Domani inaugura a Firenze a Palazzo Vecchio, nello studiolo di Francesco I de’ Medici, l’esposizione di “For the love of God” di Damien Hirst.
Un paio d’anni fa sul Giornale del Popolo di quest’opera avevano parlato Francesco Gesti e Davide Dall’Ombra. Scrissero cose interessanti come queste:
Francesco Gesti: Hirst è anche quello che ha tenuto impegnato un gruppo di esperti in giro per le cave del mondo alla ricerca dei diamanti più puri che poi, nelle mani di orafi, sono stati incastonati in un teschio di platino che gioca alla morte una beffa nel lusso estremo: For the Love of God ha il primato di essere l’opera d’arte contemporanea con i costi di realizzazione più alti della storia.
Davide Dall’Ombra: Bisogna dire che opere come queste hanno naturalmente un forte carattere provocatorio, ma che il loro significato non si limita a questo, lui stesso ha l’ambizione di mettere le persone di fronte alle “questioni fondamentali della propria vita”, di fronte alle quali non si sente in grado di dare risposte “eterne”, ma solo obbligato a farle emergere quali sono, ossia domande sempre aperte, questioni eterne, appunto. E, proseguendo nella stessa intervista di Robert Ayers, alla domanda di quale siano queste questioni eterne, Hirst, citando un’opera di Gauguin, non lascia dubbi: «Da dove veniamo? Chi siamo? Dove stiamo andando? Penso siano queste le grandi questioni dell’arte e molti artisti si pongono queste domande e cercano di dare ad esse una parvenza di risposta, qualche suggerimento per trovarla…» e non mi sembra una dichiarazione da poco, anche perché stare di fronte a queste domande porta Hirst ad amare ancora di più la vita e il suo lavoro: «Ma alla fine della giornata, anche l’arte non può che dire: “Non è grande la vita?!”. Questo è il massimo che si possa ottenere dall’arte».
L’intero dialogo lo trovate qui.