“Per essere ancora più precisi, il progetto inizia esattamente nel weekend di Pasqua del 1978. (…) La città era semideserta e un vento straordinariamente energico aveva ripulito l’orizzonte: era una giornata di luminosità eccezionale, uno di quei rari giorni che stupiscono i milanesi perché “si vedono così bene le montagne che sembra di poterle toccare con la mano”. Il vento, quasi assecondando una tradizione letteraria, sollevava la polvere, metteva agitazione nelle strade, puliva gli spazi fermi, ridonando plasticità agli edifici, rendendo più profonde le prospettive delle strade in una sorta di maquillage atmosferico che permetteva alla luce di proiettare con vigore e nettezza le ombre degli edifici.
Per la prima volta ho “visto” le strade e, con loro, le facciate delle fabbriche stagliarsi nitide, nette e isolate su un cielo inaspettatamente blu intenso, grazie al quale la visione consueta delle forme diventava improvvisamente inusuale. Ho potuto vedere così, come se non l’avessi mai visto prima, un lembo di città senza il movimento perpetuo quotidiano, senza le auto in sosta, senza persone, senza suoni e rumori. Ho visto l’architettura riproporsi nella sua essenza, filtrata dalla luce, in modo sorprendentemente scenografico e monumentale”.
Gabriele Basilico, “Architetture, città, visioni – Riflessioni sulla fotografia”, Bruno Mondadori, 2007, pag. 24.