MARINA ABRAMOVIĆ: ART MUST BE BEAUTIFULMARINA ABRAMOVIĆ: ART MUST BE BEAUTIFUL

Sono stato al PAC di Milano per vedere “The Abramović Method” la mostra-performance di Marina Abramović. In generale sull’opera passata dell’artista serba sono d’accordo con Francesca Bonazzoli, che qui ha descritto bene la sua poetica; ma rispetto alla performance dentro e fuori dal PAC condivido  la stroncatura che ne ha fatto di Robedachiodi.

The Abramovic Method, PAC, Milano, 2012
"The Abramović Method", PAC, Milano, 2012

Eppure la visita al PAC mi ha fatto mettere a fuoco un aspetto del lungo percorso della Abramović che mi pare importante sottolineare. Entrando nelle stanze dove si svolgeva la performance non si può non notare il forte impatto visivo di quel che sta accadendo. La cura compositiva degli scarni arredi (sedie, lettini ect…) e della disposizione dei performer è notevole. Nulla è lasciato al caso. L’impressione si accentua se si guarda come viene riproposta la mitica performance del 2010 al Moma “The Artist is Present”. Ma quando si percorre il corridoio in cui vengono proiettati i video delle performance passate (in ordine cronologico inverso) ecco l’idea.

La body art, o l’arte performativa, nasce negli anni ’60 in polemica con l’arte tradizionale e in particolare con la pittura. Le azioni della Abramović, inizialmente, sono volte a provocare nello spettatore un senso di disagio utilizzando, soprattutto, il nudo e l’autolesionismo. Molto significativa, mi sembra, la performance del 1975 intitolata “Art must be beautiful – Artist must be beautiful” (non in mostra), durante la quale l’artista si spazzola i capelli in modo quasi ossessivo-compulsivo mentre pronuncia proprio questa frase: l’arte deve essere bella, l’artista deve essere bella.

Col passare degli anni le opere di Marina, nonostante in molti casi continuino a provocare un senso di disagio, assumono forme visive sempre più raffinate e ricercate. L’artista durante la performance produce delle immagini, che poi verranno registrate con video e fotografie. Tali immagini, che richiamano in qualche modo modelli compositivi classici, risultando belle anche da vedere. La serie “Seven Easy Pieces” del Guggenheim di New York (2005) mi sembra un ottimo esempio di questo, ma anche “The Artist is Present” del Moma (2010) lo è. Le mie preferite sono “The Kitchen” (2009)  e “The Lamb” (2010).

Mi sembra un importante indizio di serietà. E anche il motivo del crescente successo degli ultimi anni.

Si potrebbe dire che, indipendentemente dal punto di partenza, un artista che lavori con serietà  – ad esempio mettendo sempre alla prova il proprio talento – non può non incappare in qualche modo in lei, la bellezza. Quasi che alla bellezza si possa arrivare anche in contromano.

"Entering the Other Side" in "Seven Easy Pieces", Guggenheim Museum New York, 2005
"Entering the Other Side" in "Seven Easy Pieces", Guggenheim Museum New York, 2005
"Holding Milk" (The Kitchen Series), 2009
"Holding Milk" (The Kitchen Series), 2009
"How to Explain Pictures to a Dead Hare" in "Seven Easy Pieces" (da Joseph Beuys), Guggenheim Museum New York, 2005
"How to Explain Pictures to a Dead Hare" in "Seven Easy Pieces" (da Joseph Beuys), Guggenheim Museum New York, 2005

 

"Holding The Lamb" (da "The Lamb series"), 2010
"Holding The Lamb" (The Lamb series), 2010


I was at PAC in Milan to see “The  Abramović Method”, the Marina  Abramović‘s exhibition-performances. In general, about the Serbian artist’s past work, I agree with Francesca Bonazzoli, who here has aptly described her poetry. But about the performance inside and outside the PAC, I share the bad review written here by Robedachiodi.

The Abramovic Method, PAC, Milano, 2012
"The Abramović Method", PAC, Milano, 2012

And yet, visit the PAC has made me focus on one aspect of the long path of Abramović I think it is important to underline. Entering the room where the performance took place, one can not but note the strong visual impact of what is happening. The treatment composition of the meager furniture (chairs, beds etc…) and the arrangement of the performers is remarkable. Nothing is left to chance. The impression is accentuated if you look like is returned the legendary 2010 performance at the MOMA “The Artist is Present”. At the end of the corridor with the videos of past performances (in reverse chronological order)… I got the idea.

The body art, or performance art, was born in the 60s in opposition to traditional art and especially painting. Abramović’s peformances, initially, are intended to provoke in the viewer a sense of discomfort using, particularly, nude and self-injury. Very significant, I think, the performance of 1975 entitled “Art must be beautiful – Artist must be beautiful” (not shown), during which the artist brushes her hair in an almost obsessive-compulsive way, pronouncing just this sentence: art must be beautiful, the artist must be beautiful.

Over the years the works of Marina, although in many cases continue to provoke a feeling of discomfort, become visually more refined and sophisticated. The artist produces images during the performance, which will then be recorded with video and photographs. These images, which recall somewhat classical compositional models, become attractive. The series “Seven Easy Pieces” at the Guggenheim in New York (2005) seems a good example of this, but also “The Artist is Present” MoMA (2010) it is. My favorites are “The Kitchen” (2009) and “The Lamb” (2010).

It seems to me an important hint of seriousness. And the reason for the growing success in last years.

You could say that, regardless of starting point, an artist who works with seriousness – for example, always putting their talents to the test – can not help but run into her: the beauty. As if we can get the beauty also in the opposite direction.

"Entering the Other Side" in "Seven Easy Pieces", Guggenheim Museum New York, 2005
"Entering the Other Side" in "Seven Easy Pieces", Guggenheim Museum New York, 2005
"Holding Milk" (The Kitchen Series), 2009
"Holding Milk" (The Kitchen Series), 2009
"How to Explain Pictures to a Dead Hare" in "Seven Easy Pieces" (da Joseph Beuys), Guggenheim Museum New York, 2005
"How to Explain Pictures to a Dead Hare" in "Seven Easy Pieces" (da Joseph Beuys), Guggenheim Museum New York, 2005

 

"Holding The Lamb" (da "The Lamb series"), 2010
"Holding The Lamb" (The Lamb series), 2010


IDENTIKIT DEL PIÙ GRANDE ARTISTA VIVENTE: VECCHIO E PITTORE

David Hockney, A Bigger Picture, Royal Academy, 2012Jonathan Jones si lamenta dell’enfasi con cui in questi giorni si sta celebrando David Hockney come il più grande artista britannico vivente (qualcuno addirittura dice “del mondo”). Dice: morto Lucian Freud si è subito incoronato Hockney come il più grande. Ma perché tutta questa fretta? Dice Jones:

I find it quite tasteless (and I’m sure he does, too) that David Hockney is widely described as Britain’s “greatest living artist” now Lucian Freud is gone. Hockney has inherited the job, it seems. What is the basis for this assumption? It comes down to two things, apparently: one, Hockney is no longer young; and two, he’s a craftsman who makes his paintings with his own two hands.

Eppure, lui dice Freud non era il più grande solo perché era un vecchio pittore:

He did not earn his extraordinary reputation by being a safe pair of hands. He was not just a decent craftsman who worked patiently until he became great. He was a profoundly original, scathing, cruel, sensual, serious observer of the human condition. His art attained a profundity that was paralleled in modern British culture by, say, the plays of Harold Pinter, and the poetry of T.S.Eliot.

E conclude: lasciamo ancora un po’ vacante il posto di “più grande artista inglese vivente”, giusto per non prendere cantonate.

Eppure qualche mese fa in un commento a un post di Robe da Chiodi, Giovanni Frangi aveva detto l’esatto contrario:

Stiamo parlando del più grande artista inglese vivente [Hockney, ndr.], Lucien Freud non regge il confronto , e Damien Hirst è di un’altra generazione e anche troppo coccolato per essere così veramente trasgressivo. La capacità di David Hockney di rinnovarsi, di cambiare rotta, di sperimentare linguaggi nuovi lo rende un artista assolutamente moderno. Ha usato la fotografia in tempi non sospetti inventando immagini memorabili. E’ un grandissimo disegnatore che può stare tranquillamente al fianco di Degas. Un maestro per le generazioni di giovani artisti, Alex Katz vicino a lui sparisce. Tutti i quadri californiani degli anni 60 dalle piscine ai ritratti in ambienti sono lo specchio preciso di un epoca. I quadri immensi del Grand Canyon hanno una potenza visiva struggente , mischia la cultura pop con il cinema. Le vedute dipinte en plein air nello Yorkshire dove lui è nato fino al Bigger painting per la Royal Academy sono una riflessione di un vecchio che torna bambino, in effetti l’elenco potrebbe essere anche troppo lungo: Picasso, Ocean Drive , il teatro , il nudo maschile…

Chi ha ragione?

A LONDRA PER GUARDARE DAVVERO LEONARDOIN LONDON FOR A REAL LOOK AT LEONARDO

Settimana scorsa sono stato un giorno a Londra con Robe da Chiodi e Davide per vedere la mostra di Leonardo alla National Gallery, Kiefer da White Cube e rivedere Richter alla Tate.

Sulla mostra di Leonardo ha già scritto bene Robe da Chiodi e io non saprei aggiungere altro. Ecco, forse aggiungerei un grazie ad Arturo Galansino, uno dei curatori della mostra, che ha avuto la pazienza di accompagnarci tra le sale. Una delle cose più interessanti che ci ha raccontato è stata la pressione “politica” che talvolta ha percepito riguardo alcune opere che doveva schedare. Un aggettivo o un avverbio che metta in dubbio un’attribuzione a Leonardo può costare milioni di euro. Dico poi una cosa molto banale: al di là di tutti i difetti che può avere, una mostra del genere (irripetibile, probabilmente) costringe a mettere alla prova il pregiudizio positivo che si ha verso il genio di Leonardo. O meglio: riempire il pregiudizio positivo che ci portiamo dietro con un contenuto non frammentario. È facile infatti accostarsi a questi quadri sapendo già che sono capolavori, altra cosa è guardarli davvero lasciandosi stupire dalla loro – oggettiva – bellezza.

Leonardo, Study of clasped hands, seen so that the back of the right hand, National Gallery, 2011
Leonardo, Study of clasped hands, seen so that the back of the right hand
Leonardo, Study of a childs shoulders, seen from behind, about 1495, National Gallery, 2011
Leonardo, Study of a childs shoulders, seen from behind, about 1495

Leonardo, A right foot seen from above, about 1495, National Gallery, 2011
Leonardo, A right foot seen from above, about 1495
Last week I was one day in London with Robe da Chiodi  and Davide to see Leonardo at the National Gallery,  Kiefer at White Cube and to see againg  Richter at Tate Modern.

On the exhibition of Leonardo Robe da Chiodi has already written and I can not say more. Here, perhaps, I would thank Arturo Galansino, one of the curators of the exhibition, which has had the patience to accompany us through the halls. One of the most interesting things he told us was the “politics” pressure that sometimes he felt writing about some works. An adjective or adverb that puts into question an attribution to Leonardo can cost millions of euros. Then I say something very trivial: beyond all the defects that may have an exhibition of its kind (unique, probably), it forces us to test our positive prejudice towards the genius of Leonardo. Or rather, it forces us to fill the positive prejudice that we carry with us with a unfragmented content. It is easy to approach these paintings already knowing they are masterpieces, different is really watching them and being amazed by their surprising beauty.

Leonardo, Study of clasped hands, seen so that the back of the right hand, National Gallery, 2011
Leonardo, Study of clasped hands, seen so that the back of the right hand
Leonardo, Study of a childs shoulders, seen from behind, about 1495, National Gallery, 2011
Leonardo, Study of a childs shoulders, seen from behind, about 1495

Leonardo, A right foot seen from above, about 1495, National Gallery, 2011
Leonardo, A right foot seen from above, about 1495