LA SFIDA NON E’ FUORI DI NOI

Dal Giornale del Popolo del 3 gennaio 2008

L’anno appena trascorso, dal punto di vista più acuto e sanguinoso della politica internazionale che è la guerra del terrorismo islamico all’Occidente iniziata l’11 settembre 2001, è stato caratterizzato da segnali discordanti che non permettono facili previsioni per questo 2008. I Paesi occidentali sono stati risparmiati da attentati terroristici: sicuramente per una maggior preparazione dei servizi di sicurezza interna dei vari Stati, ma anche perché al Qaida, pur continuando a giocare la propria “guerra asimmetrica” a tutto campo, ha investito forze e risorse per destabilizzare l’Iraq, nell’intento di ritrovare quel territorio “franco” perso nel 2001 con la cacciata dei talebani dall’Afghanistan. Controllando l’Iraq, i terroristi avrebbero goduto di un posizionamento strategico decisivo nel cuore dello scacchiere mediorientale oltre che del controllo di imponenti giacimenti di petrolio. A questo piano si sta opponendo, con sempre più successo, la nuova strategia del generale americano David Petraeus che nella seconda metà del 2007 è riuscito a ottenere prima un aumento di truppe sul campo e poi, grazie ad alleanze politiche con i diversi leader tribali, risultati importanti in termini di sicurezza e controllo del territorio. Dati alla mano, oggi al Qaida sembra in seria difficoltà e anche a Washington molti si stanno ricredendo sull’opportunità di un repentino ritiro delle truppe. Ma se sul fronte iracheno le cose sembrano migliorare sensibilmente, e ne è dimostrazione il significativo rientro dei profughi nel Paese e la ripresa della vita quotidiana a Baghdad, al Qaida e i suoi alleati talebani sono riusciti a far precipitare nel caos il Pakistan. Ora, con l’uccisione di Benazir Bhutto, Pervez Musharraf resta l’ultimo, fragile ostacolo alla presa del potere da parte degli estremisti islamici. La prospettiva di una potenza nucleare in mano agli amici di Osama bin Laden fa impallidire qualsiasi altra minaccia alla sicurezza internazionale.
Ma lo scontro con il terrorismo non è altro che il fronte bellico di un confronto in cui ad essere decisiva è più la consistenza dell’Occidente stesso che non la forza d’urto di chi, invidiandolo, lo avversa e lo contesta. Consistenza che risiede nell’unicum della società occidentale: il maturo rispetto per la persona umana, per la sua vita e i suoi diritti. Solo a partire da questa esperienza l’Occidente potrà essere capace, come lo è stato in passato, di incontrare e fecondare l’esperienza altrui. La sfida, dunque, è innanzi tutto all’interno delle nostre società, prima che nell’incontro imposto dalla globalizzazione con il mondo musulmano e quello orientale (cinese e indiano). La doppia stretta con la quale è confrontato (quella migratoria sul fronte musulmano e quella economica su fronte orientale) diventerebbe insostenibile se venisse meno quella spina dorsale costituita dalla propria identità fondata sulle radici giudaico-cristiane. L’Occidente, dunque, deve decidere: la tentazione autodistruttiva in odio a se stesso o una ripartenza sulle radici su cui si possa fondare una convivenza rispettosa del bene comune.
Anche qui lo scorso anno è stato caratterizzato da segnali discordanti. I primi arrivano dall’ambito della ricerca scientifica: se da una parte l’Inghilterra ha aperto la porta, per la prima volta, a sperimentazioni su embrioni ibridi (con il patrimonio genetico umano e bovino), dall’altra studi americani e giapponesi hanno dimostrato la possibilità di promettenti ricerche sulle cellule staminali senza per questo distruggere embrioni umani. Anche sul piano della legislazione sull’aborto Europa e America non hanno fatto segnare nessun passo avanti, (a parte dibattiti locali come quello italiano). Unica eccezione quella della Russia che da culla dell’aborto legale è diventato il primo Paese a fare qualche piccolo passo indietro restringendo le condizioni per l’accesso all’interruzione di gravidanza. Il 2007 è stato anche l’anno dei due “Family Day”: quello di Roma e quello di Madrid. Questi due eventi, che per la prima volta hanno mobilitato milioni di persone a difesa di qualcosa che fino a pochi decenni fa nessuno si sognava di mettere in discussione, hanno segnato un punto decisivo di presa di coscienza popolare. Su entrambe le coste dell’Atlantico sembra che le élites politiche non si rendano conto della decisività, non solo dal punto di vista elettorale, di questi temi e di quanto la famiglia sia davvero l’unico punto di rilancio di un io consapevole, libero e creativo. Solo riconoscendo la famiglia, tendenzialmente aperta alla fedeltà e alla fecondità, come il vero nucleo portante della società, l’Occidente sarà in grado di non perdere per strada se stesso. Non è un caso che nel suo messaggio per la Giornata mondiale per la Pace Benedetto XVI abbia segnalato lo stretto legame tra famiglia, società e pace. «Chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto familiare – scrive il Papa – rende fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale “agenzia” di pace».

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