Save The Date: 21 maggio 3015. Black Square di Taryn Simon

Taryn Simon, Black Square VIII
Taryn Simon, Black Square, 2006–
Void for artwork 31 1⁄2 x 31 1⁄2 inches (80 x 80 cm)
Permanent installation at Garage Museum of Contemporary Art, Moscow

Ho letto sull’ultimo numero di Aperture un’intervista a Taryn Simon che parla di questa sua opera conservata al Garage Museum of Contemporary Art di Mosca.

Riproduco qui la mia traduzione della didascalia che accompagna l’opera:

Nell’anno 3015, circa un migliaio di anni dopo la sua creazione, un quadrato nero realizzato con scorie nucleari vetrificate occuperà questo spazio. Fabbricato il giorno 21 maggio 2015, il Quadrato Nero è attualmente conservato in un contenitore di acciaio e cemento armato all’interno di una camera di tenuta, circondata da terreno ricco di argilla, presso l’impianto di smaltimento dei rifiuti nucleari Radon a Sergiev Posad, che si trova 72 km a nord est di Mosca. L’opera rimarrà nell’impianto di Radon fino a quando le sue proprietà radioattive non siano diminuite a livelli ritenuti sicuri per essere esposto per gli uomini in una mostra. All’interno del Quadrato Nero sono state fuse due capsule cilindriche d’acciaio all’interno delle quali c’è una lettera che Taryn Simon ha inviato al futuro.

Il processo di vetrificazione porta i rifiuti radioattivi da un stato liquido volatile a una massa solida stabile simile a un vetro nero lucido. È considerato uno dei metodi più sicuri e più efficaci per la conservazione a lungo termine e la neutralizzazione delle scorie radioattive. Quadrato Nero XVII è stato creato in collaborazione con l’azienda di Stato russa per l’Energia Atomica (Rosatom), in occasione del centenario della prima esposizione del Quadrato Nero di Kazimir Malevich. Quadrato Nero XVII di Taryn Simon è composto scorie nucleari di medio livello e lungo termine contenenti liquidi organici, liquidi inorganici, fanghi e polveri chimiche provenienti da una centrale nucleare di Kursk, e da elementi farmaceutici e chimici provenienti dalla regione della attorno a Mosca.

Di Taryn Simon avevo già scritto qui e penso che il grande successo che ha ottenuto negli ultimi anni se lo sia tutto guadagnato.

Questa opera, in particolare, mi pare abbia una forza tutta particolare perché, in un clima culturale in cui il respiro è sempre a breve termine e si richiede che il risultato di un’opera – che sia artistica o meno non importa – abbia un risultato tangibile immediato, ecco: lei ci dà appuntamento tra mille anni. Nessuno di noi vedrà l’opera finita e neanche lei sa se il progetto cadrà o meno nell’oblio. Però oggi ci dice due cose importanti:

1) Ci sono cose che realizziamo oggi le cui conseguenze potranno essere viste solo tra diversi secoli.

2) Le idee possono anche invecchiare, ma non si deteriorano col tempo. Questa da una parte è la loro forza, dall’altra la loro pericolosità.

Taryn Simon
Taryn Simon

I MIEI APPUNTI SULLA FRIEZE ART FAIR 2011

I grandi assenti sono Damien Hirst e Jeff Koons. Erano anni che le loro opere la facevano la padrone degli stand delle gallerie più importanti. Quest’anno a Frieze Art Fair invece, no. Loro non ci sono e al loro posto in bella vista ci sono gli artisti del momento : Gerhard Richter, Ai Weiwei e Anish Kapoor. Il fatto è che questi ultimi nell’ultimo anno hanno presentato nuove opere di una certa importanza (il salto no-painting del tedesco, il Leviathan di Kapoor e la mostra alla Lisson per il cinese nominato numero 1 dell’Art Word da Art Review). I primi due no. Il 2011 per loro è stato l’anno del silenzio creativo (più per Koons che per Hirst, in verità) e così il mercato registra questa loro assenza. Le domande sono due : cosa staranno facendo di bello ? O meglio: di nuovo? Hirst riesce a far parlare di sé con gli Spot paintings (all’asta sia da Christie’s che da Sotherby’s e in mostra da White Cube), Koons invece sembra assente su tutta la linea. Tornerà o è andato in pensione come Cattelan ?

Pittura
Nell’anno del suo trionfo con la grande retrospettiva nei musei di Londra, Berlino e Parigi che lo incorona come il più grande pittore vivente, Gerhard Richter abbandona i pennelli. Almeno così sembra (parzialmente almeno) dalla mostra in corso da Marian Goodman a Parigi nella quale il pittore tedesco presenta delle grandi stampe digitali attraversate la mille strisce di colore parallele.  Per il resto la pittura non se la passa molto bene : nessuno ha il coraggio, la baldanza, la spregiudicatezza di fare quadri di grande respiro. Non è una novità certo. Ma quest’anno ho notato che a Londra la quantità di opere di pittura fosse più consistente rispetto agli ultimi due anni. Ci sono quindi questi due dati contrastanti : più pittura, ma più pittura stanca. Non è un caso che i due quadri più belli esposti in fiera fossero di due pittori morti : Jörg Immendorf e Sigmar Polke. Una nota : cosa succede con Cy Twombly ? Dalla fiera e dalle aste sono sparite le sue opere. Non così è per Lucian Freud. C’è un motivo ?

Gerhard Richter, Strip (CR 921-1), 2011, Digital print mounted between aluminium and perspex (Diasec) in two parts, 200x440cm.
Gerhard Richter, Strip (CR 921-1), 2011, Digital print mounted between aluminium and perspex (Diasec) in two parts, 200x440cm. (ndr : le righe nella realtà sono dritte).

Jörg Immendorf, untitled, 2006, oil on canvas, 250x300cm.
Jörg Immendorf, untitled, 2006, oil on canvas, 250x300cm.

Sigmar Polke, Siberian meteorites, 1988, artificial resin on polyester fabric, 300x255cm.
Sigmar Polke, Siberian meteorites, 1988, artificial resin on polyester fabric, 300x255cm.

Scultura e altro
Ma tornando a Frieze 2011: le due opere più forti (nel senso di provocatorie) sono del duo Elmgreen & Dragset. La prima mostra un bambino abbandonato in una culla davanti a una porta della camera 69 di un albergo fuori dalla quale è affisso l’avviso “please do not disturb”. La seconda riproduce un obitorio a grandezza naturale. Da uno degli scomparti d’acciaio spuntano un cadavere di donna coperto da un lenzuolo. Si vedono solo i piedi nudi e, accanto a essi, gli effetti pesonali della donna : una collana, un paio di scarbe e un Blackberry. Meno acuti di Cattelan, ma non meno ironici e spietati. Si rivede Nathalie Djurberg con una nuova animazione fatta per l’occasione. Non male. Ancora energica e immaginifica.

Elmgreen & Dragset
Elmgreen & Dragset

Nathalie Djurberg
Nathalie Djurberg

Nathalie Djurberg
Nathalie Djurberg

Fotografia
Oltre ai pittori anche i fotografi sono quasi sempre tedeschi. Cioè, sono tedeschi quelli che piacciono a me. Wolfgang Tillmans mi sembra tenere botta con alcuni pezzi belli anche se non innovativi (a lui perdono praticamente tutto), Andreas Gursky dà l’impressione che col passare del tempo sia sempre più compiaciuto. Di Thomas Ruff i galleristi hanno tirato fuori un paio di opere pixelate sull’11 settembre che non avevo mai visto (gli anniversari sono sempre gli anniversari). Taryn Simon c’è anche al Frieze (ha tenuto una conferenza giovedì), ma di lei vi parlerò in un altro post. Alla Biennale avevo notato la fotografa indiana Dayanita Singh e qui si conferma con un’opera molto interessante. Poi spopola Ryan McGinley con i suoi giovani nudi che fanno acrobazie in boschi illumninati da una irreale luce. C’è Darren Almond che mi è piaciuto molto. E infine l’intramontabile Luigi Ghirri. La presenza alla Biennale ci ha ricordato quanto sia grande. Mi pare sia l’unico grande nome italiano presente a questo Frieze.

Wolfgang Tillmans, Faltenwurf (grey), 2011.
Wolfgang Tillmans, Faltenwurf (grey), 2011.

Wolfgang Tillmans, Onion, 2010.
Wolfgang Tillmans, Onion, 2010.

Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007.
Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007.

Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007 (didascalia dell’opera).
Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007 (didascalia dell’opera).

I grandi assenti sono Damien Hirst e Jeff Koons. Erano anni che le loro opere la facevano la padrone degli stand delle gallerie più importanti. Quest’anno a Frieze Art Fair invece, no. Loro non ci sono e al loro posto in bella vista ci sono gli artisti del momento : Gerhard Richter, Ai Weiwei e Anish Kapoor. Il fatto è che questi ultimi nell’ultimo anno hanno presentato nuove opere di una certa importanza (il salto no-painting del tedesco, il Leviathan di Kapoor e la mostra alla Lisson per il cinese nominato numero 1 dell’Art Word da Art Review). I primi due no. Il 2011 per loro è stato l’anno del silenzio creativo (più per Koons che per Hirst, in verità) e così il mercato registra questa loro assenza. Le domande sono due : cosa staranno facendo di bello ? O meglio: di nuovo? Hirst riesce a far parlare di sé con gli Spot paintings (all’asta sia da Christie’s che da Sotherby’s e in mostra da White Cube), Koons invece sembra assente su tutta la linea. Tornerà o è andato in pensione come Cattelan ?

Pittura
Nell’anno del suo trionfo con la grande retrospettiva nei musei di Londra, Berlino e Parigi che lo incorona come il più grande pittore vivente, Gerhard Richter abbandona i pennelli. Almeno così sembra (parzialmente almeno) dalla mostra in corso da Marian Goodman a Parigi nella quale il pittore tedesco presenta delle grandi stampe digitali attraversate la mille strisce di colore parallele.  Per il resto la pittura non se la passa molto bene : nessuno ha il coraggio, la baldanza, la spregiudicatezza di fare quadri di grande respiro. Non è una novità certo. Ma quest’anno ho notato che a Londra la quantità di opere di pittura fosse più consistente rispetto agli ultimi due anni. Ci sono quindi questi due dati contrastanti : più pittura, ma più pittura stanca. Non è un caso che i due quadri più belli esposti in fiera fossero di due pittori morti : Jörg Immendorf e Sigmar Polke. Una nota : cosa succede con Cy Twombly ? Dalla fiera e dalle aste sono sparite le sue opere. Non così è per Lucian Freud. C’è un motivo ?

Gerhard Richter, Strip (CR 921-1), 2011, Digital print mounted between aluminium and perspex (Diasec) in two parts, 200x440cm.
Gerhard Richter, Strip (CR 921-1), 2011, Digital print mounted between aluminium and perspex (Diasec) in two parts, 200x440cm. (ndr : le righe nella realtà sono dritte).

Jörg Immendorf, untitled, 2006, oil on canvas, 250x300cm.
Jörg Immendorf, untitled, 2006, oil on canvas, 250x300cm.

Sigmar Polke, Siberian meteorites, 1988, artificial resin on polyester fabric, 300x255cm.
Sigmar Polke, Siberian meteorites, 1988, artificial resin on polyester fabric, 300x255cm.

Scultura e altro
Ma tornando a Frieze 2011: le due opere più forti (nel senso di provocatorie) sono del duo Elmgreen & Dragset. La prima mostra un bambino abbandonato in una culla davanti a una porta della camera 69 di un albergo fuori dalla quale è affisso l’avviso “please do not disturb”. La seconda riproduce un obitorio a grandezza naturale. Da uno degli scomparti d’acciaio spuntano un cadavere di donna coperto da un lenzuolo. Si vedono solo i piedi nudi e, accanto a essi, gli effetti pesonali della donna : una collana, un paio di scarbe e un Blackberry. Meno acuti di Cattelan, ma non meno ironici e spietati. Si rivede Nathalie Djurberg con una nuova animazione fatta per l’occasione. Non male. Ancora energica e immaginifica.

Elmgreen & Dragset
Elmgreen & Dragset

Nathalie Djurberg
Nathalie Djurberg

Nathalie Djurberg
Nathalie Djurberg

Fotografia
Oltre ai pittori anche i fotografi sono quasi sempre tedeschi. Cioè, sono tedeschi quelli che piacciono a me. Wolfgang Tillmans mi sembra tenere botta con alcuni pezzi belli anche se non innovativi (a lui perdono praticamente tutto), Andreas Gursky dà l’impressione che col passare del tempo sia sempre più compiaciuto. Di Thomas Ruff i galleristi hanno tirato fuori un paio di opere pixelate sull’11 settembre che non avevo mai visto (gli anniversari sono sempre gli anniversari). Taryn Simon c’è anche al Frieze (ha tenuto una conferenza giovedì), ma di lei vi parlerò in un altro post. Alla Biennale avevo notato la fotografa indiana Dayanita Singh e qui si conferma con un’opera molto interessante. Poi spopola Ryan McGinley con i suoi giovani nudi che fanno acrobazie in boschi illumninati da una irreale luce. C’è Darren Almond che mi è piaciuto molto. E infine l’intramontabile Luigi Ghirri. La presenza alla Biennale ci ha ricordato quanto sia grande. Mi pare sia l’unico grande nome italiano presente a questo Frieze.

Wolfgang Tillmans, Faltenwurf (grey), 2011.
Wolfgang Tillmans, Faltenwurf (grey), 2011.

Wolfgang Tillmans, Onion, 2010.
Wolfgang Tillmans, Onion, 2010.

Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007.
Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007.

Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007 (didascalia dell’opera).
Taryn Simon, The Wailing Wall, Jerusalem Minu Israel, Latrum, Istrael, 2007 (didascalia dell’opera).

TARYN SIMON: FOTOGRAFARE L’INFOTOGRAFABILE

Hymenoplasty	 Cosmetic Surgery, P.A.	 Fort Lauderdale, Florida
Hymenoplasty Cosmetic Surgery, P.A. Fort Lauderdale, Florida
Transatlantic Sub-Marine Cables Reaching Land	 VSNL International	 Avon, New Jersey
Transatlantic Sub-Marine Cables Reaching Land VSNL International Avon, New Jersey
U.S. Customs and Border Protection, Contraband Room	 John F. Kennedy International Airport	 Queens, New York
U.S. Customs and Border Protection, Contraband Room John F. Kennedy International Airport Queens, New York

Taryn Simon è un po’ la Sofia Coppola della fotografia. Newyorkese, classe 1974, parentele importanti (è la cognata di Gwyneth Paltrow) e soprattutto: piace alla gente che piace (leggi: Gagosian). La segnalo per due motivi: il primo è che dà l’impressione di una maturità di sguardo sorprendente per la sua età, il secondo è che come pochi è riuscita nell’intento di fotografare l’infotografabile. Mi riferisco soprattutto a due lavori come An American Index of the Hidden and Unfamiliar (2007) – del quale alcuni scatti sono esposti nel padiglione danese della Biennale di Venezia, e Contraband (2010). Americanissima, anche nello stile di critica sociale che avanza con la sua opera, adotta il teutonico processo di catalogazione inventato da Bernd e Hilla Becher. Lo dimostra nell’ultimo lavoro A Living Man Declared Dead and Other Chapters esposto in questi giorni alla Tate Modern (fino al 2 gennaio 2012), nel quale fotografa sedici “bloodline”, immortalando i volti dei membri di famiglie svelando contemporaneamente le storie ad essi legate, come accade, appunto, nella storia indiana dell’uomo vivo dichiarato morto.

Qui la presentazione della mostra di Londra

Qui invece la presentazione di An American Index of the Hidden and Unfamiliar