“La scena si apre ad Hampton Court” direbbe Davide parafrasando l’incipit di “Su Mantegna 2” di Giovanni Agosti. Dopo averne visto per la prima volta uno a Parigi alla mostra al Louvre, era da un po’ che volevo fare questo “pellegrinaggio” alla reggia di Enrico VIII per vedere i “Trionfi” tutti insieme. Così a metà della mia settimana londinese dedicata al contemporaneo ho preso questa salutare pausa e un treno da Waterloo Station fino a Hampton Court.
Non vi sto qui a fare una lezione su Mantegna perché non ve la so fare. Posso dirvi solo che l’emozione è stata grande. Penso siano quadri difficili, per gente che la sa davvero lunga. Quadri che si possono apprezzare a pieno, forse, solo dopo i quarant’anni (Franco Loi dice che gli “Inni sacri” del Manzoni si possono apprezzare solo dopo una certa età, ecco, un po’ così). Oggi che sono ancora più vicino ai trenta che ai quaranta mi riempiono di stupore per la loro misteriosità. Posso solo dire che ho capito da cosa è dipesa la scelta di quello da portare a Parigi: è semplicemente il più bello (e il meglio conservato).
Aggirandomi poi per le stanze della reggia sono arrivato in una piccola stanza degli Georgian Private Apartments, l’ala settecentesca del palazzo. Le pareti erano coperte di tele del Seicento e Settecento. Non avevo alcuna aspettativa e ho dato un’occhiata veloce. Un quadro però ha attratto la mia attenzione più degli altri. Ho guardato la didascalia: Michelangelo Merisi detto Caravaggio. Titolo dell’opera: “The calling of St. Peter and St. Andrew”. Gulp. Si tratta di una scoperta recente (2004) e la tela è stata anche esposta in Italia (2006). Comunque mi domando: dove , se non in Inghilterra, nella reggia di uno dei sovrani più eccentrici della storia dell’umanità, ci si può permettere di conservare un’opera del più grande come se fosse uno tra i tanti?