DOVE I CRISTIANI SONO CITTADINI DI SERIE B

INTERVISTA AD ELHAM MANEA, RICERCATRICE ALL’UNIVERSITÀ DI ZURIGO

dal Giornale del Popolo del 5 luglio 2007

Elham Manea è yemenita e lavora come ricercatrice all’università di Zurigo e come giornalista per Swissinfo. Da alcuni anni prende posizione su alcuni siti arabi contro la deriva fondamentalista dell’islam e a favore dei diritti umani nei Paesi a maggioranza musulmana.

Elham Manea, cosa pensa della situazione dei cristiani in Medio Oriente?
Quando si considera questo argomento lo si può accostare da due punti di vista. Il primo è quello di considerare i cristiani, o chiunque creda in un’altra religione diversa dall’islam, nei Paesi della Penisola araba, in particolare in Arabia Saudita. Parlo della possibilità di credere ed esprimere il proprio credo in simboli e di praticare la propria religione in una chiesa. Questo in Arabia Saudita è proibito. Questo è una chiara e diretta violazione dei diritti umani. Il secondo punto di vista è quello che guarda ad altri tipi di Paesi come l’Iraq, l’Egitto, Siria, Giordania e Libano. Questi Paesi hanno una storia di convivenza tra diverse comunità religiose, in particolare negli anni tra le due guerre mondiali. In quel periodo esisteva una situazione di relativa pace, prosperità e tolleranza. Dico sempre “relativa” perché le comunità religiose diverse da quella musulmana non erano considerate “uguali” e non avevano lo stesso statuto di cittadinanza. Nonostante ciò se andiamo a vedere i documenti e le testimonianze dirette quel periodo viene descritto come “meraviglioso”.

Oggi invece?
A partire dagli anni Settanta è in atto un processo di reislamizzazione della società. Sfortunatamente è una reislamizzazione nella forma del wahabismo. Questo tipo di interpretazione dell’islam non è solo di tipo politico, non si limita cioè ad avere come scopo la conquista del potere: esso ha delle conseguenze sulla società, perché non detta solo il modo di concepire la religione islamica ma anche il modo di impostare le relazioni con i cristiani, gli ebrei, i non credenti e le diverse confessioni dell’islam (una wahabita, ad esempio, considera sufi e shiiti come eretici). Da allora è diventato sempre più difficile per i cristiani vivere nelle società del Medio Oriente ed è davvero triste vederli emigrare dai loro Paesi.

Cosa pensa della reintroduzione, in alcune regioni dell’Iraq, della “jizya” – la tassa per i cristiani –, oppure dell’uccisione di sacerdoti e delle pressioni per far convertire i cristiani all’islam?
È orribile. Il problema è che in Iraq tutti sono sotto tiro. La dittatura di Saddam aveva costretto le varie comunità a chiudersi in se stesse. Il modo affrettato con cui l’Amministrazione Bush ha tolto il coperchio di questa pentola a pressione ha fatto sì che gli scoppiasse in faccia. Ora la situazione è del “tutti contro tutti”. Ma i cristiani, per forza di cose, sono i più esposti. La situazione è triste perché c’è stato un tempo in cui l’Iraq era un Paese in un cui esisteva un convivenza reale tra le varie comunità. Oggi questo non è più possibile.

Molti ritengono che la fuga dei cristiani dal Medio Oriente costituisca un impoverimento della società di questi Paesi. È d’accordo?

Sì, sono d’accordo al cento per cento. I cristiani sono sempre stati i meglio istruiti e sono sempre stati una voce di moderazione. Hanno sempre svolto un ruolo molto importante in questi Paesi a livello culturale e politico. La perdita di questa presenza si rifletterà in modo negativo nella società. Anche in Paesi secolarizzati come la Siria stiamo assistendo a un lento processo di emigrazione dei cristiani. Questo è davvero un brutto segnale.

Molti musulmani in Europa si lamentano della crescente islamofobia in Occidente. Pochi di loro, però, sembrano preoccuparsi delle minoranze nei loro Paesi d’origine. È solo un’impressione?
No, è vero. Mi fa molto arrabbiare il “doppio standard” usato per giudicare le situazioni in Occidente e quella nel mondo arabo. Le comunità musulmane si lamentano spesso per la crescente islamofobia, e non nego che da parte di alcuni partiti politici occidentali esista una tendenza di questo genere. Eppure nessun musulmano dice una sola parola sul fatto che nei Paesi a maggioranza islamica i cristiani non siano considerati “cittadini uguali”. Come lo chiama lei questo atteggiamento? Io lo chiamo “doppio standard”.

Parteciperebbe a una manifestazione per chiedere maggior libertà per i cristiani nei Paesi del Medio Oriente?

Certo. Io negli scorsi anni ho scritto diversi articoli in arabo su questo argomento. Per me la questione centrale non è innanzitutto la libertà quanto la “cittadinanza”. I cristiani appartengono naturalmente alle società arabe e oggi non solo gli islamisti, ma anche gli Stati stessi devono riconoscere il diritto dei cristiani e degli ebrei alla piena cittadinanza.

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