AVATAR, TUTTI I FILM NEL FILM


Sono andato a vedere Avatar. Ecco la lista, in ordine sparso e non definita, di tutti i film a cui secondo me si rifà, in un modo o nell’altro, il fumettone di Cameron.

1) Guerre Stellari
2) Braveheart
3) Balla coi lupi
4) Laguna blu
5) 300
6) La storia infinita (per il Fortunadrago)
7) Jurassik Park
8) Matrix
9) Apocalypto
10) Alien (in qualsiasi film ci sia Sigourney Weaver mi aspetto che prima o poi le esca un mostrone dalla pancia)

Ciascuno di questi film è migliore di Avatar.

STATE OF PLAY – REQUIEM PER IL GIORNALISMO

“State Of Play” di Kevin McDonald non è altro che un lungo requiem per il giornalismo e per la carta stampata. Lo è in modo involontario e ciò ne acuisce la drammatica tragicità. Come accade in tutti i periodi di inevitabile decadenza dell’impero, l’imperatore sponsorizza opere che ne celebrino la grandezza. È il racconto mitico, il genere del colossal. È un modo di sentirsi vivi quando, nei fatti, si è già morti. Così, come dicevo, una Messa per l’Incoronaziuone si trasforma in un’involontaria Messa da Requiem. Quando si è vivi si è impegnati a vivere, non si ha tempo per le autocelebrazioni, è quando si capisce che non si ha più qualcosa da dare che si incomincia ad impiegare il tempo a ricordare i bei tempi che furono e raccontare le proprie imprese. Quasi sempre evidenziando i propri meriti e tacendo sulle malefatte.
L’ultima sequenza di “State of Play”, su cui compaiono i titoli di coda, è l’acuto di questa musica da morto. Si tratta della sequenza che nei film sul giornalismo è solitamente posta come sottofondo ai titoli di testa (avviene nel capolavoro di Billy Wilder “Prima pagina”). Il regista mostra con inquadrature didascaliche tutto il processo di stampa di un quotidiano. In questo caso, però, la scena arriva dopo la celebrazione della figura del giornalista senza macchia che dimostra come il giornalismo “vecchia maniera” sia ancora vivo e vegeto. La giovane blogger che ha imparato la lezione di giornalismo dal vecchio lupo di redazione, quello che consuma la suola della scarpe, ammette candida: “Per leggere un’inchiesta così vale la pena sporcarsi le mani con l’inchiostro di un giornale”.
Va detta una cosa: se è di una musica da morto che si tratta, Kevin McDonald, Russell Crowe, Ben Affleck, Robin Wright Penn, Rachel McAdams la sanno suonare benissimo.

GRAN TORINO

Torno ora dall’aver visto questo grandissimo film di Clint Eastwood. Due sole osservazioni: la prima è che non mi vengono in mente altri registi che siano riusciti a mettere uno in fila all’altro film come “Mystic River” (2003), “Million Dollar Baby” (2004), “Changeling” (2008) e, appunto “Gran Torino”. Per temi e intensità, davvero, non mi viene in mente nessuno negli ultimi venti anni.
Seconda osservazione: l’unico film che riuscirei a paragonare a questo è “Il cattivo tenente” di Abel Ferrara del 1992. Sono due film molto diversi, ma in entrambi è centrale il tema dell’immedesimazione del protagonista con Cristo. E’ vero, il film di Ferrara ha una scena irripetibile come questa e non lascia nessun margine di interpretazione. Clint Eastwood, però, ha dalla sua che è riuscito a fare un film per tutti, cosa che non si può dire del “Cattivo tenente”. Dopo “La Passione” di Mel Gibson (che non è un film per tutti), “Gran Torino” è l’ultimo grande film cristiano che mi sia capitato di vedere (ne ho in mente molto pochi che lo siano tout court e non semplicemente a causa del tema “religioso”). Capita spesso di vedere bei film che mettano in scena il tema della vita e della morte, ma nel migliore dei casi riescono a avvicinarsi alla sensibilità della tragedia greca o shakespeariana (il primo che mi viene in mente è “The departed” di Martin Scorsese del 2006. Questo “Gran Torino” è un’altra cosa. Guardatelo. E chi lo ha già visto ci ripensi, magari non è d’accordo con me. Ma magari sì.