dal Giornale del Popolo del 15 ottobre 2005
Il giorno in cui Madre Teresa di Calcutta ricevette il premio Nobel per la Pace spiegò che «non ci sarebbe stata pace nel mondo finché si sarebbe permesso l’aborto». Qualche giorno fa abbiamo pubblicato la notizia, riportata dalla rivista scientifica Lancet, che secondo le ultime stime ogni anno nel mondo ci sarebbero circa 41,6 milioni di aborti. Un bambino ogni cinque, cioè, non viene fatto venire al mondo. In Europa si arriva a una media di uno ogni tre, poiché nei Paesi dell’Est sono più gli aborti che le nascite. La più grande strage in atto oggi nel mondo. Eppure gli accademici di Svezia, dando il riconoscimento ad Al Gore, hanno premiato un grande sostenitore di quello che Giovanni Paolo II ha indicato come «imperialismo contraccettivo».
Quell’ideologia, cioè, che negli ultimi trenta anni ha diffuso e propagandato misure di aborto, sterilizzazione, contraccezione abortiva, soprattutto praticate sulle popolazioni povere dei Paesi in via di sviluppo. A questo si aggiunga che all’inizio degli anni Novanta il politico democratico aveva più volte rimproverato Bush padre per non aver marciato su Baghdad; e quando si trovò alla Casa Bianca al fianco di Bill Clinton approvò i bombardamenti sulla Serbia. Non è la prima volta che l’Accademia norvegese compie scelte discutibili, ma è un peccato vedere come il riconoscimento conferito a personaggi come Albert Schweitzer, Martin Luther King, il Dalai Lama e la dissidente birmana Aung San Suu Kyi, venga oggi “svenduto” a una figura così ambigua.
Non vogliamo negare che la salvaguardia del Creato, per la quale sono stati premiati Gore e l’IPCC, sia oggi un obiettivo prioritario per chi voglia promuovere la pace. I danni all’ecosistema non soltanto sono destinati a peggiorare la vita di tutti, ma minacciano di suscitare conflitti per l’accesso a risorse fondamentali divenute più scarse (come l’acqua) o per le pressioni migratorie dovute alla riduzione delle terre abitabili e coltivabili. Benedetto XVI, ai giovani riuniti a Loreto lo scorso settembre, ha speso parole chiare in proposito, invitandoli, «prima che sia troppo tardi», ad «adottare scelte coraggiose (…) per invertire quelle tendenze che rischiano di portare a situazioni di degrado irreversibile». Proprio perché siamo convinti dell’importanza della battaglia per la salvaguardia della natura (che non va mai scissa da quella per la salvaguardia della vita umana), riteniamo che tale campagna necessiti di testimonial di tutt’altro calibro.
Non è un mistero che il film catastrofista di Al Gore “Una scomoda verità” sia pieno di errori e di affermazioni esagerate volte a scuotere emotivamente lo spettatore (l’innalzamento dei mari di sei metri nei prossimi cento anni a causa dell’effetto serra, ad esempio, è un’assurdità smentita perfino dagli scienziati dell’IPCC ). Lo stesso IPPC, ente chiamato a monitorare i cambiamenti climatici, ha diffuso spesso cifre allarmistiche sul riscaldamento della terra, con lo scopo di «scuotere la gente e spingere i Governi a fare qualcosa». La sua vocazione, ormai più politica che scientifica, è testimoniata dalla decisione di far precedere la pubblicazione dei dati del suo ultimo rapporto da una nota sintetica rivolta ai policy-maker, senza che fosse possibile da parte dell’intera comunità scientifica verificare il reale contenuto del rapporto. Un metodo, a dire il vero, più propagandistico che scientifico.
Il Nobel per la Pace, insomma, regala un credito indebito a persone che si fanno portatrici di una visione oltranzista della difesa della natura, che vede nell’uomo un elemento di disturbo (da qui le politiche di controllo demografico e la diffusione dell’aborto). Noi crediamo, invece, all’ecologia promossa da Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus, che invitava a uno sviluppo che riesca a congiungere la dignità umana e il rispetto dell’ambiente. Se manca la prima, il secondo perde d’interesse. Se manca il secondo, è messa a rischio la prima.