Filippo De Pisis. Rapidità ansiosa

DE PISIS Venezia-Marina 1930
Filippo De Pisis, Venezia-Marina, 1930

Tornare a vedere Filippo De Pisis per cercare di capire il perché di questo ostinato oblio che lo circonda. Eppure, poco lontano dal Museo Ettore Fico, dove fino al 22 aprile si può visitare “Filippo de Pisis – Eclettico connoisseur fra pittura, musica e poesia”, alla GAM di Torino è esposto nella stessa sala di Giorgio Morandi. E si capisce il perché. Che il Meridiano di Roberto Longhi si intitoli Da Cimabue a Morandi e non Da Cimabue a De Pisis, spiega solo in parte perché il pittore bolognese abbia avuto una fortuna infinitamente più ampia rispetto all’artista di Ferrara (che pure stava appeso con una natura morta nella sala da pranzo del grande critico). Probabilmente la semplice complessità di Morandi si offre in modo generoso a una lettura “concettuale” della sua monastica ossessione per la luce che si distende sugli oggetti.

E De Pisis? No, De Pisis è molto meno incasellabile nelle categorie del gusto corrente. E, diciamolo, la sua è una pittura che muore se riprodotta. Così, complici anche le cornici orribili e polverose, è facile scambiare queste opere vibranti e inquiete per quadri da pizzeria.

In mostra viene riprodotto un brano di Giuseppe Raimondi che, nel 1941, fa riferimento a Manet per spiegare le nature morte marine di De Pisis:

Edouard Manet Sur la plage
Edouard Manet, Sur la plage, 1873

«Il quadro Sur la plage del ’73 è una straordinaria natura morta avente due grosse figure in primo piano, come mostruosi frutti di mare, e nel fondo la distesa delle acque verdi. Anche la sua tavolozza ne restò impressionata: l’uso delle lacche rosse, affondate nelle dolcezze delle terre gialle o bruciate; gli accordi sui complementari, giallo oro e blu di Prussia e l’infinita scala dei verdi accordata coi rossi. Ma inoltre si direbbe che il pittore dell’Olimpia ha suggerito a De Pisis l’ardito impianto di talune composizioni o piuttosto il modo irruento di aggiustarne gli oggetti. Qualcosa di brusco e violento nella presa, cui segue la rapidità ansiosa della rappresentazione, ottenuta con i mezzi più alla mano. (…) la rapidità di una visione mai disgiunta di una sorte di intellettuale ilarità»

Mi pare che quel “rapidità ansiosa” e quel “brusco e violento” descrivano in modo preciso la dimensione elettrica della pittura di De Pisis. C’è un enigma di inquietudine scritto con quei geroglifici neri che innervano questi quadri. E se pizzeria deve essere, che sia la pizzeria del Four Season di New York per cui erano pensate le tele di Rothko ora alla Tate di Londra. Anche i fiori e le conchiglie di De Pisis toglierebbero l’appetito a chiunque (a meno che non si chiami Roberto Longhi).

Per questo sono convinto che occorra tornarci su questo artista. Almeno di tanto in tanto.

Un post condiviso da Luca Fiore (@lfiore) in data:

LA NEVE, LUIGI GHIRRI

Modena, 1985 – serie Architetture di Aldo Rossi, project print, 5.5 x 7 cm © Eredi di Luigi Ghirri Courtesy Fondo di Luigi Ghirri
Modena, 1985 – serie Architetture di Aldo Rossi, project print, 5.5 x 7 cm © Eredi di Luigi Ghirri, Courtesy Fondo di Luigi Ghirri

A Milano nevica. Rinuncio a esibirmi in immagini da Instagram scattate col mio pessimo iPhone e vi regalo questa. Sarà esposta dal 4 al febbraio all’11 marzo al Castello di Rivoli a Torino. La mostra, a cura di Elena Re, si intitola: LUIGI GHIRRI – Project Prints. Un’avventura del pensiero e dello sguardo.