Sono stato a Villa Panza per AISTHESIS – All’origine delle sensazioni la mostra Robert Irwin e James Turrell curata da Michael Govan e Anna Bernardini. La prima cosa da dire è che si tratta di una grande mostra. La seconda è un consiglio: scegliete una bella giornata di sole, e se andate in questo periodo, mettetevi un paio di calze di lana spessa. Vi godrete di più le opere.
È una grande mostra perché
- Ci sono delle opere davvero importanti
- La ricostruzione della vicenda dei due artisti e del loro, fondamentale, rapporto con il conte Panza è realizzata con poche parole e molti documenti
- L’allestimento è chiccosissimo
Irwin e Turrell sono due grandi vecchi e le loro prime intuizioni degli Anni Sessanta li hanno consegnati alla storia, ma loro traiettoria è ancora tesa e la forza delle ultime opere ci dice che continuano ad essere protagonisti assoluti nel panorama dell’arte di oggi. Penso che questo dipenda dai robustissimi presupposti teorici piantati quasi cinquant’anni fa. Questo vale soprattutto per Turrell che ha dovuto attendere che la maturazione della tecnologia gli permettesse di realizzare progetti concepiti sulla carta diverso tempo fa. La mostra al Guggenheim di New York, che purtroppo non ho visto, è certamente uno degli eventi del 2013 che nessuno si è preso la briga di sottolineare nelle scorse settimane, come sarebbe stato il caso.
Alla fine della mostra ho preso un caffè con un giovane gallerista che mi parlava con sospetto della necessità – a suo giudizio soprattutto italiana – di andare a cercare a tutti i costi i significati profondi e «spirituali» [parola che io tendo a non usare] dell’arte. Io ho risposto che il valore di un artista si misura anche con l’ambizione da cui parte il suo lavoro e la profondità dei temi affrontati è certamente parte di tale ambizione. Non si può negare che la dimensione «spirituale» o trascendente sia uno dei temi più profondi che un’artista possa affrontare. Ma per scoprire la dimensione «spirituale» di un lavoro, legata in un modo o nell’altro alle domande sul senso delle cose, occorre che l’artista abbia seminato davvero elementi concreti che permettano una lettura di questo genere. Magari non intenzionalmente o escludendolo esplicitamente. Dan Flavin, ad esempio, negava qualsiasi contenuto spirituale alle sue opere con i neon, eppure Giuseppe Panza vedeva in esse una fortissima carica religiosa. Chi aveva ragione? Che elementi concreti aveva il conte per pensare così? Secondo me ne aveva tanti e questo conferma la forza del lavoro dei neon, capace di trascendere, qui è proprio il caso di dirlo, le intenzioni dello stesso Flavin.
E Irwin e Turrell? Per i curatori della mostra i due vanno all’origine delle sensazioni. Sensazioni non tanto intese come “sentimenti”. Il lavoro dei due californiani non nasce da una ricerca emotiva o psicologica, ma si concentra sul funzionamento dei sensi. Soprattutto in Turrell questo è evidente: il suo lavoro è tutto teso a raggiungere il “grado zero” della percezione. Come dire: noi facciamo esperienza della luce tutti giorni, ma questa esperienza è sempre legata a degli oggetti fisici su cui la luce si riflette in diversi modi mostrandoci i colori, Turrell invece ci vuole offrire l’esperienza della luce in quanto tale, dei colori in quanto tali. Potremmo definirli i “Novissimi” [le cose ultime] della percezione: luce e colore al loro stato puro. Chi non ha paura di porsi certe questioni, visitando questa mostra, non può non essere portato a pensare, anche solo tangenzialmente, ai veri “Novissimi”: la morte, il giudizio, il Paradiso e l’Inferno o comunque alla sfera che con essi ha a che fare. Perché, in fondo, come diceva san Tommaso d’Aquino: «Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu». Non c’è nulla nell’intelletto che prima non sia passato nei sensi.