Ho visto Io sono qui, la bella mostra di Dario Goldaniga da Fabbrica Eos a Milano (fino al 4 maggio). Mi ha colpito molto la mappa celeste incisa sulle lavagne inutilizzate della scuola in cui Dario insegna da tanti anni (e dove ho avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo quando ero studente).
Come spiega bene Ivan Quaroni nel testo che introduce la mostra, la lavagna è il luogo dove si è rappresentato il sapere in un continuo segnare e cancellare: parole e numeri scritti con la polvere di gesso che gli studenti hanno finito – chi più, chi meno, chi per nulla – per fissare nella memoria. Su queste superfici di ardesia si sono poggiati gli sguardi di centinaia di studenti. Goldaniga oggi sceglie queste pietre, di un colore che è un nero così particolare, per inciderci punti e linee che vanno a rappresentare una mappa del cielo. La mappa esposta da Fabbrica Eos (purtroppo non è quella della foto, ma l’idea è quella) è composta da nove lavagne dove, dice, ha segnato col trapano 67238 stelle.
È un’idea semplice che però, se ci pensate, dice molto di un modo di pensare all’insegnamento: è come se quella mappa fosse stata da sempre segnata su quelle lavagne e l’artista non ha fatto altro che portarla alla luce. Quel lavoro di comunicazione, a volte così prosaico, che alterna lo scrivere e il cancellare, quel continuo iniziare da capo, è come se fosse, in realtà, un tentativo di segnare percorsi che abbiano il respiro dell’infinito.
A questo proposito, mi è venuto in mente un testo letto qualche mese fa in occasione della mostra Proportio a Palazzo Fortuny a Venezia, nel quale Marina Abramovic parlava del suo rapporto con il cielo stellato. Eccolo:
Da bambina ero affascinata dal cielo notturno. Trascorrevo molte ore a guardarlo, specialmente quando in campagna non c’era la luna e le luci della città non interferivano con la visione delle stelle.
Quando viaggio, vado sempre in cerca di osservatori per vedere le stelle meglio e più da vicino. Guardo la Via Lattea, guardo stelle morenti che nemmeno esistono ma continuano a brillare, buchi neri, le comete e altro ancora.
Io non mi interrogo sull’universo in sé, mi domando cosa ci sta dietro. Nel 1969 ho fatto un disegno composto da puntini e il pubblico era invitato a unirli, come voleva. Ogni persona creava il proprio viaggio nell’universo, e le tracce di quel percorso erano descritte dai tratti con cui le persone completavano il mio disegno.
Riconsiderando quell’opera dei miei inizi, trovo ancora in me la stessa domanda senza risposta: cosa c’è dietro a tutto questo? C’è uno scopo più elevato dietro all’ordine e alle proporzioni che governano l’universo? E qual è il posto degli esseri umani all’interno di questo ordine?
Dopo aver riflettuto, vorrei proporre un’istallazione in cui il pubblico può compiere un viaggio mentale nell’universo.