GLI SVIZZERI CHE VORREBBERO RISOLVERE IL PASTICCIO DEL NUCLEARE IRANIANO


Dal Giornale del Popolo del 16 maggio 2007

Ne ha fatta di strada negli ultimi tre mesi la bozza di accordo elaborata dalla diplomazia svizzera per la soluzione di quel ginepraio che è il contenzioso sul nucleare iraniano. Da quando cioè il 14 febbraio scorso gli sherpa svizzeri hanno presentato a Vienna un documento il cui contenuto è stato reso noto in esclusiva dal Giornale del Popolo. Se allora al Dipartimento degli Affari Esteri ci si chiudeva in un misterioso riserbo, oggi non è più mistero che le difficili trattative vengano condotte dal rappresentante dell’Unione europea, Javier Solana, proprio su uno “Swiss Paper” redatto negli uffici di Berna. A confermarlo indirettamente a fine aprile è stato lo stesso Solana e la settimana scorsa lo ha fatto direttamente il ministro degli Esteri iraniano Manucher Mottaki. Tra la fermezza di Washington e quella di Teheran, dunque, esiste uno spiraglio di dialogo costituito dalla proposta svizzera. Sembra che il testo originario della proposta si sia evoluto dai sei punti originari e la posizione portata avanti in questo momento è definita “double time out”. La proposta, cioè, che Teheran interrompa l’arricchimento dell’uranio e, nel contempo, la comunità internazionale si impegni a non imporre nuove sanzioni. L’idea dei diplomatici svizzeri è che non è possibile pretendere dall’Iran l’interruzione dell’arricchimento dell’uranio come condizione per sedersi al tavolo delle trattative. Per Berna lo stop all’arricchimento deve essere già parte del negoziato.
In un primo momento, dicono al GdP fonti diplomatiche, gli Stati Uniti si erano molto indispettiti per l’iniziativa elvetica tanto che l’ambasciatore americano Peter Coneway aveva espresso il proprio disappunto in un incontro a quattrocchi con la signora Calmy-Rey. Per Coneway l’atteggiamento di Berna poteva indebolire il fronte della fermezza mantenuto da Washington. A Teheran, diceva Coneway, si potrebbe pensare che dietro alla proposta svizzera vi siano gli Stati Uniti. Da allora, dicono a Berna, sembra che la posizione di Washington nei confronti dell’iniziativa svizzera si sia fatta più morbida e siano ricominciati con più serenità i contatti tra i vari funzionari che si stanno occupando dello spinoso dossier. Certamente gli americani si sono tranquillizzati costatando che Berna non desidera giocare un ruolo da protagonista nell’affare, ma intende mettere in campo le sue competenze e mandare avanti qualcun altro nei negoziati veri e propri.
Nei corridoi dell’ala Ovest di Palazzo federale chi tira le fila di questo dossier è lo stesso Segretario di Stato Michael Ambühl. Uscito dal Politecnico di Zurigo con una laurea in gestione aziendale e in matematica applicata, Ambühl a prima vista non sembrerebbe l’uomo adatto a un affare di alta politica internazionale e potrebbe essere facile preda dei pescecani della diplomazia iraniana e statunitense. In realtà il funzionario zurighese si è fatto le ossa tra il 2000 e il 2004 con le trattative dei Bilaterali II e alla segreteria di Stato è arrivato l’anno successivo con una notevole esperienza nel gestire i dossier più complicati. Non è escluso che le sue frequentazioni degli uffici di Bruxelles gli abbiano permesso di avvicinarsi ai collaboratori di Javier Solana per accreditare la proposta svizzera. Ambühl non ha il physique du rôle del diplomatico di razza, ma certamente ce la sta mettendo tutta e non risparmia le suole delle scarpe dato che, come scriveva domenica la NZZ am Sonntag, si è recato a Teheran già una mezza dozzina di volte negli ultimi mesi.
Certo resta imprevedibile e spinosa la variabile costituita dall’atteggiamento ambiguo dell’Iran, che non si adopera per scongiurare lo scontro diretto. E mentre a intermittenza il negoziatore Ali Lariani si dice pronto a sedersi al tavolo del negoziato, ieri gli ispettori dell’AIEA hanno confermato che la produzione dell’uranio arricchito da parte di Teheran ha conosciuto un’importante escalation.

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