Lanciare queste accuse a 33 anni di distanza non è il massimo dell’eleganza. Io, istintivamente, le rubricherei sotto la voce “teorie del complotto”. Ma chi è il ghostwriter di Foreman? Enrico Deaglio?
Da corriere.it
Tretatre anni dopo il «Terremoto nella giungla» («The rumble in the jungle», nella versione originale) fa discutere ancora. Fu definito così il match del 30 ottobre del 1974, a Kinshasa, tra George Foreman e Mohammed Alì, incontro vinto dal leggendario Alì e che ha fatto la storia della boxe. George Foreman, però, 33 anni dopo lancia dei sospetti sul regolare andamento dell’incontro. Nel suo libro «God in my Corner» («Dio nel mio angolo»), l’ex campione del mondo dei pesi massimi avanza il dubbio di essere stato drogato poco prima di salire sul ring. Foreman racconta che ha accusato subito una grande stanchezza, ricordando che la strategia di Alì era quella di incassare i colpi dell’avversario facendolo stancare. Strategia che pagò all’ottava ripresa quando Foreman andò ko.
«Prima che cominciasse l’incontro il mio preparatore – racconta Foreman nelle sue memorie -, mi diede un po’ d’acqua e io gli dissi che ero sicuro che non era semplice acqua perché sapeva di medicina e durante il combattimento sentivo questo sapore in bocca». Foreman continua spiegando che già al terzo round si sentiva stanco come dopo un match di 15 riprese. «Mi chiedevo cosa mi stesse succedendo e pensavo che qualcuno mi aveva drogato», scrive Foreman.