Dal Giornale del Popolo del 22 marzo 2008
Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti). «Oggi le funzioni del Venerdì Santo sono tredici, sabato sera abbiamo un’unica grande veglia, poi la domenica di Pasqua abbiamo diciannove messe in dieci lingue diverse: inglese, arabo, filippino, cingalese, tamil, urdu, malese, konkani, francese, taliano, spagnolo, polacco e tedesco». No, non siamo a Roma nella Basilica di San Pietro, siamo ad Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, nella chiesa di San Giuseppe. A parlare è il parroco indiano padre Muthu che in questi giorni, aiutato da un pugno di sacerdoti, cerca di far andare tutto per il verso giusto. Il piazzale della chiesa era pieno già per il Giovedì Santo, saranno state almeno diecimila persone. Per le funzioni della Passione del venerdì la folla era di almeno 30mila persone. Per questa sera alla veglia di Pasqua se ne prevedono altrettante.
«Accade tutti gli anni – spiega il vescovo Paul Hinder – e ogni volta che qualcuno dall’Europa viene qui, mi confida che finché non lo vedi con i tuoi occhi non ci credi». Accadono queste cose nel Vicariato apostolico della Penisola Araba, di cui il cappuccino turgoviese mons. Paul Hinder è responsabile dal 2005. È la diocesi più estesa del mondo: comprende oltre gli Emirati Arabi Uniti anche il Qatar, l’Oman, il Bahrein e lo Yemen e l’immensa distesa dell’Arabia Saudita. Si stima che i cristiani siano circa due milioni in tutto il vicariato e, naturalmente, nessuno di loro è indigeno: sono tutti immigrati da una settantina di nazioni diverse. La stragrande maggioranza sono indiani e filippini, ma anche moltissimi indonesiani, africani, europei e nordamericani. Sono venuti qui in cerca di fortuna, ma non tutti l’hanno trovata. La maggior parte spera di tornare in patria appena riuscirà a risparmiare abbastanza denaro per vivere dignitosamente. Ma negli ultimi anni il costo della vita negli Emirati Arabi è aumentato esponenzialmente e moltissimi lavoratori e operai faticano a pagare l’affitto per una camera dove abitare. In questo modo il sogno del ritorno si trasforma in miraggio, che appare magari mentre si sta costruendo un’autostrada a quattro corsie in mezzo al deserto.
È appena finita la celebrazione del Giovedì Santo ad Abu Dhabi e le migliaia di persone lentamente abbandonano il sagrato della chiesa. Sono arrivati in macchina, in taxi o in pulmini organizzati. George, un amico del parroco, mi fa salire sul suo fuoristrada. Domando: «Dove andiamo? ». Mi risponde: «Andiamo a trovare quelli che non avevano i soldi per venire in Chiesa oggi». È già buio e le luci dei grattacieli del centro della città si allontanano all’orizzonte. L’auto percorre una quarantina di chilometri, arriva in località Mussafa e si ferma in un parcheggio buio. Entriamo dentro un cancello e George incomincia a raccontare: «Vengo da Kerala, in India, e questa è la mia officina da meccanico di auto». Accanto all’officina, George mi mostra uno stanzone . «Qui veniamo per incontrarci e per pregare. L’unica chiesa in tutto l’emirato di Abu Dhabi è quella di San Giuseppe, ma chi non può arrivare fino a lì, si ritrova in questo salone». Sono indiani di Kerala, lavorano duro per un pugno di soldi fino alle sei di sera. Poi vengono qui, anche perché vivono in piccole camere che ospitano anche sette o otto persone, in complessi non molto differenti – fatta eccezione la tv satellitare – a campi di concentramento. «Questa gente è sola, vive in condizioni davvero precarie e lo sconforto è sempre dietro l’angolo.
Noi diamo ospitalità a questa gente e gli offriamo un modo per approfondire la loro fede e trovare la forza per tirare avanti». Ma non è vietato radunarsi per pregare al di fuori della Chiesa? «È possibile ritrovarsi privatamente, e questo è un luogo privato e – aggiunge sorridendo – molto ben insonorizzato». Qualcuno si lamenta per la vostra presenza? «Sì, qualcuno si lamenta perché non vuole che i cristiani si riuniscano, ma io ho l’autorizzazione del mio datore di lavoro che è musulmano, della polizia locale e del vescovo. Quindi che si lamentino pure, noi andiamo avanti tranquilli».
Salvador e Agnes sono invece una coppia di filippini; passeggiano per il sagrato dandosi la mano. Lui è arrivato qui per lavoro 23 anni fa. Erano già sposati ma lei ha dovuto aspettare 12 anni per raggiungerlo. «È stato un vero incubo – ricorda Salvador – grazie a Dio abbiamo incontrato il gruppo Couples for Christ». Si tratta di un movimento nato nelle Filippine per aiutare, attraverso un’esperienza di fede, le coppie in difficoltà per ragioni di immigrazione. «Nelle Filippine – racconta Agnes – si dice che il Medio Oriente è la tomba del matrimonio». Per rendere l’idea ad Abu Dhabi, solo i membri delle Couples for Christ sono 1200. In tutti gli Emirati sono 4000. Cristiani che aiutano altri cristiani e che, nel Paese degli sceicchi, vivono da cristiani. Discreti e silenziosi. Senza campane o croci fuori dalle chiese. Ma sempre lì, ostinatamente presenti.