LA RIVOLUZIONE ZAPATERA

INTERVISTA A FERNANDO DE HARO
Giornale del Popolo, 29 marzo 2007

Trattative di pace con l’ETA, processo agli attentatori dell’11 marzo, politica sull’educazione e sulla vita. Questi i temi sul piatto del dibattito politico spagnolo a tre anni dagli attentati di Atocha e dalla conseguente ascesa al potere del segretario del Partito socialista José Luis Rodríguez Zapatero. Ferdinando de Haro è dall’ottobre del 2003 il direttore dei servizi informativi di Popular television, il canale televisivo della Conferenza episcopale spagnola. Con lui abbiamo parlato della Spagna di oggi e di come è governata. Quel che ne emerge è un quadro inquietante da una parte e desolante dall’altra. Quella che viene definita la “rivoluzione zapatera”, infatti, negli ultimi mesi ha mostrato il suo vero volto: quello di minare l’unità culturale del popolo spagnolo. Dall’altra parte della barricata, però, non sembra esserci una formazione politica pronta a dare battaglia e sembra difficile che qualcuno intenda ricostruire sulla terra bruciata dal passaggio delle truppe di Zapatero. E i cattolici? Da questa tempesta – come spesso capita nei momenti di difficoltà – sembrano uscirne ritemprati.
De Haro, partiamo dall’ETA. Lo scorso 10 marzo il Partito Popolare ha convocato una grande manifestazione a Madrid contro il processo di pace promosso dal Governo spagnolo. Perché ci si oppone a un processo di pace?
La manifestazione del Partito Popolare, alla quale hanno aderito 200 organizzazioni della società civile, è stata convocata per protestare contro la decisione di concedere gli arresti domiciliari a Inaki de Juana Chaos, un terrorista dell’ETA condannato per 25 omicidi. La decisione è stata presa cedendo alla richiesta dell’uomo che aveva incominciato lo sciopero della fame. È giusto opporsi a questo processo di pace perché la pace che si cerca di raggiungere, in questo caso, è una pace senza giustizia. Il governo di Zapatero vuole arrivare alla pace facendo concessioni politiche ai terroristi senza tener conto delle mille vittime che l’ETA ha fatto finora. Ora il Governo concede all’ETA ciò per cui questi terroristi hanno ucciso. Il problema è che i terroristi non hanno ancora abbandonato le armi, come è accaduto in Irlanda del Nord dove le concessioni sono seguite solo al disarmo dell’IRA. Qui accade il contrario: prima si parla di concessioni politiche e poi si discute del disarmo. Intanto gli attentati continuano come abbiamo visto il 30 dicembre scorso all’aeroporto di Madrid dove sono morte due persone e come vediamo per le strade dove vengono incendiate auto e autobus.
Zapatero dice che è necessario porre fine alla violenza con il dialogo. Se non è possibile dialogare, qual è l’alternativa?
Si può dialogare solo se i terroristi decidono di abbandonare la lotta armata. Come si può dialogare con qualcuno che al tavolo delle trattative viene con una bomba in mano? Come si può discutere con qualcuno che minaccia di uccidere se non ottiene quello che chiede? Questo lei lo chiama dialogo?
Da alcune settimane è in corso il processo per la strage dell’11 marzo. Alcune inchieste del quotidiano El Mundo sostengono che ci fu un ruolo dell’ETA nell’organizzazione dell’attentato. Che opinione ha a riguardo?
In realtà neanche El Mundo sostiene con certezza che ci fu un ruolo dell’ETA. Il problema è che la questione non è chiara, mentre il Governo sostiene che tutto è stato chiarito come ha detto lo stesso Zapatero ancora l’altro ieri. Ma in questa storia nulla è chiaro e a confermarlo ci sono le prime quattro settimane del processo. Non è certa la partecipazione dell’ETA, ma di questa possibilità il Governo non vuole neanche che si parli. Nel frattempo è cominciato un altro processo a carico di Miguel Ángel Santano Soria, il capo della polizia scientifica che è accusato di aver falsificato i documenti dell’indagine, in particolare di aver fatto sparire da un rapporto un passaggio che parlava proprio della possibilità di una connessione tra ETA e terroristi islamici. È noto che Santano Soria è un uomo di fiducia di Alfredo Perez Rubacaba, il ministro dell’Interno del Governo Zapatero. I sospetti sulla connessione tra gli islamisti dell’11 marzo e l’ETA \nnon sono dimostrati, ma il Governo deve andare fino in fondo nelle indagini per non lasciare dubbi a riguardo. È necessario arrivare a una certezza.
Come spiega l’atteggiamento del Governo?
Zapatero non vuole che si parli ancora a lungo dell’11 marzo perché sa che la sua vittoria elettorale è il risultato diretto di quegli attentati, per questo chiede un processo rapido.
Il governo spagnolo sta mettendo mano a una riforma degli Statuti di autonomia in Spagna. Qual è l’obiettivo di questa riforma? E quali sono le ragioni che la muovono?
In Catalogna i socialisti sono andati al governo con i nazionalisti e i comunisti e hanno modificato lo statuto di autonomia della regione. Si è trattato di una vera e propria riforma costituzionale che ha cambiato il modello di Stato spagnolo. Il modello di Stato descritto dalla Costituzione del 1978 è un modello quasi federale, ma con la riforma di questi statuti ci si è avvicinati al modello confederale. Zapatero ha appoggiato questa riforma per tre ragioni. La prima è quella di avere l’appoggio politico dei nazionalisti a livello nazionale. La seconda è per isolare il Partito Popolare. La terza ragione è che, essendo un rivoluzionario, vorrebbe cambiare la Costituzione del 1978 nata dalla transizione seguita alla morte di Franco con l’accordo dei partiti moderati. Con la modifica di questi statuti non è solo il modello di Stato a cambiare ma vengono introdotti nuovi “diritti fondamentali” che non erano riconosciuti dal testo del 1978. Sto parlando dell’eutanasia, dell’aborto, dei matrimoni omosessuali, della clonazione umana. Con la riforma degli Statuti della Catalogna e dell’Andalusia, di fatto, si modifica la Costituzione anche in materie sociali ed etiche.
Come è possibile?
Questi statuti sono propriamente costituzioni che hanno un preambolo che parla dei diritti fondamentali. I diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione spagnola del 1978 sono differenti da quelli riconosciuti dagli Statuti di Catalogna e Andalusia. Visto che Zapatero non può toccare il testo del ’78, sta facendo passare una riforma costituzionale dalla porta di servizio.
Perché qualcuno parla di dissoluzione dell’unità del popolo spagnolo?
Con questa riforma degli statuti il modello di Stato del 1978 viene meno e la Catalogna, ad esempio, ha ottenuto un potere totale su praticamente tutti gli aspetti legislativi. Viene poi riconosciuto un rapporto bilaterale tra la Catalogna e il Governo centrale sul modello confederale, senza che questo rapporto esista con le altre regioni. L’unità della Spagna è una realtà vincolata alla tradizione cattolica e a una certa tradizione socialista non radicale con le quali Zapatero vuole che il Paese prenda le distanze. L’unità dello Stato spagnolo, sancita dalla Costituzione del 1978 è un patto fra comunisti, cattolici e un certo socialismo classico che potremmo definire socialdemocratico. Questo patto riconosce una storia e una cultura comune. L’unità dello Stato rispecchia l’unità culturale e religiosa del popolo e si mette in discussione la prima per intaccare la seconda.
Al progetto politico e culturale di Zapatero si sono sempre opposti i vescovi spagnoli. L’ultimo atto di questa opposizione è un documento del primo marzo che critica i decreti attuativi della legge sull’educazione. Di cosa si tratta? Qual è la loro preoccupazione?
Zapatero ha fatto una riforma dell’educazione molto statalista. In Spagna il 30 per cento dell’educazione è in mano alla società civile e lo Stato finanzia queste scuole pubbliche che nascono da un’iniziativa sociale. Con questa riforma il Governo di fatto riduce la libertà di queste realtà educative imponendo maggiori vincoli e controlli da parte dello Stato. Un’altra questione è l’introduzione di un corso chiamato “Educazione alla cittadinanza” che di fatto è un corso in cui si insegna una sorta di “morale di Stato” relativista. Di fatto i contenuti di questo corso violano la libertà di coscienza perché si tratta di una forma di confessionalismo laicista. L’ultimo aspetto che ha fatto reagire i vescovi è stata la marginalizzazione dell’ora di religione. Questa riforma sta andando avanti senza il consenso sociale, il metodo è quello “rivoluzionario” in cui un’élite porta avanti un progetto ideologico senza fare i conti con il popolo.
Ci sono problemi anche con la politica sulla vita…
Sì, il Parlamento ha proposto un disegno di legge che prevede la legalizzazione della clonazione umana. Dopo tre anni di Governo Zapatero la Spagna è diventata l’avanguardia “rivoluzionaria” della ricostruzione della tradizione occidentale: abbiamo il matrimonio omosessuale, il divorzio abbreviato, la clonazione umana, una riforma dell’educazione che è contro la libertà di scelta e di coscienza e abbiamo un progetto volto a distruggere il consenso costituzionale raggiunto tra destra e sinistra e l’unità culturale del Paese. A questo si aggiunge un processo di pace che cede al ricatto dei terroristi. Un quadro fantastico, non trova?
Inquietante davvero. Ma questo processo è irreversibile?
Probabilmente sì. Perché il partito di opposizione, il Partito Popolare, è debolissimo dal punto di vista culturale e non mi sembra in grado di intraprendere la battaglia che occorre combattere. Nel caso torni al governo, ad esempio, non è chiaro se manterrà o meno la legge sul matrimonio omosessuale. Oppure abbiamo visto come non ha fatto opposizione contro la legge sulla clonazione umana. Il Partito popolare è come complessato: ha paura di apparire come un partito confessionale e ci tiene a mostrare a tutti i costi di essere un partito moderno. Non mi sembra disposto a combattere su temi come la vita e la famiglia. Forse qualcosa farà per l’educazione, ma non ne sono sicuro.
Come si pongono i cattolici in questo contesto?
Questo periodo è stato drammatico per i cattolici, anche se non tragico. Il problema dei cattolici spagnoli è che hanno ricevuto come eredità dal periodo di Franco una concezione di cattolicesimo passivo, intimistico, privo della coscienza di un loro possibile ruolo sociale. Negli ultimi tre anni ci sono molti cattolici che hanno incominciato a muoversi, in alcuni casi anche scendendo in piazza, sul tema della libertà di educazione e della difesa della vita. C’è stato qualcuno tra i cattolici che ha risposto in maniera reattiva proponendo una posizione culturale ideologica: «la Spagna è cattolica e per questo così non va». Per tanti, invece, è stata un’occasione per maturare una maggior chiarezza su quale sia il valore del cattolicesimo all’interno della vita sociale di un popolo. È stata anche un’occasione per comprendere meglio come i cattolici siano un soggetto sociale che ha un valore in sé, un’identità propria, il cui ruolo non può essere sostituito da nessun partito politico.

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