I COLORI DELLA POVERTÀ. LAWRENCE CARROLL SECONDO PANZA

Lawrence Carroll, mostra al Museo Correr, Venezia, 2008
Lawrence Carroll, mostra al Museo Correr, Venezia, 2008

 

Uno degli artisti che probabilmente (chissà, vediamo, sapremo il 14 maggio) sarà presente al Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia 2013 è Lawrence Carroll (Melbourne, 1954). Fu una delle passioni del conte Giuseppe Panza e alcune sue opere si possono vedere nella villa di Varese. Di lui Panza parla in Ricordi di un collezionista. Le parole del conte sulle intenzioni e i risultati di questo artista sono davvero uno dei punti più belli di tutto il libro. Eccone qualche stralcio.

 

«Il suo obiettivo è il condividere la vita dell’uomo e dell’umanità, e le sue sofferenze. L’individuo perso tra la folla della metropoli. La tristezza e la solitudine. Il bisogno di amore. L’esistenza delle persone rifiutate dalla società, che non hanno la forza per competere con gli altri per sopravvivere. (…)

Molti non hanno colpa del loro destino, della loro miseria. Anche per chi ha colpe, di chi sono le vere colpe? Non vi è giustizia che può sanare queste sofferenze, sono nascoste dentro l’imprevedibile destino di ognuno. Dove è una possibilità di salvezza? Lawrence Carroll non è un fotografo, non descrive la realtà che i nostri occhi vedono. La rappresenta in un modo che è più sostanziale, arriva all’essenza della realtà, dove nascono il bene e il male. Il piacere e il soffrire. Esplora il mondo invisibile della coscienza, l’attimo insostituibile e irripetibile dell’esistere. La metafora di quello che vediamo, prima che il reale diventi reale.

I colori, bianchi, grigi, gialli, più o meno scuri ma prevalentemente chiari, sono macchie, superfici dipinti su tela attaccata a un supporto di legno, di una cassa trovata per strada adattata a diventare un quadro con tre dimensioni. I colori e le forme della povertà.

È un’arte che si deve guardare con attenzione per scoprire una raffinata bellezza, nascosta tra colori smunti, senza rilievo, pallidi e tristi. Quando la si scopre, si prova una profonda emozione; la bellezza nascosta, non evidente, senza aggressività, è la bellezza che ha radici, che rientra nel nostro essere. Ci comunica una realtà sotterranea che è la condizione primordiale del nostro esistere. Ci mette in relazione con gli altri, con l’umanità, con tutti quelli che non vediamo, ma che vivono.  (…)

Carroll ha un forte interesse per un famoso pittore italiano, Giorgio Morandi, poco apprezzato in America, un artista che ha speso tutta la sua vita, dagli anni ’20 fino agli anni ’50, dipingendo una sola cosa: bottiglie. Un soggetto quanto mai modesto, insignificante. Ciononostante è stato un grande pittore. Condivido l’interesse di Carroll. Non vi sono eroi, o tristezze opprimenti, solo immagini domestiche della vita quotidiana. Credo che per questo mi coinvolga così tanto. Non interessano i grandi drammi, ma la vita della moltitudine che scompare senza lasciare traccia, ma vive. (…)

Le opere di Carroll esprimono intensamente ed efficacemente la realtà del dolore perché la sublimano con una rappresentazione metaforica di una realtà che diversamente sarebbe aggressiva e lacerante, troppo violenta per essere rappresentata. Oggi questo compito spetta ai fotografi della cronaca giornalistica o della televisione, che è generosa nell’informare su tante cose che sarebbe meglio non vedere. I soggetti di Carroll non sono gli episodi violenti: è la vita triste di chi non riesce a vivere come gli altri per tante ragioni, vizi, malattie mentali, disfunzioni del carattere, debolezza fisica. Spesso situazioni di povertà per l’improvvisa perdita del reddito e la difficoltà di rifarsi una vita. La miseria ha colori e forme apparentemente disordinate che l’artista utilizza e l’arte fonde in un’armonia nuova che stupisce per la sua bellezza. Stupisce chi è ancora capace di spogliarsi dei propri pregiudizi». 

(Giuseppe Panza, Memorie di un collezionista, Jaca Book, 2006)

Lawrence Carroll, mostra al Museo Correr, Venezia, 2008
Lawrence Carroll, mostra al Museo Correr, Venezia, 2008

RAVASI ALLA BIENNALE NON PORTA QUEL CHE AVREBBE VOLUTO

Lucio Fontana, Via Crusis (X stazione), 1947.
Lucio Fontana, Via Crusis (X stazione), 1947.

Niente Kounellis, niente Kapoor, niente Bill Viola. Non ci sarà neanche il tema della Genesi. Ci saranno, probabilmente, Josef Koudelka, Lawrence Carroll, Lucio Fontana (che sarebbe stato ripescato dopo il ritiro dell’artista colombiana Doris Salcedo) e un altro artista che resta ancora avvolto nel mistero. A riferirlo è il Corriere del Veneto che cita tra le sue fonti il blog il Francesco Colafemmina. Come andranno veramente le cose lo si saprà solo il 14 maggio, giorno della presentazione ufficiale del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia 2013.

Le cose, evidentemente, non sono andate come avrebbe voluto il cardinale Gianfranco Ravasi che dal 2008 si dice convinto della necessità della presenza della Santa Sede alla maggiore manifestazione di arte contemporanea del mondo.

Josef Koudelka e Lawrence Carroll sono certamente grandi nomi, magari non quelli che ci si sarebbe aspettati viste le dichiarazioni rilasciate in passato da Ravasi. Altrettanto certo è che la proposta di un tema non è stato raccolta dal mondo degli artisti. Nulla si sa sulle ragioni che avrebbero portato Doris Salcedo a rinunciare alla sua partecipazione. Il Corriere dice che si era pensato di portare Shibboleth, l’opera che l’artista istallò nel 2007 nella Turbin Hall della Tate Modern di Londra. Ma davvero si pensava di riproporre quella stessa opera negli spazi ristretti dell’Arsenale? Io ne dubito fortemente. La possibilità che artisti di caratura mondiale accettino di coinvolgersi con una committenza così prestigiosa (ma così esigente) non è affatto scontata. Anzi.

E la Via Crucis di Lucio Fontana? A me pare una buona idea, anche se di ripiego. Sottolineare da una ribalta così importante, che quello che viene considerato il maggior artista italiano del secondo Novecento ha realizzato una serie di opere a tema esplicitamente religioso, è comunque un’operazione interessante. Sulla polemica circa l’eventuale acquisto dell’opera da parte della Santa Sede e i relativi costi, non so cosa dire: portare all’Arsenale quella Via Crucis non impone che l’opera venga comprata. Ma forse la sovrapposizione delle due operazioni non era prevista.

Tutto questo ammesso e non concesso che il Corriere sia bene informato.

UPDATE (4 maggio 2013)

Il Pontificio Consiglio della Cultura ha finalmente annunciato la conferenza stampa di presentazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale (14 maggio, ore 11,30, sala stampa vaticana). Qui trovate il comunicato in cui viene confermato il tema della Genesi.