CARA BEFANA, BUON NATALEDEAR BEFANA, MERRY CHRISTMAS

Cara Befana,
visto che l’anno scorso Babbo Natale non mi ha dato retta mi rivolgo a te. Gesù Bambino quest’anno, indipendentemente dal fatto che sia stato buono o cattivo, mi porterà una nuova città, un nuovo lavoro e una nuova casa. Che un neonato sia già così capace di leggere nel cuore di un adulto, ammetterai, è una cosa dell’altro mondo. So dunque che chiedere di più sarebbe difficile. Ma siccome a me piacciono le sfide, ci provo. Cara Befana, hai tempo fino al sei gennaio per portarmi almeno uno dei doni che elenco qui sotto. Se non arriva nulla convinco Mario Monti ad aumentare anche il bollo per le scope volanti.
Buon Natale,

tuo Luca

 

1) Georg Immendorf, Untitled, 2006, 250x300cm

 

2) Andy Warhol, Modern Madonna, 1981*

 

* Il riflesso non fa parte dell’opera

 

3) Ryan McGinley, Knotty Pine, 2011

Dear Befana,
considered that last year Santa did not give me straight, I turn to you. Baby Jesus this year, regardless of whether I was good or bad, He will bring me a new city, a new job and a new home. It is something out of this world that a baby is already able to read in the heart of an adult, isn’t it? So it would be difficult to ask for more. But because I like challenges, I try. Dear Befana, you have unti lJanuary 6 to take me at least one of the gifts that I list below. If you do not get anything, I will convince Mario Monti to increase the stamp duty on flying broomsticks.
Merry Christmas,
Luca

1) Georg Immendorf, Untitled, 2006, 250x300cm

 

2) Andy Warhol, Modern Madonna, 1981*

 

* The reflection is not part of the work

 

3) Ryan McGinley, Knotty Pine, 2011

BUON NATALE DA NONAME

Bramantino, Fuga in Egitto, 1510 circa, Orselina

Dal Giornale del Popolo del 24 dicembre 2010

di Davide Dall’Ombra
In questa vigilia di Natale il nostro augurio è affidato ad uno dei quadri più celebri del Canton Ticino, il dipinto intorno al quale è stata costruita la mostra sul Rinascimento nelle terre ticinesi in corso alla Pinacoteca Züst di Rancate. Questa tavola di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino venne realizzata per il Santuario di Orselina intorno al 1510 ed è frutto di una commissione d’eccezione, grazie alla quale fa il suo ingresso in Ticino uno dei più importanti pittori del Rinascimento. Bramantino è un artista di grande cultura ed eccentricità che sorprende ad ogni prova per l’invenzione delle proprie composizioni, ricchissime di riferimenti aulici e spiazzanti per le soluzioni formali. Il genio di Bramantino sa qui celare la sua cultura e scalarla in piani che non disturbino la percezione del semplice fedele, al quale restituisce la consueta immagine di una Fuga in Egitto: un Angelo che indica la via, Giuseppe che accompagna Maria e Gesù Bambino, posti sull’asinello. In una commisurata distribuzione di doni, all’osservatore attento il pittore regala però suggestioni più colte, da sempre causa di grattacapi iconografici che i curatori della mostra a Rancate hanno sciolto. Di chi sono, infatti, quelle gambe che spuntano tra le zampe dell’asino? Perché l’Angelo che indica la via a Giuseppe non ha le ali? La risposta è nella fonte usata per dipingere questa Fuga: il Vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo, dove a condurre la Famiglia non è un singolo angelo, ma tre ragazzi e una ragazza. Un sottotesto colto, usato in modo esplicito già da Giotto agli Scrovegni.

Ma il sottile muoversi sul crinale delle due rappresentazioni della Fuga non è la più sostanziale dimostrazione di un’intelligenza piegata alla fruizione popolare. Ciò che rimarrà indimenticabile per il visitatore natalizio della mostra – aperta fino al 9 gennaio – e al pellegrino che al termine dei restauri si recherà al Santuario locarnese, sarà ben altro. Le imponenti figure in primo piano non nascondono infatti lo splendido paesaggio raffigurato nella parte alta del dipinto. È la Svizzera vista da un italiano: quei cieli che si fan nubi, quelle rocce che si fan castelli, quei ghiacci che si fan montagne, a lor volta trapuntante da fortezze, merli e palazzi. Non si tratta di registrazioni puntuali, perché, come ogni italiano, della Svizzera Bramantino porta a casa la sua versione; ma è indubitabile che del Ticino rivediamo qui tutti gli umidi boschi, sentiamo soffiare, distintamente, i venti freddi delle Alpi che fanno stringere Giuseppe e Maria nei loro ampi e pesantissimi mantelli. Tutto partecipa di questa ruvida carezza di brina che avvolge le figure umane, immerse in una nebbiolina che ne fa sfumare i contorni, sciolti all’aria della bruma. Spesso le figure di Bramantino appaiono lievitate, soprattutto nei volti, quasi fossero stati scaldati come pane al forno, tanto che gli occhi si fanno piccoli e delicati. Ma qui, potremmo esserne certi, la dilatazione è avvenuta non per il calore di una storia, ma per l’umidità di una temperie geografica. Qui il motore è il freddo umido che ci ridesta al mattino, è lo spirito che soffia nella natura che ci abbraccia ancora oggi, se ci svegliamo anche solo nel sottoceneri. Un vento che ci entra nelle ossa, ma nel quale non possiamo non riconoscere qualcosa di rassicurante, di nostro. È un freddo strano, misteriosamente gravido, perché è il freddo della vita. Il freddo di cui quel Bambino non ha paura, di fronte al quale non si copre, impegnato com’è ad offrirci il petto nudo ben prima del costato ferito. Un freddo che Lui viene a scaldare in modo indicibile e desiderabile, tanto che Maria, più vicina al Bambino, può scostare il mantello, mentre Giuseppe, simile ad un filosofo antico, è ancora tutto intento a dare spiegazioni che non varranno mai lo sguardo dolce, malinconico e pacificato della sua Sposa.

CARO BABBO NATALE…

Caro Babbo Natale,
l’anno scorso ho scritto a Gesù Bambino chiedendogli qualche piccolo regalo di Natale. Il Bambinello, come al solito, ha voluto far di testa sua e così anziché un Cy Twombly o una foto di Wolfgang Tillmans ha deciso di portarmi un anno pieno di sorprese e nuovi amici. Quest’anno ho deciso di lasciar fare a Gesù quel che meglio sa fare senza provare a interferire. Ma siccome sono incontentabile ho deciso di insistere con te, in fondo ti hanno inventato apposta per le cose superflue. Eccone un piccolo elenco.
Buone Feste,
Luca

Ps: vedi di combinare qualcosa, se no l’anno prossimo scrivo alla Befana.

1) Andreas Gursky, Dortumund, C-Print, 307 x 223.3 x 6.2 cm (framed), 2009
1) Andreas Gursky, Dortumund, C-Print, 307 x 223.3 x 6.2 cm (framed), 2009

2) Gerhard Richter, Fextal, Piz Chapütschin, Oil on photograph, 10 cm x 15 cm, 1992
2) Gerhard Richter, Fextal, Piz Chapütschin, Oil on photograph, 10 cm x 15 cm, 1992

3) Hasselblad, CFi 4/150
3) Hasselblad, CFi 4/150

CARO GESÙ BAMBINO

Caro Gesù Bambino,
quest’anno, ma questo lo sai già, non sono stato particolarmente buono. Ma visto che se fossi già buono non ci sarebbe bisogno che venissi a salvarmi, mi permetto comunque di chiederti qualche dono. Sono i regali che nessuna delle persone che mi vuole bene potrà mai farmi: non conosco nessuno di così ricco. Del resto anche il dono del Natale è un dono che nessuna delle persone che mi vuole bene potrà mai farmi. Quindi, già che ci sei…
Grazie ancora,
Luca

Ps: Buon compleanno

1) Cy Twombly, Rose

2) Wolgfang Tillmans, Blushes

3) Leica S2

BUON NATALE

dal GdP del 24 dicembre 2008

di Davide Dall’Ombra

Il Natale che racconta questa Presentazione al Tempio, dipinta da Giovanni Bellini alla fine del Quattrocento, è un Natale descritto pizzicando quelle corde delicate della percezione, invisibili ma tenaci, che sottendono ad accadimenti imprevisti, piccoli e straordinari insieme. Appena sotto la superficie di commovente, tenera bellezza, andando poco più a fondo dell’emozione che provoca questo dipinto, si scoprirà che quello che sta avvenendo è ben più di un’usata situazione d’intimo affetto. La storia inizia da destra, l’uomo quasi perfettamente di profilo è Simeone, il vero motore immobile della scena; le vesti sono quelle del sacerdote, l’austera materia e sembianza di cui è dipinto sono quelle che è giusto tributare al Vecchio Testamento: spetta a lui il compito di portarsi dietro, insieme alla propria, millenni d’attesa del suo popolo per quel Bambino. A lui il compito di scoccare, da quelle labbra socchiuse, la frase che attraversa il dipinto, le parole che non lasciano spazio all’equivoco: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori». Già, di molti cuori. Giuseppe, lì accanto, lo guarda con una consapevolezza che non potremmo dire rassegnata, tanto meno incredula: bello e maturo da far girare la testa a tutte le giovani di Nazaret, lo guarda da un’altra generazione, dalla consapevolezza di chi, in così pochi giorni, ha già dovuto capire tutto, abbandonarsi tutto, per ricevere, in cambio, la ricompensa di pace che sembra trasudargli dalla pelle. È un passaggio di testimone tra due generazioni che racchiude, in sé, tutta la vertigine di quell’anno zero che ha cambiato il Testamento. E il mondo. A sinistra, grazie ad un bellissimo, ampio manto che incornicia la scena, ad accogliere, ad assorbire in sé, ad intridersi delle parole di Simeone è lei, Maria: bella come solo Giovanni Bellini seppe fare le proprie Madonne, bella e dolce come dev’essere la madre della Bontà, la madre della Bellezza, la madre del compimento tutto… Ma Simeone non aveva finito. La frase che sta passando davanti agli occhi certi di Giuseppe, per incagliarsi nel grembo di Maria, non finiva così: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori». Pausa. «E anche a te una spada trafiggerà l’anima». Giuseppe incassa. Lei, madre, abbraccia. I primi due pensieri da svelare erano i loro. Ma come può Maria rimanere serena, imperturbabile mentre il profeta le sputa in faccia le terribili parole di un destino che… che in cuor suo conosceva bene, d’accordo, ma insomma… La risposta la stringe tra le mani, anzi la porge tra le mani, quasi a farsi scudo di fronte a quelle terribili parole: se può riceverle, abbracciarle appunto, è solo perchè le arrivano dopo aver traversato il figlio, suo figlio, il Figlio dell’uomo. Ma sarà poi vero che era stato lui ad attutire il colpo? La faccia, in effetti, sembra essersi girata di scatto come spinta dalle parole di Simeone, ma in fondo non era forse lui la spada di sua madre? Non era forse destinato a diventare, contemporaneamente, il suo compimento, la sua unica ragione di vita, ma anche il suo maggior dolore? «Segno di contraddizione…». Aveva già iniziato. E lei lo sapeva. Ma per ora quel bambino era soprattutto carne della sua carne: la pelle di latte che riempie di candore la scena non è forse identica alla sua? A dirla tutta, sarà la suggestione, ma non potremmo dire che non abbia preso qualcosa anche dal babbo, quasi che Dio, a quel padre putativo, nella sua infinita tenerezza, abbia regalato una certa somiglianza con il figlio, per carità, per ricompensa del suo sì… Al centro, quel bambino che non sta ancora in piedi da solo, si chiama Gesù e in volto ha due meravigliosi occhi celesti che guardano lontano. Potremmo scommettere che sia stato proprio da quelle pupille che Simeone l’ha riconosciuto e che sia stato guardandolo negli occhi, appena prima di farglieli girare con la sua ferale profezia, che ha esclamato: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Gli occhi negli occhi: la luce per illuminare le genti era già in quello
sguardo indimenticabile. Era tutta in quelle pupille. Forse anche Simeone non avrà potuto far a meno di pensare al passo che aveva letto migliaia di volte, la descrizione più struggente dell’amore di Dio per l’uomo: «Egli lo trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del Suo occhio». Si era compiuta tutta la sua storia, la storia del suo popolo. Ed ora eccola lì, la pupilla del Suo occhio, colei con la quale dividiamo un destino comune: noi, trattati da Dio allo stesso modo. È guardando quegli occhi che scopriremo il prosieguo della storia: a quelle pupille non saranno risparmiate lacrime, non sarà celata la vista delle fatiche, delle abiezioni umane, non sarà risparmiata la commozione per l’uomo, la tristezza per la morte di un amico, a quelle pupille non sarà nascosto nulla, e, alla fine, saranno prosciugate sulla croce… eppure. Eppure è una storia che Lui dice di aver vinto, non scansato, vinto. Ed è per questo che è una storia che ci interessa. In questa faccia di latte dagli occhi celesti c’è tutta la straordinaria contraddizione del Natale, la promessa che non ci sono dolori troppo grandi per quegli occhi da bambino e che Dio si prenderà cura di noi lasciandoci attraversare le circostanze più contraddittorie, non risparmiandoci niente, ma non smettendo di illuminarle con gli indimenticabili occhi della Sua dolce presenza.