Qualcuno mi ha raccontato, di prima mano, di aver sentito Giuliano Ferrara definirlo “l’ultima agenzia italiana che dà ancora notizie”. Per non parlare della ancor più autorevole Ficcanaso che dice che se “tutto ciò che esiste è su Google”, “tutto ciò che è importante è su Dago”. Fatto sta che il celeberrimo sito di Roberto D’Agostino ne ha fatta di strada in sette anni di vita. In principio erano i banner con le donne nude, poi spariti e relegati in Dagosex, rimasero le notizie più o meno gossippare. Questa mattina ancora una svolta (a dire il vero annunciata ieri): Dago cambia concessionaria di pubblicità perché, nonostante i trillioni di contatti giornalieri, gli introiti pubblicitari non erano proporzionati al valore commerciale del sito.
Vabbeh, direte, e allora? Allora volevo osservare come Dago sia stato ormai non solo sdoganato dal mondo giornalistico della carta stampata, costituito al 100% da gente con la puzza sotto il naso, ma da oggi entra a far parte anche dei siti “internet fatti come si deve”. Aveve visto la trasformazione? Degna di una e-factory fricchettona. I banner al punto giusto, caratteri proporzionati, addirittura ora per per scorrere tutta la striscia di notizie occore fare tre clic (= spazi pubblicitari moltiplicati per 3). DrudgeReport, in qualche modo il suo papà americano, è rimasto brutto come una volta, Dago invece s’è fatto il lifting come una Sandra Milo qualunque. Insomma è stato normalizzato. È praticamente morto. Appartiere ormai al passato.