“State Of Play” di Kevin McDonald non è altro che un lungo requiem per il giornalismo e per la carta stampata. Lo è in modo involontario e ciò ne acuisce la drammatica tragicità. Come accade in tutti i periodi di inevitabile decadenza dell’impero, l’imperatore sponsorizza opere che ne celebrino la grandezza. È il racconto mitico, il genere del colossal. È un modo di sentirsi vivi quando, nei fatti, si è già morti. Così, come dicevo, una Messa per l’Incoronaziuone si trasforma in un’involontaria Messa da Requiem. Quando si è vivi si è impegnati a vivere, non si ha tempo per le autocelebrazioni, è quando si capisce che non si ha più qualcosa da dare che si incomincia ad impiegare il tempo a ricordare i bei tempi che furono e raccontare le proprie imprese. Quasi sempre evidenziando i propri meriti e tacendo sulle malefatte.
L’ultima sequenza di “State of Play”, su cui compaiono i titoli di coda, è l’acuto di questa musica da morto. Si tratta della sequenza che nei film sul giornalismo è solitamente posta come sottofondo ai titoli di testa (avviene nel capolavoro di Billy Wilder “Prima pagina”). Il regista mostra con inquadrature didascaliche tutto il processo di stampa di un quotidiano. In questo caso, però, la scena arriva dopo la celebrazione della figura del giornalista senza macchia che dimostra come il giornalismo “vecchia maniera” sia ancora vivo e vegeto. La giovane blogger che ha imparato la lezione di giornalismo dal vecchio lupo di redazione, quello che consuma la suola della scarpe, ammette candida: “Per leggere un’inchiesta così vale la pena sporcarsi le mani con l’inchiostro di un giornale”.
Va detta una cosa: se è di una musica da morto che si tratta, Kevin McDonald, Russell Crowe, Ben Affleck, Robin Wright Penn, Rachel McAdams la sanno suonare benissimo.
Carissimo, ti avevo consigliato un film che mi aveva colpito, e scopro che abbiamo aperto una tomba :-). Certamente quello che dici può essere vero per tante storie. A me era piaciuto per un motivo banale, oggi che ci piace (a tutti) passare per cinici. Ho trovato poco scontato, in un film del genere, che ad un certo punto, al politico corrotto che gli chiedeva che cosa mai volesse dimostrare con il suo lavoro, se pretendeva per caso di stabilire la verità, il giornalista risponde: "E perché no? Perché il giornale domani sarà carta per avvolgere il pesce? Ma io so che i miei lettori (attenzione, nn lui stesso per sua gloria, ndr) si aspettano la verità, per questo il mio compito è quanto meno cercarla (attenzione 2: non per forza scoprirla, e vincere un Pulitzer)". Mi pare un'affermazione onesta, che ne dici? Anche perché Russel Crowe nn ne esce benissimo, buggerato per quasi 120 minuti in un gioco di specchi, malgrado sia il giornalista "scafato". Che ne pensi?
Scoprire la verità? Io sono d'accordo con il commissario: "Questa non è una storia, questa è un'indagine". A ognuno il suo mestiere.
Comunuque uno dei pregi del film è che Russell Crowe conciato così mi ha fatto sentire magro e ben pettinato…
Che c'entra, se fosse per te, ti sentiresti più figo anche del Russel Crowe del Gladiatore :-)