ROLAND BARTHES, LA FOTOGRAFIA E LA RISURREZIONE


“La Fotografia non rimemora il passato (in una foto non c’è niente di proustiano). L’effetto che essa produce su di me non è quello di restituire ciò che è abolito (dal tempo, dalla distanza), ma di attestare che ciò che vedo è effettivamente stato. Ora, questo è un effetto propriamente scandaloso. Sempre, la Fotografia mi stupisce, ed è uno stupore che dura e si rinnova, inesauribilmente. Forse questo stupore, questa caparbietà, affonda le sue radici nella sostanza religiosa di cui sono imbevuto; niente da fare: la Fotografia ha qualcosa a che vedere con la risurrezione: forse che non si può dire di lei quello che dicevano i Bizantini dell’immagine di Cristo di cui la Sindone di Torino è impregnata, e cioè che non era fatta da mano d’uomo, che era acheiropoietos?”

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“Io sono il punto di riferimento di ogni fotografia, ed è per questo che essa m’induce a stupirmi, ponendomi l’interrogativo fondamentale: perché mai io vivo qui e ora? Certo, più di altre arti, la Fotografia pone una presenza immediata al mondo – una co-presenza; questa presenza non è però solo di ordine politico (“partecipare attraverso l’immagine agli avvenimenti contemporanei”), ma anche di ordine metafisico. Flaubert si beffava (ma si beffava poi veramente?) di Bouvard e Pècuchet che s’interrogavano sul cielo, sulle stelle, sul tempo, sulla vita, sull’infinito, ecc. Questo è il genere d’interrogativi che la Fotografia mi pone: interrogativi che rientrano nella sfera di una metafisica “stupida”, o semplice (ad essere complicate sono le risposte): probabilmente la vera metafisica”.

(Roland Barthes, “La camera chiara”, p.83-84, Einaudi)

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