOLTANSKI con PERSONNES

Christian Boltanski - Personnes - 2010 - Milano - Hangar Bicocca

2) GIOVANNI FRANGI con GIARDINI PUBBLICI

Giovanni Frangi - Giardini Pubblici - 2010 - Mart - Rovereto

3) JULIA KRAHN con MUTTER

Julia Khran - Mutter - 2010

4) MAURIZIO CATTELAN con L.O.V.E.

Maurizio-Cattelan-L.O.V.E.-2010-Piazza-Affari-Milano-photo-zeno-zotti

5) JAMES TURREL con DHāTU

james turrel - dhatu - 2010 - Gagosian Gallery - London