A LONDRA PER UN’ABBUFFATA DI MOSTRE

Due giorni londinesi per un’abbuffata di mostre. A scarpinare di più sarebbe stato possibile vedere altro ma, come diceva Totò: «Ogni limite ha una pazienza». Ecco qualche appunto:

Rembrandt: The Late Works – National Gallery

Rembrandt, Lucrezia, 1666Una mostra coi fiocchi. Ricca, piena di colpi di scena. La prima sala con tre straordinari autoritratti varrebbe da sola il biglietto. Il tema, l’ultimo periodo del pittore olandese, non è fortissimo – l’ultimo Rembrandt non è l’ultimo Tiziano – ma i prestiti arrivati alla National sono davvero straordinari. La Lucrezia del 1666, con quella macchia di sangue che impregna la camicetta stesa a spatolate leggere, è un’opera di una modernità sorprendente. Quel che rimane della lezione di anatomia del dottor Joan Deyman, del 1656, omaggio al Cristo morto del Mantegna, è un momento difficile da dimenticare. E poi il Rembrandt incisore: che crea la luce dosando l’inchiostro con sapienza da alchimista. E poi i ritratti, ah, i ritratti…

Anselm Kiefer  – Royal Academy

anselm kiefer royal academy of artsUn grande classico, esposto nel migliore dei modi, in uno degli spazi espositivi più belli del mondo. L’ampiezza dei grandi saloni danno respiro alle immense opere del grande pittore tedesco. Severo, accigliato, impregnato di struggimento romantico. Kiefer gioca una partita da maratoneta solitario. Colto, coltissimo, arci-colto. Farebbe arrossire per ignoranza chiunque. La definizione più calzante che ho sentito, me l’ha detta una volta Giovanni Frangi, è quella data da Massimo Cacciari: un Van Gogh post bomba atomica. Una bomba esplosa trent’anni fa. Eppure i corvi sopra il campo di grano dipinto in questo tiepido 2014.

Giovanni Battista Moroni – Royal Academy

Giovan Battista Moroni - Royal AcademyUn bergamasco a Londra. Col suo accento, la sua arguzia, la sua raffinata provincialità. La mostra curata da Simone Facchinetti (lo storico dell’arte più simpatico che io conosca) e Arturo Galansino, neo direttore di Palazzo Strozzi, è un piccolo gioiello che fa capire agli inglesi (e a noi turisti del ponte di Sant’Ambrogio) che quel Sarto alla National Gallery non è affatto una meteora dell’arte lombarda. Il rosa del cavaliere in rosa, l’arancione del perizoma della Crocifissione di Albino, la dolcezza del ritratto di bambina dell’Accademia Carrara. Gli sguardi della nobiltà bergamasca. L’occhio del del direttore ottocentesco della National ci aveva visto giusto.

Alibis: Sigmar Polke 1963–2010 – Tate Modern

Alibis: Sigmar Polke 1963–2010 - Tate ModernAvevamo scritto che il 2014 sarebbe stato l’anno di Sigmar Polke. Sono cose che si scrivono un po’ così, senza prendersi troppo sul serio. Ma se una mostra come quella di Kiefer ha poco di sorprendente (sì, Kiefer è Kiefer…), quella alla Tate è in grado aprire scenari inattesi. Una mostra che riesce a mettere in discussione la gerarchia della triade dei tedeschi Richter, Kiefer, Polke (e Immendorf? Immendorf ce lo stiamo dimenticando?), dove Polke era sempre stato, forse per distrazione o pigrizia, stabile al terzo posto. Un inciso: Jonathan Jones, qualche anno fa, aveva scritto che la Germania è la nazione che ha dato di più all’arte contemporanea. Questa mostra è un nuovo tassello che conferma la tesi del critico del Guardian. Ma tornando alle classifiche: non so se Polke insidi davvero Richter, ma Kiefer certamente. Il Dall’Ombra, che ha avuto la cortesia di accompagnarmi nella scampagnata londinese, sostiene che una mostra come quella di Kiefer potrebbe far male a un giovane pittore, quella di Polke no. In che senso? Il primo può essere un muro contro cui scontrarsi. Non tanto per il grandissimo talento (quello non fa male a nessuno), ma perché non segna punti di rilancio, vie di fuga, percorsi inesplorati. Polke (non meno talentuoso, anzi, anz’anzi) invece è una rampa di lancio. Temi, materiali, tecniche. C’è una tensione alla scoperta e alla ricerca da cui non si può che imparare.

 

MOMA E CHRISTIE’S, È L’ANNO DI SIGMAR POLKE

Alice in Wonderland, sigmar polke, Moma 2014
Alice in Wonderland, 1972.

Il 2014 sarà ricordato come l’anno della riscoperta globale di Sigmar Polke. I dati sono chiari: 1) Sabato apre al Moma una grande retrospettiva che ad ottobre alla Tate Modern e  nel 2015 al Museo Ludwig di Colonia. 2) Il 24 inaugura a Londra, alla Christie’s Mayfair una mostra dedicata a lui e al compagno di viaggio degli anni Sessanta: Gerhard Richter. Se grandi istitituzioni (e grandi sponsor, leggi: Wolkswagen) e mercato (Christie’s) si muovono in sincronia, l’operazione è già un successo in partenza.

Di per sé Polke non avrebbe bisogno di riscoperte, ma con l’operazione in corso lo si vuole consegnare alla storia dell’arte come un grande del secondo Novecento come è già è stato fatto con Richter.

Entrambe le occasioni, quella del Moma e da Christie’s, saranno utili per prendere le misure del grande del pittore tedesco, registarne la lettura critica e farlo conoscere al grande pubblico.

Certo, né a New York né a Londra ci saranno capolavori indimenticabili come il monumentale ciclo Axial Age realizzato per la Biennale di Venezia del 2007 ora di proprietà di Pinault e rivisto a Punta della Dogana (Robe da chiodi dice essere una delle meraviglie dello scorso decennio), ma al Moma sembra essere ricostruita in modo abbastanza esauriente (250 opere tra quadri, foto e film) tutta la parabola del pittore.

Pittore, appunto. Come Richter ma in modo molto diverso: più sperimentatore, forse, più istintivo anche se non meno cerebrale (è possibile essere entrambe le cose nello stesso momento?).

A volerlo distruggere basterebbe dire che faceva i pallini come Roy Lichtenstein. Ma è evidente che non è così. Ha dentro molto più mistero (e non faceva solo “i pallini”). Ha una mano fenomenale, un gusto, un senso del colore  che gli fa meritare questo momento di gloria.

Sigmar Polke, Untitled (Quetta, Pakistan) 1974/78
Sigmar Polke, Untitled (Quetta, Pakistan) 1974/78

 

GERHARD RICHTER A BEIRUT HA PORTATO LA TATE MODERNGERHARD RICHTER BROUGHT THE TATE MODERN IN BEIRUT

Il quadro di proprietà di Eric Clapton battuto da Sotheby’s a Londra per qualche fantastiliardo di sterline è stato dipinto da Gerhard Richter nel 1994. Molto tempo fa. Oggi Richter ha 80 anni, ma non smette di produrre opere nuove. Negli scorsi mesi ha esposto un lavoro molto particolare nelle sedi di Parigi e New York della Marian Goodman Gallery e in altre mostre in Europa. Con un processo digitale (spiegato qui) è partito da questo suo quadro astratto del 1990:

Gerhard Richter, Abstraktes Bild, Abstract Painting, 1990

e ha ottenuto immagini come questa:

Gerhard Richter

o come questa:

Gerhard Richter

Sono stampe digitali di grande formato (quella subito qui sopra è un 300×300 cm). Molto belle. Certamente non belle come l’originale. Però non è roba che ti aspetteresti da un vecchietto classe 1932. Ma non è qui che volevo arrivare. Richter questa primavera ha fatto una mostra anche al Beirut Art Center dove ha esposto una serie di fotografie dipinte nate da scatti realizzati alla Tate Modern di Londra, immagino l’anno scorso durante la prima tappa di Panorama. Beh, sono meravigliose. Eccone alcune:

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Tutte le immagini sono prese da www.gerhard-richter.comThe painting owned by Eric Clapton sold by Sotheby’s in London for a few zillion pounds was painted by Gerhard Richter in 1994. A long time ago. Today Richter has 80 years, but he continues to produce new works. In recent months, he has shown a very special work at Marian Goodman Gallery in Paris and New York and in other exhibitions in Europe. With a digital process (explained here) he started with this abstract painting of 1990:

Gerhard Richter, Abstraktes Bild, Abstract Painting, 1990

and he obtained images like this:

Gerhard Richter

or like this:

Gerhard Richter

It is large format digital prints (the one above is a 300×300 cm). Very beautiful. Certainly not as beautiful as the original. But it is not stuff you’d expect from an old man born in 1932. But that’s not where I wanted to go. Richter this spring has also had a show at the Beirut Art Center where he exhibited a series of overpainted photographs born from shots taken at the Tate Modern in London, I guess last year during the first stage of Panorama. Well, they are wonderful. Here are some:

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

All pictures are taken from www.gerhard-richter.com

TUTTI GLI SQUALI DEL SIGNOR DAMIEN HIRST (UN CENSIMENTO)HOW MANY SHARKS, MR. HIRST? (A CENSUS)

Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, 1991
Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, 1991

Sono stato alla mostra di Damien Hirst alla Tate Modern di Londra. È una mostra all’altezza sia della Tate sia di Hirst. Se potete, non perdetevela. L’opera più bella è anche la più famosa: The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (d’ora in poi per brevità TPIODITMOSL).

Di quest’opera Hirst ha parlato molte volte (l’ultima qui), ma una volta ha  spiegato: “Mi piace l’idea di qualcosa che descrive una sensazione. Uno squalo fa paura, è più grande di te, si muove in un ambiente a te sconosciuto. Sembra vivo quando è morto e morto quando è vivo”.

Nella mostra di Londra, però, gli squali esposti sono due. Il primo è, appunto, TPIODITMOSL. L’altro, più piccolo e in una teca nera, si intitola The Kingdom.

Per molti TPIODITMOSL è diventato il simbolo della follia dell’arte contemporanea, tanto che nel 2008 l’economista Donald Thompson ha scritto un libro tradotto in italiano col titolo Lo squalo da 12 milioni di dollari – La bizzarra e sorprendente economia dell’arte contemporanea. Thomson racconta per filo e per segno la genesi di TPIODITMOSL e rivela una serie di particolari abbastanza interessanti.

L’opera fu realizzata per la prima volta nel 1991 con i soldi di Charles Saatchi. “L’artista – racconta Thompson – aveva fatto alcune telefonate “Cercasi squalo” ad alcuni uffici postali australiani in località costiere, i quali avevano appeso dei cartelli con il suo numero di Londra”. A rispondere all’annuncio fu Vic Hislop, un pescatore di Hervey Bay, una località sull’Oceano Pacifico. Lo squalo fu pagato 6000 dollari: 4000 per la cattura e 2000 per imballarlo nel ghiaccio e spedirlo a Londra via nave.

vic hislop, shark for damien hirst
Vic Hislop alle prese con uno squalo nel 1992.

TPIODITMOSL fu esposta per la prima volta nel 1992 nella galleria privata di Saatchi. Quando però nel 2005, tramite i buoni uffici di Larry Gagosian, Saatchi vendette l’opera al finanziere americano Steve Cohen (si dice per 12 milioni di dollari), lo squalo si era completamente deteriorato. Hirst accettò si sostituire l’animale e chiamò di nuovo Vic Hirslop. Gli chiese altri tre squali tigre e un grande squalo bianco della stessa stazza e ferocia dell’originale. Hirslop, racconta Thompson, inviò a Hirst cinque squali, uno dei quali in regalo. (Qui l’articolo del Nyt che racconta la sostituzione di squalo)

Che fine hanno fatto gli altri quattro squali? In realtà io ne ho censiti almeno cinque. Eccoli:

The Immortal (1997-2005)

Damien Hirst, The Immortal (1997-2005)

The Wrath of God (2006)

Damien Hirst, The Wrath of God (2006)

Death Explained (2007)

Damien Hirst, Death Explained (2007)

Death Denied (2008)

Damien Hirst, Death Denied (2008)

The Kingdom (2008)

Damien Hirst, The Kingdom (2008)

Che io sappia poi, esiste almeno un’opera realizzata anziché con uno squalo, con un pesce-martello:

Fear of Flying (2008-2009)

Damien Hirst, Fear of Flying (2008-2009) Damien Hirst, Fear of Flying (2008-2009)

Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, 1991
Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, 1991

I’ve been to Damien Hirst’s exhibition at the Tate Modern in London.  It is a show worthy of the Tate and Hirst. The most amazing work is the most famous one: The Physical Impossibility of Death in the Mind of SomeoneLiving (hereafter for brevity TPIODITMOSL).

Hirst spoke about this work many times (the last one here), but once explained: “I like the idea of something describing a feeling. A shark is scary, it’s bigger than you, it moves in a environment unknown to you. It seems alive when it is dead, and dead when it is alive”.

In the London show, however, the sharks on display are two. The first is, in fact, TPIODITMOSL. The other, smaller and in a black vitrine, called The Kingdom.

For many TPIODITMOSL has become the symbol of the folly of contemporary art, so much so that in 2008 the economist Donald Thompson wrote the book The $12 Million Stuffed Shark. Thomson explains the genesis of TPIODITMOSL and reveals a number of quite interesting details.

The work was realised for the first time in 1991 with Charles Saatchi’s money. “The artist – writes Thompson – had made ​​some phone calls “Wanted shark”at some post offices in the Australian coastal towns, which had hung signs with his number in London”. The man who called Hirst was Vic Hislop, a fisherman from Hervey Bay, a resort on the Pacific Ocean. The shark was paid $6000: $4000 for the capture and $2000 for packing it in ice and shiping it to London by ship

vic hislop, shark for damien hirst
Vic Hislop whit a shark in 1992.

TPIODITMOSL was shown for the first time in 1992 in Saatchi’s private gallery. But when in 2005, through the good offices of Larry Gagosian, Saatchi sold the work to the American financier Steve Cohen (they say: 12 million dollars), the shark had completely deteriorated. Hirst accepted to replace the animal and called again Hirslop Vic. He asked three other tiger sharks and great white shark of the same size and ferocity of the original. Hirslop, says Thompson, sent five sharks, one of them as gifts. (Here the article in the NYT with the story of the replacement of the shark).

What happened to the four other sharks? I actually counted at least five. Here they are:

The Immortal (1997-2005)

Damien Hirst, The Immortal (1997-2005)

The Wrath of God (2006)

Damien Hirst, The Wrath of God (2006)

Death Explained (2007)

Damien Hirst, Death Explained (2007)

Death Denied (2008)

Damien Hirst, Death Denied (2008)

The Kingdom (2008)

Damien Hirst, The Kingdom (2008)

Then as I know, there is at least a work created instead wiht a shark, whit a fish-hammer:

Fear of Flying (2008-2009)

Damien Hirst, Fear of Flying (2008-2009) Damien Hirst, Fear of Flying (2008-2009)

LA VERSIONE DI SAATCHI E LA SECONDA SIGNORA RICHTERTHE SAATCHI’S VERSION AND THE SECOND MRS. RICHTER

Mentre la Tate Modern celebra Gerhard Richter, Charles Saatchi fa la sua mostra dedicata all’arte contemporanea tedesca: “Gesamtkunstwerk, New art from Germany”. Quello tra Saatchi e la Tate è un duello che dura ormai da due decenni e, secondo Jackie Wullschlager del Financial Times, ha visto il primo avere la meglio sulla seconda (Io non ne sono convinto: con la nascita della Tate Modern le cose sono cambiate).

La cosa curiosa è che tra gli artisti scelti dal collezionista c’è anche Isa Genzken, la seconda moglie di Gerhard Richter (si sposarono nel 1982 e divorziarono nel 1995). Isa Genzken non è un’artista qualunque (nel 2007 rappresentò la Germania alla Biennale di Venezia), ma mi sembra evidente che non regga in nessun modo il confronto con l’ex marito. Qui alcune immagini esposte alla Saatchi Gallery.

Isa Genzken, Bouquet, 2004
Bouquet, 2004

Isa Genzken, Mutter Mit Kind, 2004
Mutter Mit Kind, 2004

Isa Genzken, MLR, 1992 lacquer on canvas, 206 x 185 cm
MLR, 1992 lacquer on canvas, 206 x 185 cm

Isa Genzken, MLR, 1992, lacquer on canvas, 126 x 91.5cm
MLR, 1992, lacquer on canvas, 126 x 91.5 cm

While the Tate Modern celebrates Gerhard Richter, Charles Saatchi makes his German contemporary art exhibition: “Gesamtkunstwerk, New Art from Germany”. The relationship between Saatchi and Tate is a battle that has lasted two decades and, according to Jackie Wullschlager in the Financial Times, saw the first win over the second (I am not convinced with the birth of the Tate Modern things have changed).

The curious thing is that among the artists chosen by the collector is also Isa Genzken, Gerhard Richter’s second wife (they married in 1982 and divorced in1995). Isa Genzken is not any artist (in 2007 represented Germany at the Venice Biennale), but it seems clear that in any way she doesn’t stand the comparison with ex-husband. Here are some pictures exhibited at the Saatchi Gallery.

Isa Genzken, Bouquet, 2004
Bouquet, 2004

Isa Genzken, Mutter Mit Kind, 2004
Mutter Mit Kind, 2004

Isa Genzken, MLR, 1992 lacquer on canvas, 206 x 185 cm
MLR, 1992 lacquer on canvas, 206 x 185 cm

Isa Genzken, MLR, 1992, lacquer on canvas, 126 x 91.5cm
MLR, 1992, lacquer on canvas, 126 x 91.5 cm

RICHTER ALLA TATE, PENSIERI SU UNA MOSTRA INDIMENTICABILERICHTER AT THE TATE, THOUGHTS ON AN UNFORGETTABLE SHOW

Quella di Gerhard Richter alla Tate Modern è una mostra indimenticabile. Lo sapevo già prima di andarci, visto che si tratta della prima grande antologica sul pittore tedesco, eppure la conferma non è stata priva di sorprese. Indimenticabile perché la grandezza di Richter ha lo spazio per dispiegarsi nonostante i limiti che un allestimento come quello della Tate, inevitabilmente, porta con sé.
La mostra ha un andamento didattico, giustamente cronologico, ma rinuncia o non è stata capace, laddove era possibile, a far deflagrare alcune questioni esplosive insite nell’arte di Richter. Diciamola così: secondo la distinzione che Giovanni Agosti mutua da Pasolini, quella alla Tate è una mostra di prosa e non di poesia.
Faccio quattro esempi: il primo è nella seconda sala, quando il rapporto tra “Herr Heyde” (1965) e “Tante Marianne” (1965) non è affatto valorizzato. Il primo quadro, infatti, rappresenta l’arresto del responsabile della politica eugenetica del regime nazista, mentre il secondo è la riproduzione di un immagine in cui Richter bambino è tenuto in braccio dalla zia Marianne, vittima proprio di quella politica. I quadri sono esposti a poca distanza, ma come se tra loro non ci fosse nessuna relazione diretta.

Nella settima sala, invece, sono esposti “Kerze” (1982) e “Schädel” (1983). I curatori, nella loro presentazione della stanza, dicono bene che siamo difronte a una sincera meditazione sulla “vanitas”. Eppure i due quadri non sono accostati e sono posti in punti non strategici (nel catalogo invece le due immagini sono accostate).

In catalogo sono riportati una serie di quadri del 1995 relativi alla nascita dell’ultimo figlio di Richter: una serie commovente di otto immagini che sono un grandioso inno alla maternità. Bene: in mostra non ci sono. Immagino ci saranno a Berlino o a Parigi. Peccato non averli visti dal vivo.

Ultimo: il quadro “September” (2005) nell’ultima stanza è esposto come uno tra gli altri come se non si trattasse di una delle sfide più azzardate con cui Richter si sia confrontato negli ultimi dieci anni.

Ecco invece le cose che mi sono piaciute.

La prima stanza con il primo quadro “ufficiale” (CR:1) tratto da un’immagine di un tavolo trovata sulla rivista Domus. Un quadro che ha dentro di sé il destino di tutta l’opera di Richter.


Lo straordinario “Neger (Nuba)” (1964) tratto da una foto di Leni Riefenstahl che è il primo photopainting a colori in mostra.


Il fatto che i curatori insistano molto sulla riflessione “in opera” che Richter svolge sulla pittura e il suo rapporto decisivo con l’opera di Duchamp.

Grande il trittico delle tre nuvole “Wolken” (1970).

Alcuni quadri astratti scelti sono davvero da capogiro come quello del 1997 (CR:849-2).


E infine: la stanza più clamorosa è quella dedicata al ciclo “Oktober” del 1989. Per intensità, maestria e portata storica.

Un ultima cosa: quel che mi colpisce di più leggendo le interviste di Richter è la sua insistenza a sottolineare il suo orientamento anti-ideologico che, a tratti, appare a sua volta ideologico. La sua volontà di andare contro corrente sempre lo ha portato, paradossalmente, a svolgere il ruolo di paladino della forma d’arte che durante l’ultimo secolo è stata data tante volte per morta: la pittura. Il suo metterne in luce i limiti (come nel corpo a corpo con l’Annunciazione di Tiziano) lo ha portato a scoprirne le frontiere e allo stesso tempo il valore di mezzo di comunicazione contemporanea. Il fatto che ancora oggi, a ottant’anni, Richter continui a dipingere e a inventare cose nuove (vedi la mostra in corso a Parigi) dimostra che questo lavoro di ricerca non è ancora finito.The exhibition by Gerhard Richter at the Tate Modern is an unforgettable. I knew that before, since this is the first major retrospective on the German painter, but confirmation has not been without its surprises. Memorable because the Richter magnitude has the space to unfold despite the limitations that an exhibition such as the Tate inevitably brings.
The exhibition has an educational trend, chronologically correct, but withdraws or has not been able, where possible, to explode at some explosive issues inherent in the art of Richter.
I make four examples:

the first is in the second room, when the relatonship etween “Herr Heyde” (1965) and “Tante Marianne” (1965) is not valued. The first painting, in fact, shows the arrest of chief of eugenics policy during the Nazi regime, while the second is the reproduction of an image in which Richter’s child is held in the arms of Aunt Marianne, a victim of that very policy. The paintings are on display at a short distance, but as if among them there was no direct relationship.

In the seventh room, however, are exposed “Kerze” (1982) and “Schadeli” (1983). The editors, in their presentation of the room, say that we are in front of a sincere meditation on the “vanitas.” Yet the two paintings are juxtaposed and are placed in non-strategic points (in the catalog instead of the two images are touching).

The catalog shows a series of paintings of 1995 relating to the birth of the last son of Richter: moving a series of eight images that are a great hymn to motherhood. Well, they are not on display. I imagine there will be in Berlin or in Paris. Too bad not having seen them live.

Last: the painting “September” (2005) in the last room is exposed as one of the others as if it were not one of the most daring challenges with which Richter has been compared in the last ten years.

Here is the things that I liked:

The first room with the first “official” painting (CR: 1), an image taken from a table found on the magazine Domus. A framework has within himself the destiny of Richter’s whole work.


The extraordinary “Neger (Nuba)” (1964) a photopainting taken from a photo of Leni Riefenstahl which is the first color in the exhibition.


The fact that the editors insist on much reflection “work” that plays on the Richter painting and its relationship with the critical work of Duchamp.

The triptych of the three great clouds “Wolken” (1970).

Some abstract paintings chosen are truly mind-boggling as that of 1997 (CR :849-2).


And finally, the most dramatic room is dedicated to the cycle “Oktober” in 1989. For strength, skill and historical significance.

One last thing: what strikes me most reading the interviews Richter is his insistence to emphasize its anti-ideological orientation that, at times, appears to turn ideological. His willingness to go against the tide always led him, paradoxically, to play the role of champion of the art form during the last century has been given up for dead many times: painting. His highlight the limits (as in combat with the Annunciation by Titian) led him to discover its borders and at the same time the value of contemporary media. The fact that even today, eighty years, Richter continued to paint and invent new things (see the current exhibition in Paris) demonstrates that this research work is not finished yet.

TARYN SIMON: FOTOGRAFARE L’INFOTOGRAFABILE

Hymenoplasty	 Cosmetic Surgery, P.A.	 Fort Lauderdale, Florida
Hymenoplasty Cosmetic Surgery, P.A. Fort Lauderdale, Florida
Transatlantic Sub-Marine Cables Reaching Land	 VSNL International	 Avon, New Jersey
Transatlantic Sub-Marine Cables Reaching Land VSNL International Avon, New Jersey
U.S. Customs and Border Protection, Contraband Room	 John F. Kennedy International Airport	 Queens, New York
U.S. Customs and Border Protection, Contraband Room John F. Kennedy International Airport Queens, New York

Taryn Simon è un po’ la Sofia Coppola della fotografia. Newyorkese, classe 1974, parentele importanti (è la cognata di Gwyneth Paltrow) e soprattutto: piace alla gente che piace (leggi: Gagosian). La segnalo per due motivi: il primo è che dà l’impressione di una maturità di sguardo sorprendente per la sua età, il secondo è che come pochi è riuscita nell’intento di fotografare l’infotografabile. Mi riferisco soprattutto a due lavori come An American Index of the Hidden and Unfamiliar (2007) – del quale alcuni scatti sono esposti nel padiglione danese della Biennale di Venezia, e Contraband (2010). Americanissima, anche nello stile di critica sociale che avanza con la sua opera, adotta il teutonico processo di catalogazione inventato da Bernd e Hilla Becher. Lo dimostra nell’ultimo lavoro A Living Man Declared Dead and Other Chapters esposto in questi giorni alla Tate Modern (fino al 2 gennaio 2012), nel quale fotografa sedici “bloodline”, immortalando i volti dei membri di famiglie svelando contemporaneamente le storie ad essi legate, come accade, appunto, nella storia indiana dell’uomo vivo dichiarato morto.

Qui la presentazione della mostra di Londra

Qui invece la presentazione di An American Index of the Hidden and Unfamiliar

MARK ROTHKO 4SEASONS RESTAURANT=POMPEI+MICHELANGELO

Jonathan Jones racconta una storia che non sapevo e che trovo davvero intrigante. È la storia che vedete qui sopra e che lega inaspettatamente una delle opere più importanti del Novecento, il ciclo per il Four Seasons di New York di Mark Rothko, con i dipinti della Villa dei Misteri di Pompei e il vestibolo della Bibblioteca Laurenziana di Firenze di Michelangelo. Il critico del Guardian lo racconta in modo più elegante e convincente, ma permettetemi lo stesso di sintetizzare la vicenda. Mark Rothko era un fan de “La nascita della tragedia” in cui Friedrich Nietzsche spiega che il teatro greco ha avuto origine dai riti dionisiaci. Mentre stava pensando al ciclo di quadri che sarebbe dovuto servire per le pareti dell’elegante ristorante del Seagram Building di Manhattan, Rothko fa un viaggio in Italia e si reca a Pompei e in particolare visita la Villa dei Misteri famosa per i suoi affreschi raffiguranti proprio dei riti dionisiaci. I rossi e i neri di quegli affreschi, probabilmente, sono quelli che ritroviamo nei quadri del ciclo ora conservato alla Tate Modern.  L’altra visita di cui Rothko parla è quella alla Biblioteca laurenziana. Jones dice che Rothko fu impressionato, in particolare, dalle finestre cieche del vestibolo della bibblioteca (uno dei grandi capolavori di Michelangelo). Finestre che, anziché portare luce, bloccano la curiosità del visitatore. La sala della Tate con i quadri di Rothko – dice sempre Jones – è come se riproducesse l’effetto claustrofobico e disorientante del vestibolo bicromatico di Michelangelo. L’ultima osservazione di Jones è forse la più interessante: nell’ultima fase della sua vita il pittore americano sembra interessato soprattutto a creare degli spazi con la pittura ed è soprattutto nella Rohtko Chappel di Huston che si ritrovano echi ancora più evidenti del Michelangelo architetto.

SAVE THE DATE: GERHARD RICHTER ALLA TATE MODERN

Gerhard Richter, tate modern, london 2011
Gerhard Richter, Reader, 1994

Segnatevi queste date: 6 ottobre 2011  –  8 gennaio 2012. È inutile che fate quella faccia… no no no… non ditemi poi che non lo sapevate e che non avete fatto in tempo ad organizzarvi… Perché sarà certamente una mostra da non perdere quella di Gerhard Richter alla Tate Modern di Londra annunciata come la più importante retrospettiva degli ultimi vent’anni del grande pittore tedesco nella capitale britannica. Ci saranno tutti i suoi cicli più importanti: i photo-paintings, i quadri sulla Baader-Meinhof, giù giù fino a September del 2005, il grande quadro sull’11 settembre.

Io ho già prenotato il volo. E voi?