Giornale del Popolo, 21 febbraio 2007
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Fuori dal finestrino del pullman che ci porta dall’aeroporto di Tel Aviv alla “Domus Galilaeae”, sul Lago di Tiberiade, scorrono le immagini di un paesaggio che cambia ogni dieci minuti. Fitte case bianche di insediamenti di Coloni ebrei si alternano a villaggi arabi; brulli campi disseminati di rocce lasciano il posto a macchie verdi fatte di cespugli o addirittura piccoli boschi di latifoglie o cipressi. Arrivati in Galilea il territorio si copre di verdissimi prati. «Solitamente il paesaggio è molto più arido – dice Marcello, la nostra guida –. Recentemente ha piovuto e qui quando capita tutto si tinge di verde in men che non si dica». A tratti sembra di vedere i pendii del centro Italia. Chessò: l’Umbria o le Marche. Alla “Domus Galilaeae” ci aspettano i padroni di casa: la comunità del Cammino neocatecumenale. Nell’atrio del monumentale complesso progettato dalla matita dello stesso Kiko Argueillo ci accolgono con uno dei loro canti caratteristici. La casa ha i comfort di un albergo quattro stelle, ma l’atmosfera che si respira è un’altra, per fortuna. La Messa, poi la cena. Don Rino annuncia che alla fine della cena ognuno si potrà far servire superalcolici offerti dalla casa. Il pellegrinaggio – penso – comincia nel migliore dei modi. Prima di andare a dormire vado ad affacciarmi sull’immensa terrazza che dà sulla conca del Mare di Galilea. Sull’acqua si riflettono le luci di Tiberiade che se ne sta lì, come distesa a dormire sul dolce pendio. Tornando in camera passo accanto alla sala da pranzo. Ci sono ancora i camerieri (ragazzi che frequentano il “cammino”) che rimettono a posto i tavoli e puliscono il pavimento. Mi fermo un attimo e ascolto. Ora et labora: stanno recitando il rosario.
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Una grande basilica è costruita su quella che fu la piccola casa della Madonna. Lì dentro un giorno giunse un angelo: «Ti saluto o piena di grazia». Su quel punto, oggi, c’è un piccolo altare con l’iscrizione: “Verbum caro hic factum est” – il Verbo si è fatto carne qui. All’inizio della messa i seminaristi intonano un canto alla Madonna e il Vescovo trova l’occasione per un simpatico rimbrotto: «Ragazzi non avete capito che non siamo in un santuario mariano? Qui è dell’Incarnazione che si fa memoria: di Dio che si è fatto come noi, per farci come lui». Era il consiglio per il canto giusto. Segnamocelo, per la prossima volta.