Dal Giornale del Popolo del 27 giugno 2007
La città vecchia di Vilnius è un gioiellino per turisti con la macchina fotografica al collo. Sembra l’abbiano finita di costruire ieri, in realtà è lì da secoli. I palazzi settecenteschi e ottocenteschi sono stati tutti tirati a lucido grazie a una massiccia iniezione di capitali freschi freschi. La città vecchia di Vilnius è un pullulare di locali alla moda, pub e ristoranti. La sera la gente gira fino a tarda ora: giovanotti trendy e professionisti vestiti bene. Ovunque quell’ordine e quella pulizia che l’immaginario comune associa alla Svizzera. La città vecchia di Vilnius è la vetrina della nuova Lituania, quella che nel 2004 è entrata, d’un sol colpo, nella NATO e nell’Unione europea. E come in una vetrina c’è di tutto il meglio: ristoranti, alberghi, centro commerciali. Il municipio ha persino un piano di espansione in grande stile che ha trasformato la capitale lituana in grande cantiere. Vilnius, non c’è che dire, è una città proiettata verso il futuro.
L’economia tira e negli ultimi anni la crescita si è assestata tra il 7 e il 10 per cento del PIL. Merito, certo, dell’entrata nell’Unione europea, che ha regalato al Paese non solo i ricchi finanziamenti di Bruxelles ma anche la consapevolezza di essersi lasciati finalmente alle spalle i giorni bui, quando a comandare erano gli invasori, i russi.
Soprattutto dopo l’11 settembre, il Paese è diventato una meta per gli investitori stranieri in cerca di mercati alternativi. Nella regione di Klaipeda, sulle rive del Mar Baltico, fanno affari anche gli svizzeri che, in alcuni casi, si sono portati a casa il 20 per cento di quello che avevano investito. Insomma, per ora, la Lituania non ha tradito chi è venuto qui per fare affari. Per aumentare l’attrattività verso le industrie straniere si sono perfino inventati, sempre a Klaipeda, una Free Economic Zone (FEZ). Ad appena 2 km dal porto commerciale uno spazio di 22 ettari dove impiantare il proprio stabilimento a condizioni vantaggiosissime: per chi investe almeno un milione di euro niente tasse per i primi 5 anni, metà del dovuto per il successivo decennio. A questo si aggiunge la disponibilità di manodopera lituana a prezzi competitivi. Inaugurata nel 2002, oggi la FEZ ospita gruppi danesi, giapponesi, irlandesi, austriaci e indonesiani. Ma sulla sponda lituana del Mar Baltico non si fanno solo affari: il mare è sempre il mare e anche la Lituania ha la sua Riccione che si chiama Palanga. A Palanga la gente viene anche dai Paesi vicini d’estate per far vita da spiaggia e alberghi, pub e locali notturni cercano di non perdere il treno della rinascita del Paese.
Fin qui la Lituania da cartolina, quella patinata che invade i dépliant turistici e le brochure per gli investitori. Poi c’è quell’altro paese, quello – e sono gli stessi uffici turistici a spiegarlo – che ancora oggi lotta contro postumi della terribile sbronza dell’invasione sovietica.
A Vilnius, dietro il modernissimo centro commerciale “Europa”, sormontato da un grattacielo tutto acciaio e specchi, c’è un quartiere fatto di catapecchie di legno risparmiate dall’avanzata delle ruspe post-sovietiche. Lì la gente trascorre gli inverni a meno venti, e quando piove è costretta ad attraversare le fangose strade non asfaltate. Qui, in pieno centro, incomincia la grande periferia che circonda il cuore di Vilnius e che si estende per tutto il territorio lituano. Sì perché, fatta eccezione per alcuni centri importanti come Kaunas o Klaipeda, il resto della Lituania è ancora troppo occupato a rincorrere il presente per pensare al futuro.
Un’istantanea del disagio la forniscono i dati sull’emigrazione. Sono circa 300mila dal 1990 le persone che hanno cercato fortuna all’estero. E su una popolazione di 3,4 milioni di persone è un bel numero. Oggi la Lituania detiene il primato del paese dell’UE con il più alto tasso di emigrazione. Anzi da quando nel 2004 Vilnius è entrata a far parte del club di Bruxelles il tasso di chi decide di andarsene è addirittura raddoppiato. Tra il 2004 e il 2005 gli emigranti sono stati circa 49mila. Vanno soprattutto in Gran Bretagna, Irlanda, Svezia e Spagna. I primi tre Paesi sono quelli che nell’UE hanno deciso di non contingentare l’arrivo di immigrati dai dodici nuovi membri dell’Unione. La maggior parte di chi parte è un operaio specializzato, anche se moltissimi sono i laureati. Il motivo principale che spinge i lituani a fare le valigie è presto detto: i salari. Negli ultimi anni, è vero, sono aumentati, ma la concorrenza dei Paesi europei è impossibile da contrastare. Emblematico è il caso dei medici. Il primo salario lordo di un medico neolaureato è di 800 litas al mese (circa 380 franchi) che è appena poco meno del doppio delle 450 litas del salario minimo. Così sono in moltissimi gli universitari che decidono di andare a studiare all’estero o i neolaureati che cercano fortuna in Europa. Nelle città c’è grande richiesta di operai specializzati e professionisti, ma in campagna chi si affaccia sul mondo del lavoro sa che ad aspettarlo ci sono salari da fame. Così la campagna si svuota di giovani e nei piccoli centri rimangono solo gli anziani e chi non è riuscito ad integrarsi nel nuovo sistema perché troppo abituato all’assistenzialismo dei tempi del regime. Il disagio sociale è in crescita. All’appello non mancano solo 300mila persone, manca praticamente una generazione intera. La classe politica scommette tutto sulle magnifiche sorti e progressive che sembrano dietro l’angolo e spera che i giovani emigrati tornino presto sui loro passi. Più che una speranza è una vera e propria scommessa da cui dipende il futuro del Paese. Sembra di sentirla corridori dei palazzi del potere di Vilnius l’eco di quell’interrogativo cruciale: «Chi si prenderà carico del nuovo Paese che stiamo costruendo?».