UNA RADICALE AL FAMILY DAY

INTERVISTA A EUGENIA ROCCELLA
dal Giornale del Popolo del’11 maggio 2007

Ne è passata di acqua sotto i ponti del Tevere da quel 1974, quando scendeva in piazza per manifestare a favore della legge sul divorzio. Eugenia Roccella è figlia di uno dei fondatori del Partito Radicale Italiano e grande amico di Marco Pannella; per anni militante del Movimento della liberazione della donna, oggi è considerata un’eretica dai suoi ex-compagni di strada. Non per aver cambiato idea su divorzio o aborto, ma per essersi schierata col fronte cattolico sui temi ora al centro del dibattito etico: eutanasia, procreazione assistita, legislazione sulle coppie di fatto. Domani sarà in piazza addirittura come portavoce del Family Day, la manifestazione promossa dal laicato cattolico, sostenuta dai vescovi e mal sopportata da una vasta fetta della maggioranza di governo.

Eugenia Roccella, perché un Family Day?
Il senso di questa manifestazione è quello di esprimere il disagio per una lunga trascuratezza che c’è stata in Italia nei confronti della famiglia. Siccome la famiglia in Italia è una realtà abbastanza solida e nella nostra cultura rimane centrale, per decenni si è pensato che si mantenesse vitale da sola. Invece c’è bisogno che sia messa al centro dell’attenzione della politica e siano presi dei provvedimenti che l’aiutino. Occorre rimodellare il welfare sulla famiglia e non, come accade ora, sugli individui.

Scusi, ma perché proprio ora se è una situazione che va avanti da decenni?
L’idea di questa manifestazione è nata dopo che l’attuale governo ha messo a punto un disegno di legge sui diritti dei conviventi (DICO, ndr) che vuole regolare le coppie di fatto. Il Family Day nasce subito dopo la proposta dei DICO, anche se non è una risposta diretta ai DICO. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo trent’anni di disattenzione avevamo sperato che con la nascita del Ministero per la Famiglia, introdotto da questo governo, si potesse aprire una nuova stagione di attenzione e invece la prima cosa che si fa cos’è? La legge sui Dico. Cioè qualcosa di assolutamente non necessario e che culturalmente toglie valore alla famiglia, perché ne mina l’unicità, perché dice che esistono molte forme di famiglia.

La vostra manifestazione è contro questo governo?

No. La nostra non è una manifestazione politica in senso partitico. Non è una manifestazione di parte, cioè antigovernativa.

Ma è questo governo che ha proposto i Dico, mica un altro.
Certo, certo. È stato questo governo, ma questo governo può anche fare marcia indietro. Noi abbiamo detto in tutti modi che siamo disponibili ad altre soluzioni che non prevedano un riconoscimento pubblico delle unioni di fatto, ma trovando soluzioni di tipo privatistico: i diritti della persona sì, i diritti pubblici della coppia no.

Facciamo un passo indietro. Da dove nasce questa disattenzione alla famiglia che arriva fino al tentativo – conscio o meno che sia – di ridisegnarla?

Da una parte viene anche da coloro che culturalmente volevano difendere la famiglia, la vecchia Democrazia cristiana per intenderci, e poi viene da quel lato invece di chi la famiglia voleva distruggerla. I primi, in tanti anni di governo, non hanno fatto nulla per proteggere la famiglia facendo politiche molto vecchie che non tenevano contro di quello che stava avvenendo. I secondi – a partire dagli anni 70 – hanno creato un fronte culturale che qualche studioso ha chiamato “dell’antifamiglia”. Era l’area libertaria da una parte e marxista dall’altra che faceva analisi per la distruzione della famiglia, vista come un luogo di egoismo privato, borghese. Poi c’è questa nuova cultura dei “nuovi diritti individuali” che viene promossa soprattutto dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea che propone, in sostanza, una nuova antropologia che intacca le identità personali e intacca anche il concetto di famiglia. Questa è una cultura che ha portato, ad esempio, al riconoscimento in quasi tutta Europa delle unioni di fatto e dei matrimoni tra omosessuali.

Si potrebbe obiettare: in Europa ormai tutti sono andati in quella direzione, la vostra è una battaglia di retroguardia…
Al contrario, io penso che sia una battaglia di avanguardia. Noi potremo essere gli ultimi a registrare le unioni di fatto o i primi a imboccare una nuova strada. Io ritengo che noi dobbiamo essere i primi a imboccare una nuova strada proprio perché possiamo vedere quello che già accade negli altri Paesi europei.

E cioè? Cosa sta accadendo?
Il riconoscimento delle unioni di fatto è andato di pari passo con un aumento esponenziale, per esempio, delle madri sole. Addirittura in Norvegia e in Svezia le madri sole hanno raggiunto il 50 o il 60%. La metà dei figli nasce da famiglie monoparentali. Noi vogliamo che le madri restino sole? Vogliamo la scomparsa sostanziale della paternità? Perché è questo che succede. Alla fine il padre diventa lo Stato, nel senso che il padre diventa il welfare che aiuta queste donne. Ma è assurdo che il figlio sia un appannaggio individuale della donna.

Suona strano detto da una femminista…
Io come femminista volevo e voglio ancora una intercambiabilità dei ruoli e una condivisione delle responsabilità, voglio che ci sia una madre e un padre possibilmente. Poi, per carità, le cose falliscono, le coppie scoppiano e bisogna prevedere di riparare al danno. Ma progettare il danno mi sembra francamente troppo. Non si può, cioè, progettare in partenza una forma di famiglia poco impegnativa che porta molto più spesso, rispetto ai matrimoni, alla separazione. Non parliamo di altri paesi dove ormai si punta il dito contro le unioni di fatto perché si dice che favoriscano, proprio per questa fragilità, il disagio giovanile.

Disagio giovanile?
In Inghilterra c’è stato il Rapporto Smith che ha rivelato numeri pazzeschi: il 70% della criminalità giovanile è legata a ragazzi che vengono da famiglie monoparentali. Pensi che in Inghilterra i divorzi hanno superato i matrimoni (quindi di divorzi ce ne sono tantissimi), eppure una coppia di fatto si rompe dieci volte più facilmente di un matrimonio. Noi in Italia abbiamo una situazione molto particolare: c’è una scarsissima natalità, ma abbiamo una grandissima forza della famiglia. Questa forza è un privilegio italiano da mantenere o è qualcosa che possiamo permetterci di buttare a mare?

Lei è stata una militante radicale, ha fatto la battaglia prima per il divorzio poi per l’aborto. Come è mai è diventata la portavoce del Family Day?

Io ancora oggi sarei a favore del divorzio, perché è giusto che un matrimonio civile si possa rompere. Poi chi è religioso non lo rompe, o tendenzialmente cerca di non farlo e si confronta con la propria fede. Ma proprio per questo: c’è il matrimonio civile, c’è il divorzio, perché bisogna istituzionalizzare le coppie di fatto? Che significato hanno? In questo non ho cambiato idea. Io ritengo che siano cambiati molto gli scenari internazionali e generali.

In che senso?
Io non sono assolutamente d’accordo che sia un elemento di maggiore libertà il tipo di modello che ci stanno proponendo. Per essere individualisti si tolgono all’individuo le cose che lo rendono forte: le proprie origini, le proprie radici, le relazioni. Ormai c’è l’idea di un individuo solo, senza relazioni, ma l’individuo è tale all’interno della sua esperienza. Essere figli di un uomo e una donna è un’esperienza che accomuna tutti gli uomini. Manipolare questa esperienza fondamentale dell’uomo (come d’altra parte si tende a manipolare il corpo, l’identità sessuale, la nascita attraverso la tecno-scienza) non appartiene all’orizzonte culturale delle libertà, anzi. Mi sembra che appartenga piuttosto a una concezione totalitaria.

Totalitaria? Addirittura?
Chersterton diceva che la famiglia è una cellula anarchica. Io sono d’accordissimo. La famiglia è una forma di mediazione tra l’individuo e lo Stato. La famiglia è il luogo in cui valgono prima di tutto gli affetti e i bisogni. Infatti tutte le società totalitarie hanno cercato di eliminare la famiglia. Io penso ancora che le libertà individuali siano fondamentali, ma non ritengo che quelle che oggi ci vogliono imporre siano libertà.

I suoi ex compagni radicali non sembrano pensarla così, anzi…
A miei ex compagni di strada rimprovero di non tener conto che le cose sono cambiate, non siamo più negli anni 70, le libertà non sono più solo quelle di allora. A me sembra che si stia ridisegnando un’idea totalitaria di uomo, pensiamo all’eutanasia. Ritengo che siamo di fronte a minacce profonde nei confronti della liberà personale e soprattutto dell’identità umana, del senso dell’essere umano. E penso che i radicali non abbiano capito bene in che situazione siamo oggi, e continuino a ragionare con schemi di trent’anni fa.

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