INTERVISTA AL PROF. FRANCESCO D’AGOSTINO
Giornale del Popolo, 2 febbraio 2007
Il Parlamento italiano ha da pochi giorni dato il via all’iter che dovrebbe portare alla stesura e all’approvazione di una legge che regola le coppie di fatto. Non è ancora chiaro quale sarà il risultato finale. Il Governo parla di una “via italiana” alla soluzione del problema del riconoscimento dei diritti dei conviventi, ma all’interno della maggioranza ognuno dice la sua. Per chiarire i termini del dibattito in corso abbiamo intervistato il prof. Francesco D’Agostino, docente di Filosofia del Diritto all’Università di Tor Vergata a Roma e presidente onorario del Comitato Nazionale di bioetica.
Prof. D’Agostino, quali sono i termini della discussione?
In Italia, come in altri Paesi, il dibattito sulle coppie di fatto è straordinariamente viziato da preconcetti ideologici. I fautori del riconoscimento delle coppie di fatto non sono in grado di spiegare quali siano le autentiche esigenze sociali che giustifichino quelli che per semplicità vengono per ora chiamati Pacs. Per “autentiche esigenze sociali” intendo dire esigenze sociali che non possono essere autogarantite, nella loro autonomia e responsabilità, dalle persone come singole. Quando si chiedono i Pacs si vuole dare un riconoscimento legale a vincoli affettivi che non si capisce, se non per ragioni ideologiche e simboliche, perché debbano essere meritevoli di un riconoscimento pubblico. Se il matrimonio ha un riconoscimento pubblico è perché il matrimonio ha una finalizzazione generazionale, garantisce l’ordine delle generazioni. È così in tutte le culture e in tutte le epoche. Al di fuori del matrimonio non c’è bisogno di un altro istituto pubblico che risponda a questa finalità.
Qual è il punto, allora?
La verità è che dietro i Pacs si nasconde non il bisogno di dare una risposta ad esigenze sociali, ma il bisogno di dare un riconoscimento simbolico e non sociale all’omosessualità.
I vescovi italiani si oppongono a qualsiasi legge in merito…
È un dato di fatto che i vescovi assumano queste posizioni, ma io nego categoricamente, però, che queste posizioni siano propriamente ecclesiali. È come quando la Chiesa si batte contro la pena di morte, ma è evidente che la contrarietà alla pena di morte non sia un’esclusiva dei cattolici.
Beh, è innegabile che la Chiesa stia combattendo la sua battaglia…
I laicisti italiani hanno tutto l’interesse ad appiattire il dibattito tra laici e cattolici. I laici a favore dei Pacs e i cattolici contro. Ma è una falsificazione delle posizioni in gioco. Non ci dimentichiamo che in questo momento la Chiesa non si batte per il matrimonio religioso, ma si batte per la dignità del matrimonio tout-court, quindi anche per quella del matrimonio civile. La Chiesa interviene perché ha a cuore il bene umano. Il bene di tutti. Il dramma in Italia e non solo, è che in un’epoca di relativismo culturale certe dimensioni del bene umano ormai sembra che a difenderle sia solo la Chiesa. Ma qui il problema va oltre la politica e diventa un grande problema culturale.
Ma esistono esigenze reali nelle nuove forme di convivenza…
Sì, ma basterebbe riconoscere un “contratto di convivenza”, come contratto tipico da inserire nel codice civile per risolvere tutti quei pochi nuovi problemi di convivenza che un mondo globalizzato come il nostro effettivamente può porre. Il contratto di convivenza non dovrebbe essere un contratto sessuato, cioè finalizzato a tutelare una coppia vincolato da affetto: vi potrebbero accedere gruppi di studenti, coppie di fratelli e tante altre forme di convivenza con ricadute giuridico-economiche.
Ma esistono anche le coppie omosessuali…
Il problema della differenza sessuale non è un problema che spetta allo Stato gestire. Le convivenze omosessuali sono legittime, ma lo Stato, a mio avviso, deve gestire interessi sociali e non interessi ideologici e simbolici. I contratti di cui parlo possono essere firmati anche da due persone dello stesso sesso che convivono, ma questo particolare non è rilevante dal punto di vista giuridico.