Dal Giornale del Popolo del 23 giugno 2007
“Non esistono milizie cristiane per difendersi. Quindi, un cristiano è un vulnerabile per eccellenza”. Si è aperto con il drammatico messaggio di mons. Louis Sako, arcivescovo iracheno di Kirkuk, il convegno del Comitato scientifico della rivista internazionale Oasis che si è tenuto mercoledì e giovedì a Venezia. Il vescovo iracheno non ha potuto partecipare all’incontro proprio per la difficilissima situazione della sua comunità cristiana. Uccisioni di preti, rapimenti, attentati e minacce alle comunità cristiane sono ormai all’ordine del giorno in alcuni Paesi del mondo musulmano e in Iraq in particolare. “Il problema non è tra cristiani e musulmani – prosegue Sako nel sul messaggio –. Il problema è il fondamentalismo che esclude l’altro e lo annienta per motivi religiosi ed etnici. La soluzione è aiutare la gente a riconoscere l’altro come una persona umana con un valore assoluto e collaborare con tutti per una società migliore in cui ognuno venga rispettato”. Ma per l’arcivescovo di Kirkuk occorre che anche il mondo politico si muova e chiede alla Lega dei Paesi arabi e all’organizzazione dei Paesi musulmani “di fare di tutto per proteggere la vita degli iracheni e quella della comunità cristiana che è una realtà fondamentale nella storia e nella cultura del Paese”.
Il precipitare della situazione dei cristiani iracheni (i cattolici secondo alcune fonti si sarebbero ridotti da 500mila a 25mila negli ultimi quattro anni) dà la misura dell’urgenza e dell’importanza dell’attività della rivista promossa dal Patriarca di Venezia Angelo Scola. Essa, infatti, costituisce lo strumento principale di una rete di rapporti nata proprio per avvicinare i cristiani che vivono in Occidente e quelli che si trovano nei Paesi a maggioranza musulmana. In questo senso il rapporto con l’Islam diventa per i promotori di Oasis un orizzonte ineludibile. A Venezia erano presenti personalità come il vicario apostolico del Kuwait, mons. Camillo Ballin, il vicario Apostolico d’Arabia, mons. Hinder, il nunzio apostolico in Kuwait, Yemen, Bahrain e Qatar, mons. Paul Mounged El-Hache, il vescovo di Islamabad, mons. Anthony Lobo e l’Arcivescovo Coadiutore di Gerusalemme, Fouad Twal. Con loro una cinquantina di studiosi europei, arabi cristiani e cristiani residenti in Paesi a maggioranza musulmana. Il cardinal Scola ha definito questa “rete di rapporti” come “Una cerchia di amici sempre aperta ed appassionata in modo caparbio all’incontro tra uomini di tutto le religioni e culture anche quando le circostanze, non raramente tragiche – in Iraq, in Afghanistan, in Palestina – assumono la natura dello scontro doloroso e perfino mortale”.
Un’amicizia tra cristiani, insomma, che definisce sia la natura della relazione tra i promotori della rivista e del centro studi ad essa collegato, sia la modalità di lavoro: “Il metodo con cui vogliamo operare un confronto a tutto campo con le problematiche derivanti dal processo che indicammo già anni fa di ‘meticciato di civiltà e culture’ – ha detto nella sua introduzione ai lavori il Patriarca di Venezia – è quello di passare umilmente attraverso la presenza delle minoranze, provate ma intensamente testimoniali, dei nostri fratelli cristiani. La bontà di questo metodo si è già più volte documentata nella capacità di costringere noi cristiani d’Occidente a superare l’intellettualismo che endemicamente ci affligge e nel provocare i nostri fratelli, d’Oriente ad assumersi fino in fondo il compito di accompagnarci all’incontro con le religioni, in particolar mondo con l’islam nelle sue diverse forme”. Al centro dei lavori del Comitato quest’anno è stato posto proprio il concetto di “meticciato di civiltà” che sembrerebbe descrivere in modo plastico il processo di rapida, dolorosa e a violenta trasformazione in atto nel mondo. Se infatti l’idea del multiculturalismo si limita a promuovere una giustapposizione di mondi, quella di meticciato descrive una situazione in cui le parti si coinvolgono profondamente e, partendo da una chiara identità che le distingue, sono capaci di influenzarsi vicendevolmente. È convinzione del cardinale di Venezia che quella del “meticciato” non sia l’unica categoria per spiegare il fenomeno al quale stiamo assistendo, ma essa debba essere privilegiata a quelle classiche di “identità”, “dialogo” e “interculturalità”. E provocatoriamente ha anche sottolineato che a questa categoria non debba essere sottratta la sua genesi biologica: “Il cristianesimo – si è domandato Scola – deve forse temere la fusione di razze e di popoli che è passata attraverso la generazione di persone da genitori di popolo diversi?”.
Tutto lo sforzo, insomma, sembra quello di andare oltre l’ormai consunta categoria di “scontro di civiltà” che non riesce a rendere ragione di moltissime realtà testimoniate fornite dagli intervenuti al convegno. “Parlando del meticciato, una parola che è tornata spesso nelle nostre discussioni è stata quella di “tessitore”, – ha riferito Scola – si è detto che l’uomo verso cui stiamo andando, nella misura in cui sarà inevitabilmente un po’ meticcio, sarà un ‘tessitore’”.
In un momento in cui si moltiplicano gli appelli per la difesa delle minoranze cristiane nei Paesi islamici (oltre a quello del Papa, significativo quello lanciato da Magdi Allam dalle colonne del Corriere della Sera) lo sforzo di Oasis per comprendere la natura delle sfide che emergono dall’attualità appare come una vera e propria novità. Per contenuti e, come abbiamo detto, per modalità.