L’ormai quasi-cardinale (è questione di giorni) Gianfranco Ravasi torna a parlare del padiglione vaticano alla Biennale di Venezia 2013. Lo fa in un’intervista a Roberto Beretta su Avvenire di oggi.
L’unico nome che torna ossessivamente è quello di Bill Viola. Non so se si era già parlato del tema della Genesi. Ecco il brano:
Lei aveva lanciato pure l’idea di un padiglione vaticano alla Biennale. Come mai non è stato fatto e che cosa avrebbe voluto metterci?
Sì, volevamo essere a Venezia già nel 2011 ma non siamo riusciti, e per due ragioni. Anzitutto la Santa Sede è tutto il mondo e quindi occorre scegliere gli artisti (pochi, 7 o 8, e non necessariamente credenti) dall’Africa, dall’Asia, dall’America Latina, oltre a un paio di europei; ne avevamo contattati alcuni, tra cui il buddhista americano Bill Viola, ma non ce l’avremmo fatta a garantire una rappresentanza davvero significativa. Seconda ragione: vorrei alzare la proposta al livello più alto possibile, mi piacerebbe instaurare un dialogo serio con l’arte contemporanea. In pratica, per la Biennale del 2013 chiederemo agli artisti di confrontarsi sui primi 11 capitoli della Genesi. So già che avremo puntato contro il mirino di tutti, quanti ci accuseranno di dar credito all’arte “degenere” e quelli che invece ci rimprovereranno una selezione troppo “religiosa”».Diciamolo tuttavia: di arte sacra si parla da decenni, ma i risultati non soddisfano nessuno. Come mai?
«Abbiamo alle spalle – come disse Paolo VI nel 1964, nel famoso discorso agli artisti nella Cappella Sistina – un divorzio radicale, consumatosi soprattutto nel Novecento: da un lato una gerarchia che si è accontentata semplicemente del ricalco del passato (vedi il neoclassico, il neogotico, eccetera) o dell’artigianato; dall’altro lato l’arte contemporanea che se n’è andata per proprio conto ed è diventata autoreferenziale o provocatoria. La nostalgia del sacro è in qualche modo rimasta, però l’unico riferimento alla religione è divenuto polemico o dissacrante: vedi la rana crocifissa o altre performance del genere. Si torna sui segni sfregiandoli. Ma – senza temi alti e grandi narrazioni – anche l’arte “profana” si ritrova povera. E questo è il momento di ritessere il dialogo. Sì, ci manca dialogo, e anche coraggio».
L’intervista completa la trovate qui.
parliamone….
ciao!
ida