Dal Giornale del Popolo del 13 dicembre 2007
Ha ristrutturato il Cremlino, e sta costruendo il Kazakistan. Ottenendo appalti milionari. Ora si è rimboccato di nuovo le maniche e vuol ricostruire il suo Paese, il Kosovo. Ma questa volta gli appalti non c’entrano, c’entra invece quel 12 per cento che il suo partito, l’Alleanza per un Nuovo Kosovo, ha ottenuto alle elezioni dello scorso 18 novembre. Behgjet Pacolli, noto imprenditore svizzero-kosovaro, in pochi mesi ha messo in piedi la terza forza politica del Paese e ora ha i numeri per entrare nel Governo di Hashim Thaci.
Martedì Thaci è stato incaricato di formare il governo del Kosovo. Il suo partito entrerà nella coalizione di governo?
Noi abbiamo posto una condizione per entrare nella coalizione: il nostro programma di sviluppo economico del Kosovo deve essere applicato così com’è.
Sembra un modo per dire che non avete intenzione di partecipare alla coalizione…
No, la nostra offerta è sincera. Ma ad essere onesti non ci dispiace restare fuori da questo Governo. Thaci, infatti, non dà le garanzie per poter svolgere un lavoro serio. Da queste elezioni sono uscite le stesse persone che finora hanno guidato il Kosovo negli ultimi otto anni. Hanno avuto la chance di fare qualcosa per il Paese, ma nei fatti hanno realizzato poco o nulla. Non penso che Thaci sia in grado di fare miracoli.
Ora siete la terza forza politica del Paese, se entrate nel Governo potreste ottenere molto, in fondo…
Mi aspetterei, innanzitutto, di ottenere una delle tre principali cariche dello Stato: presidente, premier o presidente del Parlamento. Per realizzare il nostro programma, che è all’80 per cento di tipo economico, sarebbe sensato che ci venissero affidati i ministeri delle Finanze, dell’Economia e dell’Energia. Per queste materie noi abbiamo il miglior programma. Ma non penso che Thaci sia disposto a concederci quello che chiediamo.
Allora prevede una coalizione tra Thaci e gli eredi di Rugova?
Certo. A noi, in fin dei conti, fa comodo. Avremo il tempo di rafforzarci per presentarci ancora più competitivi alle prossime elezioni che, secondo me, saranno al più presto fra sei mesi e al più tardi tra un anno e mezzo.
Il governo non è ancora nato e lei ne prevede già la morte?
I kosovari son stufi, oggi a loro interessa il benessere, lo sviluppo economico. Guardi cos’è successo all’inizio della scorsa campagna elettorale: nei primi due giorni gli altri partiti hanno utilizzato la solita retorica che prometteva l’indipendenza, mentre noi non abbiamo puntato tutto sui temi economici. Quando gli altri partiti si sono accorti che quella strategia era perdente hanno incominciato anche loro a copiare la nostra linea.
Quindi a lei non interessa l’indipendenza?
Certo, quella è necessaria e verrà. Ma i problemi oggi sono l’energia elettrica, i posti di lavoro, la miseria diffusa.
Ma l’annuncio dell’imminente dichiarazione d’indipendenza era più un argomento elettorale che sostanziale?
No, l’indipendenza è un fatto. Io dico che non c’era bisogno di sventolarla a ogni piè sospinto. È come continuare a dire al proprio figlio «ti amo, ti amo, ti amo». Tuo figlio sa che gli vuoi bene, anche se non glielo ripeti ogni minuto. Così per l’indipendenza: ormai non c’è più alcun motivo per non proclamarla.
Eppure la Serbia non sembra pensarla allo stesso modo…
L’indipendenza sarà presto proclamata. Io prevedo che la Serbia accetterà questo fatto, perché solo in questo modo potrebbe avere il Kosovo al suo fianco. Se la Serbia accetterà l’indipendenza io sarò il primo a impegnarmi affinché i due Paesi ricomincino a vivere uno accanto all’altro in modo pacifico. Mi impegnerò perché persone, idee e capitali possano circolare liberamente. E questo conviene anche alla Serbia.