Una volta, da bambina, inseguivo un branco di oche. Quando raggiunsi una spiaggia di sabbia, sulla riva del fiume, prima di attraversare un campo punteggiato di fiori selvatici, iniziai a disegnare con un bastone sulla sabbia fiori reali e immaginari… Più tardi, decisi di dipingere i muri della mia casa usando pigmenti naturali. Dopo di ché non ho più smesso di disegnare e dipingere
Maria è nata nel 1908 in una famiglia contadina del villaggio di Ivankiv Raion, a 30 chilometri da Chernobyl. Era malata di poliomelite e durante la Seconda guerra mondiale perse il marito e un figlio. Attraversò la carestia degli anni 30, il famigerato Holodomor, prodotto dalle politiche di Stalin nel quale morirono milioni di ucraini.
Mentre accadeva tutto questo Maria dipinse quadri meravigliosi, dalle figure oniriche e dai colori intensi, un trionfo di fantasia e gioia di vivere. Pur rappresentando l’opposto logico del realismo socialista, e costruendo il proprio alfabeto visivo sulla tradizione popolare, il regime non le mise mai i bastoni tra le ruote.
Ebbe molto successo già in vita e le sue opere furono esposte in tutta l’Unione Sovietica e anche all’estero. Si dice che Pablo Picasso, dopo aver visitato una sua mostra a Parigi, disse: «Mi inchino di fronte al miracolo artistico di questa brillante artista ucraina».
Oggi queste immagini restituiscono un senso di incredibile contemporaneità. Sembrano disegnate ieri da un’illustratore di New York (o di Milano), mentre alcune sono state realizzate nella metà degli anni Trenta.
A Palazzo Reale per la mostra di Picasso le cose paiono andare molto bene. L’obiettivo dei 500mila pare sarà superato. Bene. È una bella mostra e chi non è ancora riuscito ad andarci vada (magari così).
Io invece ho ritrovato nell’archivio dell’Associazione Giovanni Testori due articoli che lo stesso Testori pubblicò sul Corriere, scritti in relazione alle opere in mostra a Milano. Il primo è del 1979 e si riferisce alla mostra al Grand Palais di Parigi realizzata con i quadri che gli eredi di Picasso cedettero allo Stato francese «in pagamento dei diritti di successione». Il secondo è del 1985 ed è scritto per l’inaugurazione del Museo Picasso all’Hôtel Salé realizzato con le stesse opere.
I due articoli sono molto belli. Entrambi riconoscono il genio di Picasso. Eppure vi troviamo due Picasso diversi. Eccoli
Corriere della Sera, 4 novembre 1979
Una cosa, infatti, può dirsi con certezza: ed è che Picasso ebbe a ricevere in dono due delle caratteristiche proprie a tutti i veri geni. La prima consiste nella staticità, per cui ogni movimento, per avventuroso e funambolico che appaia, ricade sempre nel nucleo di partenza (e questo risulta tanto più evidente quanto più il maestro s’affanna a voler illudere sé e gli altri del contrario); la seconda consiste nell’ovvietà, in quel non temere di prener tra mano il cosiddetto «luogo comune», anzi di riconoscerlo come il proprio unico terreno e il proprio unico dominio (fatto, questo, in cui personalmente penso risieda la più grande ed attiva lezione di Picasso; sempre, ma, in modi drammatici e particolari, ai nostri giorni in cui tutto va a evidenza ricominciato).
Su queste due constatazioni di base non è possibile nutrir dubbi. Si deve, anzi, procedere e riconoscere che quei doni Picasso di ebbe come nessun altro; almeno nel nostro secolo e per ciò che riguarda il regno dell’espressività. Senonché tali componenti, private come furono della terza, han dato luogo a una sorta di potenza smisurata, dilatantesi all’infinito ma che vacillò, poi, di continuo e di continuo si sgonfiò, come una vescica, franando su se stessa; una potenza urlata e insieme afona, ingombrante proditoria e, insieme, ridicola, inane, vuota.
Più che d’una potenza si trattò, forse, del suo specioso e grandeggiante involucro. Il fatto che, del genio, Picasso non ebbe in carico o in dono la fatalità; cioè a dire l’adesione naturale all’essere e alla vita. E qui non intendo riferirmi ai possibili rapporti con la terra; cose queste che Picasso esibì sino al folclore toreadorico. Intendo riferirmi al flusso interno, al flusso primo ed ultimo di ciò che è l’esistenza.
Corriere della Sera, 29 settembre 1985
Qui si tocca, forse, la ragione della forza platetariamente allarmante, perché planetariamente vitale, del mondo di Picasso; qui si prende fra le mani la prova della sua intatta attualità; un’attualità circa una conduzione dell’esistenza che, in questi anni, sembra voler consumare e distruggere, nell’uomo, la sua stessa esistenza. La necessità era, infatti, d’opporre al già iniziato dominio delle violenze scientifiche e tecnologiche, al processo non riferito più all’uomo, o indifferente all’uomo, quasi fosse il nuovo, astratto Moloch cui tutti prostrarsi, la verità nuda e cruda della creazione; e, in essa, dell’uomo.
Nuda e cruda, significava (e significa), per prima cosa, che tale verità doveva glorificare il corpo dell’uomo nella sua animalità senza paura di ricorrere, come Picasso ha più volte fatto, alla violenza e alla crudeltà che opponeva alla torva sapienza irrelata del Nuovo Potere l’enorme insipienza relata della nostra carne; forse, anzi, della bestia che, per fortuna, gemeva e geme ancora in noi. Prima che una mano di metallo, o di qualche fibra artificiale, le piombi sopra per strozzarla e finirla.
Vien da dire: ma sono due Picasso diversi o sono i Testori ad essere due?
La vincitrice del “Flower Prize 2012″ è Jenny Saville con l’opera Mirror.
Motivazione della Giuria:
Tiziano, Giorgione, Manet e Picasso. E Jenny Saville in persona. Questo quadro è molto affollato. Di riferimenti, soggetti e idee. È una conferenza di Storia dell’arte, ma anche un dichiarazione di poetica. Jenny balla coi mostri sacri della pittura. Si esibisce nella sua danza che ritrova la bellezza, dopo i tempi in cui del corpo era rimasta solo la carne stremata. La Venere di Urbino di Tiziano sdraiata insieme all’Olympia di Manet. Sullo sfondo il paesaggio della Venere dormiente di Giorgione. In mezzo a loro compare il volto della pittrice stessa, che di nuovo si autoritrae sulla destra. Alle sue spalle una misteriosa tela che fa pensare a Picasso (qualcuno pensa a Las Meninas da Velazquez, ma NONAME non è in grado di confermarlo). Un quadro colto, che tuttavia non resta congelato dentro la citazione dotta, ma che vibra di un tratto morbido e deciso. Jenny Saville ha ritrovato la sua strada verso la grande pittura. È dovuta passare dai capolavori del passato ai quali sa guardare senza senso di inferiorità. Non cambia il fulcro della sua ricerca, il corpo, il suo corpo. È la strada ad essere nuova. È una novità per lei. Ma è anche la notizia più interessante di questo stanco 2012.
The winner of the ”Flower Prize 2012″ is Jenny Saville‘s work “Mirror”
Jury motivation:
Titian, Giorgione, Manet and Picasso. And Jenny Saville herself. This painting is pretty crowded. It’s crowded with references, subjects and ideas. It is an art history conference, but also a poetics statement. Jenny is dancing with painting legends. She shows her dance recovering a beauty that was lost, in the exhausted flesh of her early bodies. Titian’s Venus of Urbino lying down next to Manet’s Olympia. In the background, a landscape from Giorgione’s Sleeping Venus. The painter’s face is present among them, self-portrayed on the right. A mysterious painting suggesting Picasso (someone recognized in it Las Meninas after Velazquez, but NONAME can’t verify this) stands behind. This is a cultured painting, but it is not suspended in erudite quotations, it pulsates with determined but smooth strokes. Jenny Saville has found her way to great painting. She had to walk her way through past masterpieces, and she faced them without inferiority complex. The main point (fulcrum) of her research is not changed: it’s still the body, her body. But the way to investigate it, that is brand new. It’s an evolution for her. But this is also the most exciting news for this exhausted 2012.
Sto leggendo “A Bigger Message – Conversazioni con David Hockney” di Martin Gayford appena pubblicato da Einaudi. È un libro interessantissimo. Mille sarebbero i passi da riprendere. Qui però riporto due passaggi in cui il pittore inglese parla di Pablo Picasso. Magari possono essere utili a chi non è ancora andato a vedere la bellissima mostra a Palazzo Reale a Milano. E magari anche a chi c’è andato o chi non ci andrà. Comunque, Gayford scrive a pagina 82:
John Richardson, biografo di Picasso e intimo amico dell’artista nei suoi ultimi anni, mi ha raccontato questo aneddoto:
“Lucien Clergue, il fotografo, conosceva benissimo Picasso. L’altro giorno mi ha detto: ‘Sai, picasso, mi ha salvato la vita’. Ho risposto: ‘Cosa?’ Ha proseguito: ‘Sì, è avvenuto ad Arles, dopo la corrida’. Lucien ha spiegato che si sentiva benone, aveva perso peso, ma non era preoccupato. Di punto in bianco, Picasso gli aveva detto: ‘Devi andare immediatamente all’ospedale’. Lucien gli aveva chiesto perché. Picasso aveva risposto: ‘Hai qualcosa di grave’. Lucien non ne aveva alcuna intenzione, ma Jacqueline [la moglie di Picasso] aveva aggiunto: ‘Se lo dice Pablo, devi assolutamente farlo’. Allora ci andò e i dottori lo portarono subito in sala operatoria. Gli dissero che aveva una forma rarissima di peritonite, che era mortale. L’aspetto terribile di questa malattia è che era asintomatica, non dava dolore, semplicemente uccideva. Picasso di se stesso diceva spesso: ‘Sono un profeta’.
Lo riportai a Hockney, che si disse subito d’accordo con questa conclusione.
David Hockney: «Picasso era un profeta. Probabilmente aveva visto qualcosa che non andava sul viso di Clergue. Picasso ha guardato più volti di qualsiasi altro, ma non li guardava come un fotografo. Pensava a come li avrebbe disegnati. La maggioranza della gente non guarda un viso a lungo, tende subito a guardare da un’altra parte. Ma se si dipinge un ritratto, si deve guardare il viso. Rembrandt mise più forza su un viso di qualsiasi altro pittore prima di lui, perché vedeva di più. Era una questione di occhio – e di cuore.
Qualche pagina prima, non richiesto, Hockney parla di nuovo di Picasso:
Martin Gayford: «Crede che i pittori possano acquisire un altro stile verso la fine della vita?»
David Hockney: «Beh, molti quadri dell’ultimo Picasso penso parlino della vecchiaia. Ce n’è uno meraviglioso che abbiamo visto a Baden-Baden, una sorta di autoritratto di vecchio, ma in realtà è un bambino portato da una donna. Le sue palle toccano il pavimento, le gambe deboli, fragili. È un po’ come una madre che insegna a un bambino a camminare. Lo stesso avviene nella vecchiaia, si ha bisogno di aiuto. Mi ricordo l’ombelico, che era costruito da una pennellata che Picasso aveva fatto roteare su se stessa. Questa torsione ha creato piccoli segni tutt’intorno che rendono l’immagine più dolce. È davvero sorprendente. Si ha la sensazione che l’uomo sia vecchio, ma si sente che la carne è morbida come quella di un bambino. Ci sono molti strati di pittura. Penso che si debba essere vecchi per capire di cosa di tratta.
Io, per quello che può contare, non ho dubbi: Jenny Saville è una grande artista. Orfani di Lucian Freud, probabilmente, è la pittrice più importante in circolazione che si dedichi alla figura umana (ve ne vengono in mente altri?).
La mostra al Modern Art Oxford è una retrospettiva che ripercorreà rebours le tappe più significative della carriera dell’artista scoperta da Charles Saatchi. I primi quadri sono quelli dell’ultimo triennio, mentre nell’ultima stanza sono esposte le opere dei primi anni Novanta.
Quel che balza agli occhi è lo scarto che c’è stato in questo ultimo periodo in cui il lavoro sul corpo umano, da una sorta di ossessione per i volumi della carne, qui debordante, là ferita e deturpata, si trasforma in una riflessione sulla linea e sul movimento. Nel video in mostra, come aveva fatto nell’intervista che avevo segnalato, la Saville dice che ciò che le ha fatto cambiare marcia è stata l’esperienza della maternità. Dopo aver avuto due figli a distanza ravvicinata, l’artista racconta che è mutata in lei la percezione del proprio corpo. I nuovi quadri, infatti, sono di nuovo degli autoritratti nei quali compaiono, questa volta, anche i suoi figli. Ma non solo. Il riferimento ai grandi dell’arte antica (Leonardo e Tiziano) diventa esplicito. Come se, per esprimere il proprio sguardo sul corpo umano, la Saville avesse bisogno di tornare a questi grandi. Come se, per dire la scoperta della maternità, avesse bisogno di tornare là dove più compiutamente il rapporto tra madre e figlio era stato messo in scena. Questo aspetto è reso ancor più chiaro dallo spin off della mostra al Ashmolean Museum dove due sue opere sono esposte nella sala della pittura italiana del Rinascimento.
Il confronto con questi grandi sembra riuscirle senza cadere nel ridicolo, secondo, perché riesce a non dimenticarsi neppure della lezione di Bacon, ma forse ancor di più di quella di Picasso.
L’immagine qui sopra è un particolare del grande quadro “Mirror” che vedete qui sotto per intero. Il riferimento esplicito è alla Venere di Urbino di Tiziano.
A year ago, in his blog, Jonathan Jones wondered (he said without irony) if the English painter was really an artist or she was nothing more than a strange phenomenon of feminist activism.
For what it’s worth, I have no doubt: Jenny Saville is a great artist. Orphans of Lucian Freud, she is probably the most important painter in circulation, which is devoted to the human figure (you can think of others?).
The exhibition at Modern Art Oxford is a retrospective covering a rebours the most significant stages of the career of the artist discovered by Charles Saatchi. The first pictures are those of the last three years, while the last room displays works of the early nineties.
What leaps to the eye is the gap that there was in this last period in which the work on the human body, a sort of obsession with the volumes of meat, overflowing here, wounded and disfigured there, it becomes a meditation on line and movement. In the video in exhibition, as she had done in the interview that I had indicated, Saville says that what changed her way of working has been the experience of motherhood. After having two children at close range, the artist says that perception of her body has changed in her. The new paintings, in fact, are still self-portraits in which, this time, even her children appear. But not only. The reference to the great ancient art (Leonardo and Titian) becomes explicit. As if to express her vision of the human body, Saville needed to go back to these great masters. As if to express the discovery of motherhood, she needed to go back there where more fully the relationship between mother and son had been staged. This is made even clearer by the spin-off show at the Ashmolean Museum, where two of his works are exhibited in the hall of Italian Renaissance painting.
The comparison with these great masters seems to succeed without ridicule. She can also not even forget the Bacon’s lesson, but perhaps even more Picasso’s one.
The image above is a detail of the big painting “Mirror” that you see below in full. The explicit reference is the Venus of Urbino by Titian.
Jonathan Jones si lamenta dell’enfasi con cui in questi giorni si sta celebrando David Hockney come il più grande artista britannico vivente (qualcuno addirittura dice “del mondo”). Dice: morto Lucian Freud si è subito incoronato Hockney come il più grande. Ma perché tutta questa fretta? Dice Jones:
I find it quite tasteless (and I’m sure he does, too) that David Hockney is widely described as Britain’s “greatest living artist” now Lucian Freud is gone. Hockney has inherited the job, it seems. What is the basis for this assumption? It comes down to two things, apparently: one, Hockney is no longer young; and two, he’s a craftsman who makes his paintings with his own two hands.
Eppure, lui dice Freud non era il più grande solo perché era un vecchio pittore:
He did not earn his extraordinary reputation by being a safe pair of hands. He was not just a decent craftsman who worked patiently until he became great. He was a profoundly original, scathing, cruel, sensual, serious observer of the human condition. His art attained a profundity that was paralleled in modern British culture by, say, the plays of Harold Pinter, and the poetry of T.S.Eliot.
E conclude: lasciamo ancora un po’ vacante il posto di “più grande artista inglese vivente”, giusto per non prendere cantonate.
Stiamo parlando del più grande artista inglese vivente [Hockney, ndr.], Lucien Freud non regge il confronto , e Damien Hirst è di un’altra generazione e anche troppo coccolato per essere così veramente trasgressivo. La capacità di David Hockney di rinnovarsi, di cambiare rotta, di sperimentare linguaggi nuovi lo rende un artista assolutamente moderno. Ha usato la fotografia in tempi non sospetti inventando immagini memorabili. E’ un grandissimo disegnatore che può stare tranquillamente al fianco di Degas. Un maestro per le generazioni di giovani artisti, Alex Katz vicino a lui sparisce. Tutti i quadri californiani degli anni 60 dalle piscine ai ritratti in ambienti sono lo specchio preciso di un epoca. I quadri immensi del Grand Canyon hanno una potenza visiva struggente , mischia la cultura pop con il cinema. Le vedute dipinte en plein air nello Yorkshire dove lui è nato fino al Bigger painting per la Royal Academy sono una riflessione di un vecchio che torna bambino, in effetti l’elenco potrebbe essere anche troppo lungo: Picasso, Ocean Drive , il teatro , il nudo maschile…
Alla conferenza stampa di presentazione della mostra di Gerhard Richter alla Tate Modern, il grande pittore tedesco rispondendo a una domanda ha detto che il mercato dell’arte è “assurdo quanto la crisi bancaria” ed è “impossibile da capire ed è sciocco”. Qualcuno gli fa notare che è facile dire così da parte di uno che nel 2010 è stato il primo degli artisti viventi a comparire nella classifica dei 500 artisti che hanno venduto di più nelle aste di quell’anno (è al 16° posto con 192 opere vendute per 62milioni di dollari – nb: non sono soldi che sono andati in tasca a lui, ma ai venditori e alle case d’asta).
Detto questo è abbastanza impressionante dare un’occhiata ai nomi in cima alla classifica stilata da artprice.net. Non ci sarebbe nulla di stupefacente, ma io mi stupisco lo stesso: tra i primi dieci artisti della classifica 4 sono cinesi (gli altri sono in ordine: Picasso, Andy Warhol, Giacometti, Matisse, Modigliani, Lichtenstein). Io, nella mia immensa ignoranza, non ne ho mai sentito parlare. Non so voi. Io comunque me li segno. Un giorno, magari, ci metterò la testa per conoscerli e capirli.
Qi Baishi (齊白石, 齐白石, 1864-1957)
Secondo classificato dopo Pablo Picasso e prima di Andy Warhol, nel 2010 sono state battute 914 sue opere per un valore di 339 milioni di dollari.
Zhang Daqian (張大千, 张大千, 1899-1983)
Quarto classificato tra Andy Warhol e Alberto Giacometti. 795 opere vendute per un valore di 304 milioni di dollari.
Xu Beihong (徐悲鴻, 徐悲鸿, 1895 – 1953)
Sesto classificato dietro Alberto Giacometti e prima di Henri Matisse. 248 opere vendute per un valore di 176 milioni di dollari.
Fu Baoshi (傅抱石, 1904-1965)
Nono classificato tra Amedeo Modigliani e Roy Lichtenstein. 203 opere vendute per un valore di 125 milioni di dollari.