Un disegno del padre di Dan Vo

Sono stato al Whitney Museum di New York. Tra le diverse cose mi ha colpito un’opera vista nella mostra sulla collezione di Thea Westreich Wagner e Ethan Wagner. L’opera è questa:

Danh Vo 02.02.1861, 2009
Danh Vo 02.02.1861, 2009

Ho trovato questa breve spiegazione che l’artista fa dell’opera:

«Il Vietnam è l’unico paese asiatico che durante il dominio francese è passato all’utilizzo dell’alfabeto latino. Tradizionalmente, un abile calligrafo può trovare lavori migliori. Mio padre non ha mai utilizzato le sue capacità di scrittura dal suo arrivo in Danimarca, anche perché non ha mai imparato il danese e nessun’altra lingua europea. A volte ho visto la sua calligrafia perché l’ho visto scrivere i cartelli per i suoi negozi di alimentari che nel corso degli anni ha avuto vivendo in Occidente.
L’opera consiste nel fatto che mio padre copia l’ultima lettere di San Theophane Venard a suo padre prima che venga ucciso e decapitato dai funzionari vietnamiti nel 1861. Mio padre non sa che cosa è scritto nella lettera, ma è contento di copiarla perché lo pago per ogni copia che fa. Dovrebbe ricevere 150 dollari ogni volta.
È uno dei miei lavori preferiti. Si tratta di un disegno perché mio padre sa l’alfabeto, ma non sa quello che sta scrivendo» (Danh Vo)

Il titolo dell’opera e il numero di edizioni del lavoro rimane indefinito fino alla morte di Phung Vo (padre di Dahn). Ogni testo scritto a mano arriva in una busta ed è spedito da Phung Vo a chi acquista l’opera.

Tra l’altro: a chi sa il francese consiglio di leggere la lettera.

IL CATALOGO DI CATTELAN AL GUGGENHEIM. QUALCHE NOTACATTELAN AT THE GUGGENHEIM. THE CATALOG

Ho comprato la versione italiana del catalogo della mostra di Maurizio Cattelan al Guggenheim di New York. È un catalogo ordinario e anomalo insieme. Trattandosi di Cattelan stupisce l’aspetto ordinario, ovviamente. Ma partiamo dalla “normalità” (in senso cattelaniano). Il catalogo è anomalo perché è confezionato come un libro di medio formato, la copertina rigida rossa con le scritte incise in oro, la carta pregiata, i caratteri con le grazie. Un libro all’antica. Penso che l’idea sia legata al secondo aspetto, quello ordinario: al contrario della mostra – che potremmo definire “una retrospettiva impazzita” – il catalogo dà conto in modo ordinato e sistematico di tutte le opere dell’artista. Anzi, si tratta di una vera e propria monografia che la curatrice Nancy Spector dedica all’artista con rigore e austerità. A me pare che parallelamente al complicato lavoro di allestimento, Cattelan abbia commissionato (o accettato) un’opera di riflessione sulla propria carriera che non mi pare fino a oggi qualcuno avesse mai tentato. Nelle interviste dei giorni scorsi la Spector ha affermato che Cattelan non viene preso sul serio e con questo libro mi sembra che abbia voluto colmare questa lacuna. Del resto lo stesso Cattelan nel libro-intervista con Catherine Grenier afferma che “pochissimi critici sono stati in grado di fare un vero e proprio lavoro di scavo per arrivare a capire quello che faccio”. Qui 179 pagine su 255 ospitano un lungo saggio della Spector dai capitoli con titoli altisonanti: “L’estetica del fallimento”, “Dimensioni politiche”, “Dualismo e morte”, “Dall’irriverenza all’iconoclastia”, “Cultura dello spettacolo e immagine mediata”. Il testo è farcito di note ed è completato con una lunga bibbliografia. Il resto delle pagine sono il vero e proprio catalogo in cui di ciascuna opera è mostrata con una piccola immagine e un paragrafo di spiegazione circa le circostanze e spunti per l’interpretazione.

Il testo della Spector occorrerà leggerlo con attenzione. Io mi sono limitato a leggere le due pagine (troppo poche) dedicate a “La nona ora”, l’opera del papa colpito dal meteorite. Devo dire che, purtroppo, mi hanno molto deluso. Complice un tipico pregiudizio stereotipato per la Chiesa cattolica, l’analisi è abbastanza piatta e fa fuori le cose assai più profonde che Cattelan ha detto circa quell’opera sia nelle interviste in occasione della mostra milanese del 2010, sia nel libro delle Gernier. Peccato.

I bought the Italian version of the catalog of the exhibition by Maurizio Cattelan at the Guggenheim in New York. It is a catalog of ordinary and abnormal together. The catalog is anomalous because it is packaged as a book of medium size, hard cover with red inscriptions in gold, high-quality paper, with the characters through. An ancient book. I think the idea is linked to the second aspect, the ordinary one: contrary to the shows the catalog provides an orderly and systematic account of all the works of the artist. Indeed, it is a veritable monograph devoted to the artist, curator Nancy Spector wrote it with rigor and austerity. It seems to me that in parallel to the complicated set-up work, Cattelan has commissioned (or accepted) a work of reflection on his career so far I do not think anyone had ever attempted. In interviews in recent days Spector said that Cattelan is not taken seriously and this book seems to me that he wanted to fill this gap. Moreover Cattelan in the same book-length interview with Catherine Grenier says that “few critics have been able to do a proper job of digging to get to understand what I do”. Here are home to 255 of 179 pages of a long essay by Spector chapters with high-sounding titles: “The aesthetics of failure”, “political dimension”, “Dualism and death”, “From the irrilevance to the iconoclasm”, “Culture and entertainment mediated image”. The text is stuffed with notes and is completed with a long bibbliography. The rest of the pages are the real catalog in which each work is shown with a small picture and a paragraph of explanation about the circumstances and starting points for interpretation.

The text of Spector need to be read carefully. I have limited myself to read the two pages (too few) dedicated to “The Ninth Hour”, the work of the Pope struck by a meteorite. I must say that, unfortunately, I was very disappointed. Accomplice in a typical stereotypical prejudice for the Catholic Church, the analysis is fairly flat and take out things much deeper Cattelan said about this work is in the interviews for the exhibition in Milan in 2010, both in the book of Gernier. Too bad.

CATTELAN E IL PASTICCIACCIO BRUTTO AL GUGGENHEIMCATTELAN AND THE GUGGENHEIM MESS

Artribune ha pubblicato un po’ di foto della mostra di Cattelan al Guggenheim. Ad uscirne bene è Cattelan stesso più che le sue opere, a conferma del fatto che i pezzi dell’artista padovano traggono gran parte della loro forza dalla loro collocazione. Decontestualizzare opere come la Nona Ora, Him, o All significa sottrargli l’80% del loro fascino. Al Guggenheim Cattelan tenta di far saltare il banco facendo diventare un’opera sola l’insieme delle opere eseguite dagli inizi della sua carriera. La mostra andrebbe vista dal vivo, ma dalle immagini che arrivano da New York non so se la scommessa sia stata vinta. Anzi. Io purtroppo non potrò andare al Guggenheim e resterò tutta la vita con il dubbio (a meno che uno dei miei quattro lettori non mi offra un biglietto andata e ritorno per la Grande Mela).

Detto questo vi propongo un brano tratto dal recente libro-intervista di Cattelan scritto con Catherine Grenier nel quale si racconta della genesi della sua opera che preferisco.

Perché la perdita è legata all’idea della morte. È il venir meno dell’affetto, della persona a cui vuoi bene, di una persona che a volte desideri disperatamente. L’idea della perdita è legata a quella dell’amore. Forse la maggior parte delle mie opere parlano d’amore. Comunque, ricordo che volevo fare a tutti i costi un’opera sulla perdita. Qualcunque cosa facessi, l’idea della perdita era come un’ossessione: quando leggevo, quando andavo al cinema, persino quando mi trovavo con gli amici. Un giorno ho visto una serie di fotografie, probabilmente dello tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano, e quelle immagini assomigliavano a mille altre immagini di morte, immagini di morti senza nome, erano la morte. Avrebbe potuto essere la Seconda guerra mondiale, una guerra civile, una guerra dei tempi dell’antica Roma, una catastrofe qualsiasi, e dal momento che non era particolarmente vincolata a un contesto specifico, ho deciso di usarla come spunto. Successivamente ho pensato che quel tipo di rappresentazione richiedeva un materiale solido e senza tempo come il marmo e così è nato l’elemento centrale della mostra (All, 2008). Quando si tratta di tradurre un’immagine bidimensionale devi tenere in considerazione diversi aspetti: le dimensioni, il materiale, quanti elementi ci vogliono, come realizzarla… Poi pensi  a quello che altri artisti hanno fatto prima di te e a come l’hanno fatto. Per raffigurazioni di questo genere il riferimento al barocco era inevitabile, è impossibile non pensare subuto al Cristo velato di Napoli. Sono quindi andato sul posto per osservarlo da vicino, ma una volta arrivato mi sono reso conto del fatto che il discorso era molto diverso. Quella era soprattutto una prodezza artistica, uno sfoggio di bravura per rappresentare quello che c’è sotto il velo, un modo diverso dal solito di raffigurare la figura di Cristo. La cosa che volevo fare io era invece dell’ordine del “vedere non vedere”.
Se ci pensi in All non si vedono i cadaveri, si ha la sensazione che siano cadaveri, ma sotto il velo potrebbe esserci un’altra cosa. Evocare l’idea della morte è più interessante che mostrarla.

(Un salto nel vuoto – La mia vita fuori dalle cornici, Rizzoli, 2011, pagg 101-102)

Artribune has published some photos of the exhibition at the Guggenheim by Cattelan. I have the impression that this exhibition enhances the image of Cattelan more than his works, confirming the fact that the Paduan artist’spieces draw much of their strength from their location. De-contextualize works such as the Ninth Hour, Him, or All means subtract 80% of their charm.Cattelan Guggenheim tries to impress everyone by becoming a single work all the works carried out since the beginning of his career. The exhibition should be seen live, but from the images that come from New York I do not know if the bet was won. On the contrary. I unfortunately I can not go to the Guggenheimand will remain throughout life with doubt (unless one of my four readers did not offer me a return ticket to the Big Apple).

CATTELAN AL GUGGENHEIM APPENDE LE OPERE COME SALAMI

Maurizio Cattelan, retropettiva Guggeheim
Premessa: forse è tutta una balla. Ma nel caso i primi a cascarci sarebbero stati quelli del New York Times che hanno dato la notizia in anteprima. La notizia: il 4 novembre inaugura al Guggenheim di New York la tanto annunciata retrospettiva di Maurizio Cattelan e a sorpresa – e come se no? – la mostra sarà allestista appendendo le opere a delle funi in mezzo al “buco” in mezzo alla spirale disegnata da Frank Lloyd Wright. Opere come salami. Giovanni Paolo II, Hitler bambino, i poliziotti a testa in giù, i cavalli (già appesi), Cattelan stesso… tutti appesi come dal salumiere.

And so it happens that beginning on Nov. 4 the Guggenheim will mount one of the strangest, most audacious exhibitions in its half-century history, suspending several thousand pounds’ — and many tens of millions of dollars’ — worth of high-end, internationally collected art from cables attached to a heavy-duty aluminum truss installed almost 90 feet in the air under the museum’s glass dome.

Sarà vero?

MARK ROTHKO GOES TO BROADWAY

Rothko: “Ora dimmi: cosa vedi?
Dillo con precisione.
No, dillo con esattezza.
Dillo con esattezza ma con sensibilità.
Capisci?
Dillo con comprensione…
Insomma: dillo come lo direbbe un essere umano.
Sii un essere umano almeno una volta nella vita.
Queste immagini esigono empatia e vivono o muoiono nella sensibilità dell’occhio di chi guarda. Diventano più intense solo se un occhio commosso glielo permette. È ciò che gridano disperatamente, è per questo che sono state create. Per questo meritano.
Ora: cosa vedi?”

Ken: “Rosso”.

***

Rothko: Sono qui per farti fermare il cuore, non per fare quadri carini

***

Ha debuttato lo scorso mese e andrà in scena al John Golden Teather di New York fino al 27 giugno. Lo spettacolo, scritto da John Logan (nomination all’Oscar per The Aviator e Il Gladiatore), si intitola “Red” e affronta la vicenda di uno dei più grandi pittori del ‘900: Mark Rothko. Sul palco Rothko (Alfred Molina), il suo assistente Ken (Eddie Redmayne) e una riproduzione di “Rosso e marrone”. La vicenda ripercorre gli ultimi due anni della vita del grande pittore durante i quali lavora alla più grande commissione della sua carriera: la serie di dipinti per il ristorante Four Season di New York. Ken col passare del tempo acquista confidenza col maestro e incomincia a provocarlo e ne nascerà un dialogo serrato su quello che per Rothko potrà essere il suo più grande capolavoro o il suo più grande fallimento.
Il regista è lo stesso di Frost/Nixon. Stando ai precedenti, mi verrebbe da dire: prossimamente su questi schermi…
Qui il sito ufficiale
E le recensioni di New Yorker, New York Times e Guardian
Quella qui sotto, invece, è un’intera scena dello spettacolo:

IL TRAMONTO DELLE EDICOLE DI NY

© Rachel Barrett

Si chiama Rachel Barrett ed è una fotografa americana che nel 2006 si è messa a fotografare le edicole di New York. Si dice: in fondo sulle strade della Grande Mela ci si vive ancora, a differenza di tante altre città dove sulle strade di vedono soltanto automobili. Così l’edicola diventa, sorprendentemente, un luogo di incontro ecc ecc. Ma come spiega il Nyt in questo articolo Ms. Barrett ha fatto in tempo a fotografare il tramonto dell’edicola vecchio stile. In città, infatti, avviene quello che una volta accadde per i salumieri di quartiere: arriva il pesce grosso e ti fa una catena di negozi che sbaraglia la concorrenza del piccolo edicolante.

Grazie a Michael per la segnalazione