Ho letto il libro di saggi su Francis Bacon di Jonathan Littell. È intelligente e istruttivo. Istruttivo perché si imparano molte cose non solo su Bacon, ma anche su Velásquez, Goya e la storia della figurazione nell’Occidente cristiano (interessantissima la digressione che porta dai ritratti delle mummie del Fayyum a Rogier van der Weyden passando per la vicenda del Mandylion – la vera immagine di Cristo). È intelligente perché non chiude Bacon in una gabbia di interpretazioni, ma dice che per capire quel che dice Bacon occorre innanzitutto imparare ad ascoltare la sua lingua, che è la pittura. Non è un’idea formidabile o inaudita, ma viene spiegata con molta onestà e chiarezza. È un invito all’umiltà e alla curiosità.
Qui riporto uno dei passi più significativi.
La maggior parte degli spettatori, guardando un dipinto di Francis Bacon, dà per scontato, senza nemmeno pensarci, che la figura umana o animale di fronte a loro sia il soggetto di quel quadro. Ma non è affatto così: la figura è l’oggetto dipinto nel quadro; il soggetto, come in tutta la pittura, e non solo in quella astratta, è la pittura in sé. È la pittura a parlarci di ciò di cui essa stessa tratta. «La pittura – come Bacon spiegò a Franck Maubert a un cero punto degli anni ottanta – è un linguaggio a sé, una lingua a parte». Come tale, ha una propria fonologia (le relazioni e i valori tonali) e una morfologia (la disposizione delle forme sulla tela), una grammatica e una sintassi, la cui specifica organizzazione e articolazione, all’interno dell’opera di ciascun pittore, è l’unica cosa che può insegnarvi a leggere quell’opera. Ovviamente un attento studio degli oggetti è di importanza cruciale, e l’ampio corpus di scritti scaturito dallo studio delle fonti dell’opera di Bacon si è rivelato uno strumento potente, come ogni approccio iconografico, anche se ben presto mostra i suoi limiti (…).
Anche se sarebbe meglio evitare di prendere troppo alla lettera le dichiarazioni di Bacon in proposito, come dire la sua versione ufficiale, e prestare piuttosto attenzione a ciò che lui stesso definiva la propria «immaginazione tecnica». Soprattutto, sarebbe meglio non chiedersi mai: «Che cosa voleva dire Bacon qui?», perché non lo sapeva nemmeno lui, ma piuttosto: «Che cosa ci sta dicendo, qui e ora, questo dipinto?». Prendetevi il tempo per guardare davvero i dipinti, da soli in una sala o circondati dalla folla incollata alle audio guide, o anche seduti di fronte alle riproduzioni, su un catalogo o sullo schermo di un computer; osserva teli a lungo, spostandovi dall’uno all’altro, con pazienza: a poco a poco inizierete a vedere come pensa la pittura.
Jonathan Littell, Trittico – Tre studi da Francis Bacon, Einaudi p. 45