LA VERSIONE DI SAATCHI E LA SECONDA SIGNORA RICHTERTHE SAATCHI’S VERSION AND THE SECOND MRS. RICHTER

Mentre la Tate Modern celebra Gerhard Richter, Charles Saatchi fa la sua mostra dedicata all’arte contemporanea tedesca: “Gesamtkunstwerk, New art from Germany”. Quello tra Saatchi e la Tate è un duello che dura ormai da due decenni e, secondo Jackie Wullschlager del Financial Times, ha visto il primo avere la meglio sulla seconda (Io non ne sono convinto: con la nascita della Tate Modern le cose sono cambiate).

La cosa curiosa è che tra gli artisti scelti dal collezionista c’è anche Isa Genzken, la seconda moglie di Gerhard Richter (si sposarono nel 1982 e divorziarono nel 1995). Isa Genzken non è un’artista qualunque (nel 2007 rappresentò la Germania alla Biennale di Venezia), ma mi sembra evidente che non regga in nessun modo il confronto con l’ex marito. Qui alcune immagini esposte alla Saatchi Gallery.

Isa Genzken, Bouquet, 2004
Bouquet, 2004

Isa Genzken, Mutter Mit Kind, 2004
Mutter Mit Kind, 2004

Isa Genzken, MLR, 1992 lacquer on canvas, 206 x 185 cm
MLR, 1992 lacquer on canvas, 206 x 185 cm

Isa Genzken, MLR, 1992, lacquer on canvas, 126 x 91.5cm
MLR, 1992, lacquer on canvas, 126 x 91.5 cm

While the Tate Modern celebrates Gerhard Richter, Charles Saatchi makes his German contemporary art exhibition: “Gesamtkunstwerk, New Art from Germany”. The relationship between Saatchi and Tate is a battle that has lasted two decades and, according to Jackie Wullschlager in the Financial Times, saw the first win over the second (I am not convinced with the birth of the Tate Modern things have changed).

The curious thing is that among the artists chosen by the collector is also Isa Genzken, Gerhard Richter’s second wife (they married in 1982 and divorced in1995). Isa Genzken is not any artist (in 2007 represented Germany at the Venice Biennale), but it seems clear that in any way she doesn’t stand the comparison with ex-husband. Here are some pictures exhibited at the Saatchi Gallery.

Isa Genzken, Bouquet, 2004
Bouquet, 2004

Isa Genzken, Mutter Mit Kind, 2004
Mutter Mit Kind, 2004

Isa Genzken, MLR, 1992 lacquer on canvas, 206 x 185 cm
MLR, 1992 lacquer on canvas, 206 x 185 cm

Isa Genzken, MLR, 1992, lacquer on canvas, 126 x 91.5cm
MLR, 1992, lacquer on canvas, 126 x 91.5 cm

FATE PRESTO. ANDY WARHOL E IL SOLE24OREFATE PRESTO. ANDY WARHOL AND ILSOLE24ORE

La prima del Sole24ore del 10 novembre 2011

Warhol e la serigrafia della prima del Mattino del 26 novembre 1980

Christian Caliandro su Artribune ricorda che il titolo a caratteri cubitali utilizzato oggi dal quotidiano di Confindustria è la citazione di quello fatto dal Mattino il 26 novembre del 1980 in occasione del terremoto in Irpinia (Roberto Napoletano, direttore del Sole viene proprio dal Mattino). Quella prima pagina fu presa da Andy Warhol per farne una serie di serigrafie giganti. Proprio la circostanza che originò il titolo dell’80 e il fatto che Warhol la assunse come icona mi fa pensare che il titolo del Sole sia fuori misura. Non foss’altro se si pensa ai circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti di allora.

The first of Sole24ore, 10 november 2011

Andy Warhol and the silkscreens "Fate presto"

Christian Caliandro (Artribune) remembers that the headline used today by “Il Sole 24 Ore” is the same used by  “Il Mattino” in the morning of 26 November 1980 on the occasion of the earthquake in Irpinia. That first page was taken by Andy Warhol to make a series of giants silkscreens. I think the title is out of place today. Think of some 280,000 displaced, 8,848 wounded and 2,914 dead of that time.

IL CATALOGO DI CATTELAN AL GUGGENHEIM. QUALCHE NOTACATTELAN AT THE GUGGENHEIM. THE CATALOG

Ho comprato la versione italiana del catalogo della mostra di Maurizio Cattelan al Guggenheim di New York. È un catalogo ordinario e anomalo insieme. Trattandosi di Cattelan stupisce l’aspetto ordinario, ovviamente. Ma partiamo dalla “normalità” (in senso cattelaniano). Il catalogo è anomalo perché è confezionato come un libro di medio formato, la copertina rigida rossa con le scritte incise in oro, la carta pregiata, i caratteri con le grazie. Un libro all’antica. Penso che l’idea sia legata al secondo aspetto, quello ordinario: al contrario della mostra – che potremmo definire “una retrospettiva impazzita” – il catalogo dà conto in modo ordinato e sistematico di tutte le opere dell’artista. Anzi, si tratta di una vera e propria monografia che la curatrice Nancy Spector dedica all’artista con rigore e austerità. A me pare che parallelamente al complicato lavoro di allestimento, Cattelan abbia commissionato (o accettato) un’opera di riflessione sulla propria carriera che non mi pare fino a oggi qualcuno avesse mai tentato. Nelle interviste dei giorni scorsi la Spector ha affermato che Cattelan non viene preso sul serio e con questo libro mi sembra che abbia voluto colmare questa lacuna. Del resto lo stesso Cattelan nel libro-intervista con Catherine Grenier afferma che “pochissimi critici sono stati in grado di fare un vero e proprio lavoro di scavo per arrivare a capire quello che faccio”. Qui 179 pagine su 255 ospitano un lungo saggio della Spector dai capitoli con titoli altisonanti: “L’estetica del fallimento”, “Dimensioni politiche”, “Dualismo e morte”, “Dall’irriverenza all’iconoclastia”, “Cultura dello spettacolo e immagine mediata”. Il testo è farcito di note ed è completato con una lunga bibbliografia. Il resto delle pagine sono il vero e proprio catalogo in cui di ciascuna opera è mostrata con una piccola immagine e un paragrafo di spiegazione circa le circostanze e spunti per l’interpretazione.

Il testo della Spector occorrerà leggerlo con attenzione. Io mi sono limitato a leggere le due pagine (troppo poche) dedicate a “La nona ora”, l’opera del papa colpito dal meteorite. Devo dire che, purtroppo, mi hanno molto deluso. Complice un tipico pregiudizio stereotipato per la Chiesa cattolica, l’analisi è abbastanza piatta e fa fuori le cose assai più profonde che Cattelan ha detto circa quell’opera sia nelle interviste in occasione della mostra milanese del 2010, sia nel libro delle Gernier. Peccato.

I bought the Italian version of the catalog of the exhibition by Maurizio Cattelan at the Guggenheim in New York. It is a catalog of ordinary and abnormal together. The catalog is anomalous because it is packaged as a book of medium size, hard cover with red inscriptions in gold, high-quality paper, with the characters through. An ancient book. I think the idea is linked to the second aspect, the ordinary one: contrary to the shows the catalog provides an orderly and systematic account of all the works of the artist. Indeed, it is a veritable monograph devoted to the artist, curator Nancy Spector wrote it with rigor and austerity. It seems to me that in parallel to the complicated set-up work, Cattelan has commissioned (or accepted) a work of reflection on his career so far I do not think anyone had ever attempted. In interviews in recent days Spector said that Cattelan is not taken seriously and this book seems to me that he wanted to fill this gap. Moreover Cattelan in the same book-length interview with Catherine Grenier says that “few critics have been able to do a proper job of digging to get to understand what I do”. Here are home to 255 of 179 pages of a long essay by Spector chapters with high-sounding titles: “The aesthetics of failure”, “political dimension”, “Dualism and death”, “From the irrilevance to the iconoclasm”, “Culture and entertainment mediated image”. The text is stuffed with notes and is completed with a long bibbliography. The rest of the pages are the real catalog in which each work is shown with a small picture and a paragraph of explanation about the circumstances and starting points for interpretation.

The text of Spector need to be read carefully. I have limited myself to read the two pages (too few) dedicated to “The Ninth Hour”, the work of the Pope struck by a meteorite. I must say that, unfortunately, I was very disappointed. Accomplice in a typical stereotypical prejudice for the Catholic Church, the analysis is fairly flat and take out things much deeper Cattelan said about this work is in the interviews for the exhibition in Milan in 2010, both in the book of Gernier. Too bad.

CATTELAN E IL PASTICCIACCIO BRUTTO AL GUGGENHEIMCATTELAN AND THE GUGGENHEIM MESS

Artribune ha pubblicato un po’ di foto della mostra di Cattelan al Guggenheim. Ad uscirne bene è Cattelan stesso più che le sue opere, a conferma del fatto che i pezzi dell’artista padovano traggono gran parte della loro forza dalla loro collocazione. Decontestualizzare opere come la Nona Ora, Him, o All significa sottrargli l’80% del loro fascino. Al Guggenheim Cattelan tenta di far saltare il banco facendo diventare un’opera sola l’insieme delle opere eseguite dagli inizi della sua carriera. La mostra andrebbe vista dal vivo, ma dalle immagini che arrivano da New York non so se la scommessa sia stata vinta. Anzi. Io purtroppo non potrò andare al Guggenheim e resterò tutta la vita con il dubbio (a meno che uno dei miei quattro lettori non mi offra un biglietto andata e ritorno per la Grande Mela).

Detto questo vi propongo un brano tratto dal recente libro-intervista di Cattelan scritto con Catherine Grenier nel quale si racconta della genesi della sua opera che preferisco.

Perché la perdita è legata all’idea della morte. È il venir meno dell’affetto, della persona a cui vuoi bene, di una persona che a volte desideri disperatamente. L’idea della perdita è legata a quella dell’amore. Forse la maggior parte delle mie opere parlano d’amore. Comunque, ricordo che volevo fare a tutti i costi un’opera sulla perdita. Qualcunque cosa facessi, l’idea della perdita era come un’ossessione: quando leggevo, quando andavo al cinema, persino quando mi trovavo con gli amici. Un giorno ho visto una serie di fotografie, probabilmente dello tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano, e quelle immagini assomigliavano a mille altre immagini di morte, immagini di morti senza nome, erano la morte. Avrebbe potuto essere la Seconda guerra mondiale, una guerra civile, una guerra dei tempi dell’antica Roma, una catastrofe qualsiasi, e dal momento che non era particolarmente vincolata a un contesto specifico, ho deciso di usarla come spunto. Successivamente ho pensato che quel tipo di rappresentazione richiedeva un materiale solido e senza tempo come il marmo e così è nato l’elemento centrale della mostra (All, 2008). Quando si tratta di tradurre un’immagine bidimensionale devi tenere in considerazione diversi aspetti: le dimensioni, il materiale, quanti elementi ci vogliono, come realizzarla… Poi pensi  a quello che altri artisti hanno fatto prima di te e a come l’hanno fatto. Per raffigurazioni di questo genere il riferimento al barocco era inevitabile, è impossibile non pensare subuto al Cristo velato di Napoli. Sono quindi andato sul posto per osservarlo da vicino, ma una volta arrivato mi sono reso conto del fatto che il discorso era molto diverso. Quella era soprattutto una prodezza artistica, uno sfoggio di bravura per rappresentare quello che c’è sotto il velo, un modo diverso dal solito di raffigurare la figura di Cristo. La cosa che volevo fare io era invece dell’ordine del “vedere non vedere”.
Se ci pensi in All non si vedono i cadaveri, si ha la sensazione che siano cadaveri, ma sotto il velo potrebbe esserci un’altra cosa. Evocare l’idea della morte è più interessante che mostrarla.

(Un salto nel vuoto – La mia vita fuori dalle cornici, Rizzoli, 2011, pagg 101-102)

Artribune has published some photos of the exhibition at the Guggenheim by Cattelan. I have the impression that this exhibition enhances the image of Cattelan more than his works, confirming the fact that the Paduan artist’spieces draw much of their strength from their location. De-contextualize works such as the Ninth Hour, Him, or All means subtract 80% of their charm.Cattelan Guggenheim tries to impress everyone by becoming a single work all the works carried out since the beginning of his career. The exhibition should be seen live, but from the images that come from New York I do not know if the bet was won. On the contrary. I unfortunately I can not go to the Guggenheimand will remain throughout life with doubt (unless one of my four readers did not offer me a return ticket to the Big Apple).

E LA POLAROID SI FECE ARTE SACRA: GIOVANNI CHIARAMONTE

Ieri è stato presentato dai cardinali Tettamanzi e Scola una nuova edizione dell’Evangelario ambrosiano illustrato con opere d’arte di artisti contemporanei. Gli artisti sono Nicola De Maria, Mimmo Paladino, Ettore Spalletti, Nicola Saporì, Nicola Villa e Giovanni Chiaramonte (le opere saranno in mostra a Palazzo Reale a Milano da 4 novembre 2011). Desta stupore il fatto che tra essi vi sia anche quest’ultimo visto che si tratta di un fotografo. Se è vero che la fotografia si è spesso confrontata con il tema religioso è anche vero che quasi mai essa sia stata utilizzata come vera e propria arte sacra.
Chiaramonte ha scelto di realizzare otto polaroid che illustrano i tempi liturgici. È curioso anche che abbia scelto proprio il mezzo della polaroid, molto usata da fotografi e artisti ma come mezzo “minore” o meglio “umile”. Ve ne propongo due in anteprima: solo quelle aprono il primo volume del lezionario e che illustrano il “Mistero dell’Incarnazione”.

In occasione ieri della presentazione il cardinal Angelo Scola ha detto alcune cose interessanti sul rapporto tra arte sacra e arte contemporanea. Cito dal sito di Famiglia Cristiana: «Siamo portati dall’artista a camminare dentro al Mistero, questa è la vera forza del carattere simbolico dell’arte, che dobbiamo riapprendere ad apprezzare abbandonando un certo razionalismo anche nel contemplare un’opera d’arte», ha affermato Scola durante conferenza stampa. «L’arte contemporanea ha una forza liberante perché ti sposta continuamente, ti porta in alto e queste illustrazioni hanno proprio questo compito». Il cardinale ha precisato poi che «il carattere simbolico dell’arte è mediatore di relazione, la stessa che vediamo in Gesù che crede nel Padre, perdona, discute, moltiplica pani e pesci, muore per noi, risorge, insomma si intrattiene con gli uomini». Il nuovo arcivescovo di Milano ha poi lasciato intendere di essere interessato al dialogo con l’arte contemporanea perché essa è «particolarmente adatta ad affrontare la questione della fede, perché risente del travaglio tipico del nostro tempo e dell’eterno problema della fede, quello di mediare la contemporaneità di Gesù con noi, di saltare cioé il grande fossato del tempo come lo chiama Lessing. Per questo tutta l’arte e la scienza sono interlocutori privilegiati della fede», ha concluso.

Yesterday was presented by Cardinal Scola and Cardinal Tettamanzi a new edition of the illustrated Evangeliario Ambrosiano with works of art by contemporary artists. The artists are Nicola De Maria, Mimmo Paladino, Ettore Spalletti, Nicola Samorì, Nicola Villa and Giovanni Chiaramonte (the works will be on display at Palazzo Reale in Milan from November 4, 2011). It is surprising that among them there is also a photographer (Chiaramonte). If it is true that photography has often been compared with the religious theme is also true thatit is almost never used as a genuine religious art.
Chiaramonte has chosen to make eight Polaroid illustrating the liturgical seasons. It is curious also that he chose the medium of Polaroid, much used by photographers and artists, but as a “minor” or rather “humble”. Here I show two preview.

Yesterday, on the occasion of the presentation, Cardinal Angelo Scola remarked some interestingpoints  about the relationship between religious art and contemporary art. I quote from the website of the magazine “Famiglia Cristiana”: “We are led by the artist to walk into the mystery, this is the real power of the symbolic nature of art, we must learn again to appreciate leaving a certain rationalism even in contemplating a work of art” , Scola said during a press conference.”Contemporary art has a liberating force because it constantly moves you, takes you up and these pictures have just this task.” The cardinal pointed out that “the symbolic nature of art is the mediator of the report, the same that we see in Jesus he believes in the Father, forgive, discuss, multiplying loaves and fishes, he died for us, rises again, in short, he has relationships with men”. The new archbishop of Milan has also suggested to be involved in dialogue with contemporary art because it is “particularly suited to address the issue of faith, because it reflects the onset of labor typical of our time and the eternal problem of faith, to mediate the contemporary of Jesus with us, that is, to jump “the big gap of time” as Lessing called him. For this reason all the arts and science are privileged partners of faith”, he concluded.

ARTISTI CINESI TOP SELLER, ECCO CHI SONO

Alla conferenza stampa di presentazione della mostra di Gerhard Richter alla Tate Modern, il grande pittore tedesco rispondendo a una domanda ha detto che il mercato dell’arte è “assurdo quanto la crisi bancaria” ed è “impossibile da capire ed è sciocco”. Qualcuno gli fa notare che è facile dire così da parte di uno che nel 2010 è stato il primo degli artisti viventi a comparire nella classifica dei 500 artisti che hanno venduto di più nelle aste di quell’anno (è al 16° posto con 192 opere vendute per 62milioni di dollari – nb: non sono soldi che sono andati in tasca a lui, ma ai venditori e alle case d’asta).

Detto questo è abbastanza impressionante dare un’occhiata ai nomi in cima alla classifica stilata da artprice.net. Non ci sarebbe nulla di stupefacente, ma io mi stupisco lo stesso: tra i primi dieci artisti della classifica 4 sono cinesi (gli altri sono in ordine: Picasso, Andy Warhol, Giacometti, Matisse, Modigliani, Lichtenstein). Io, nella mia immensa ignoranza, non ne ho mai sentito parlare. Non so voi. Io comunque me li segno. Un giorno, magari, ci metterò la testa per conoscerli e capirli.

Qi Baishi (齊白石, 齐白石, 1864-1957)

Secondo classificato dopo Pablo Picasso e prima di Andy Warhol, nel 2010 sono state battute 914 sue opere per un valore di 339 milioni di dollari.

Qi Baishi (齊白石, 齐白石, 1864-1957) Qi Baishi (齊白石, 齐白石, 1864-1957) Qi Baishi (齊白石, 齐白石, 1864-1957)

Zhang Daqian (張大千, 张大千, 1899-1983)

Quarto classificato tra Andy Warhol e Alberto Giacometti. 795 opere vendute per un valore di 304 milioni di dollari.

Zhang Daqian (張大千, 张大千, 1899-1983)

Zhang Daqian (張大千, 张大千, 1899-1983)

Zhang Daqian (張大千, 张大千, 1899-1983)

Xu Beihong (徐悲鴻, 徐悲鸿, 1895 – 1953)

Sesto classificato dietro Alberto Giacometti e prima di Henri Matisse. 248 opere vendute per un valore di 176 milioni di dollari.

Xu Beihong (徐悲鴻, 徐悲鸿, 1895 - 1953) Xu Beihong (徐悲鴻, 徐悲鸿, 1895 - 1953)

Fu Baoshi (傅抱石, 1904-1965)

Nono classificato tra Amedeo Modigliani e  Roy Lichtenstein. 203 opere vendute per un valore di 125 milioni di dollari.

Fu Baoshi (傅抱石, 1904-1965) Fu Baoshi (傅抱石, 1904-1965)

Fu Baoshi (傅抱石, 1904-1965)

CATTELAN AL GUGGENHEIM APPENDE LE OPERE COME SALAMI

Maurizio Cattelan, retropettiva Guggeheim
Premessa: forse è tutta una balla. Ma nel caso i primi a cascarci sarebbero stati quelli del New York Times che hanno dato la notizia in anteprima. La notizia: il 4 novembre inaugura al Guggenheim di New York la tanto annunciata retrospettiva di Maurizio Cattelan e a sorpresa – e come se no? – la mostra sarà allestista appendendo le opere a delle funi in mezzo al “buco” in mezzo alla spirale disegnata da Frank Lloyd Wright. Opere come salami. Giovanni Paolo II, Hitler bambino, i poliziotti a testa in giù, i cavalli (già appesi), Cattelan stesso… tutti appesi come dal salumiere.

And so it happens that beginning on Nov. 4 the Guggenheim will mount one of the strangest, most audacious exhibitions in its half-century history, suspending several thousand pounds’ — and many tens of millions of dollars’ — worth of high-end, internationally collected art from cables attached to a heavy-duty aluminum truss installed almost 90 feet in the air under the museum’s glass dome.

Sarà vero?

JULIAN SCHNABEL, LA SCHIENA DI PARKER E MICKEY ROURKE


Le polaroid giganti (ve le aspettavate piccole?) di Julian Schnabel arrivano in Italia alla Fondazione Forma di Milano. Io non le ho viste dal vivo, ma da quanto si può vedere in rete non sembra che costituiscano la parte migliore dell’opera del ragazzone di NewYork. Eppure quando sono incappato in questo ritratto di Mickey Rourke ho avuto un sussulto. La memoria è andata subito al racconto di Flannery O’Connor “La schiena di Parker”. Una coincidenza di certo. Ma dopo un primo sentimento di sorpresa a ben vedere la schiena dell’attore di “Nove settimane e mezzo”, “Franceso” e “The Wrestler” non sembra un luogo così strano dove trovare impresso il volto di Gesù.

DUE TEDESCHI E IL DUOMO DI MILANO

Oggi sono stato a Milano per l’ingresso nella diocesi del nuovo arcivescovo Angelo Scola. È stata una di quelle occasioni in cui si capisce bene perché il duomo esiste e perché è così bello. Vi propongo quattro immagini realizzate da due grandi artisti tedeschi che ne hanno subìto il fascino.

Gerhard Richter, Meiland Dom, 1964
Gerhard Richter, Mailand Dom, 1964
Gerhard Richter, Cathedral Square, Milan Domplatz, Mailand, 1968
Gerhard Richter, Milan Domplatz, 1968
Thomas Struth, Duomo di Milano (Facciata). Milano 1998
Thomas Struth, "Duomo di Milano, facciata", 1998

Thomas Struth, “Duomo di Milano, interno”, 1998.
Thomas Struth, “Duomo di Milano, interno”, 1998

IL MUSULMANO CHE PREGÒ DAVANTI A UN QUADRO DI ROTHKO

Mark Rothko, Light Red Over Black, 1957
Mark Rothko, Light Red Over Black, 1957

Tra la folla che accorse alla prima mostra inglese di Mark Roth nel 1961 alla Whitechapel di Londra ci fu anche un giovane musulmano che, entrato nella galleria, slotolò un tappetino e si mise a pregare. È questo il ricordo più fulminante di quella mostra evocato dall’allora direttore della galleria Bryan Robertson. Rothko aveva iniziato a dipingere campiture di colore dalla fine degli anni quaranta e da subito, attorno alla sua opera, si era creata una sorta di mitologia religiosa. Il fatto che un episodio di questo genere fosse capitato durante la sua prima mostra in Europa, dà l’idea di quanto questo fosse vero.
L’episodio è riportato dal Telegraph in una bella recensione di Alastair Sooke alla mostra “Rothko in Britain” che la galleria londinese ha organizzato per celebrare i cinquat’anni di idillio tra la Gran Bretagna e il suo pittore americano preferito.
In mostra, riferisce tra l’altro Sooke, sono esposti alcuni fogli dattiloscritti dall’artista Michael Canney nei quali riferisce un dialogo avuto con Rothko durante le settimane della mostra del ’61. “Pensi che i miei quadri siano sereni, come la vetrata di una cattedrale?” diceva Rothko. “Devi guardare meglio. Io sono il più violento tra i pittori americani. Dietro quei colori si cela il cataclisma finale”.