MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE ROTHKOEXTREMELY LOUD AND INCREDIBLY ROTHKO

Motivi per cui mi pento di non essere ancora andato a vedere “Molto forte, incredibilmente vicino”, il film di Stephen Daldry tratto dall’omonimo romanzi di Jonathan Safran Foer.

Max von Sydow e Thomas Horn in una scena del film
Max von Sydow e Thomas Horn in una scena del film
Mark Rothko, White Over Red, 1957
Mark Rothko, White Over Red, 1957

Grazie a Maddalena per l’idea.

Reasons why I would like to see “Extremely Loud and Incredibly Close”, Stephen Daldry‘s film adapted from the novels of Jonathan Safran Foer.

Max von Sydow and Thomas Horn in a movie scene.
Max von Sydow and Thomas Horn in a movie scene.
Mark Rothko, White Over Red, 1957
Mark Rothko, White Over Red, 1957

Thanks to Maddalena for the idea.

ROTHKO: “NO, PER FAVORE, NON ILLUMINATELI CON GLI SPOT”

Ho già scritto sulla mostra alla Whitechapel Gallery intitolata “Rothko in Britain”. Ora che l’ho vista ci torno per aggiungere altri particolari curiosi.

La mostra è ospitata in una sola piccola stanza al secondo piano della galleria. Su una parete c’è il quadro “Light Red Over Black” (1957) che è il primo dipinto comprato da un’istituzione inglese al pittore americano. In una delle teche a fianco è esposto il carteggio che l’allora direttore della Tate Gallery, Norman Reid, intrattenne tra l’aprile e il giugno del 1959  con il gallerista di Rothko (Sidney Janis Gallery) per concludere l’affare. Il prezzo sarebbe stato di 5000 dollari, ma visto che erano quelli della Tate il gallerista accordò uno sconticino del 10 per cento.

Sull’altra parete sono esposte le foto in bianco e nero di Sandra Lousada che fu chiamata a documentare l’allestimento. Allora giovane fotografa era abituata a fotografare in bianco e nero, però quel giorno si portò anche dei rullini a colori. Con due macchine, una col bn e l’altra col colore, immortalò la grande mostra. Peccato che il curatore della mostra Bryan Robertson perse i negativi a colori, così di quella serie ne è rimasta negli archivi soltanto una.

Sulla stessa parete c’è un documento davvero interessante: è il foglio dattiloscritto con le indicazioni dettate da Rothko per l’allestimento della mostra. Io ne ho trascritto solo una parte perché dalla foto che ho fatto col cellurare non si capisce tutto (per i più curiosi ecco la foto: ).

WALLS: Walls should be made considerably off-white with umber and warmed by a little red. If the walls are too white, they are aleways fighting against the pictures which turn greenish because of the predominante of red in the pictures.

LIGHTS: The light, whether natural or artificial should not be too strong: the pictures have their own inner light and if there is too much light, the color in the picture is washed out and a distortion of ther look occurs. The ideal situation would be to hang them in a normally lit room – that is the way they were painted. They should not be over-lit or romanticized by spots; this results is a distortion of their meaning. They should either be lighted from great distance or indirectly by casting lights at the ceiling of the floor. Above all, the entire picture should be evenly lighted and not strongly.

Ultima cosa (che però non c’è in mostra). Durante il suo soggiorno in Gran Bretagna Rothko incontrò Giuseppe Panza che si interessò a cinque delle tele in un primo momento progettate per il ristorante Four Season di New York, i cosiddetti “Seagram Murals”. L’idea del conte, infatti, era quella di dedicare tutta la Villa di Biumo alle opere di Rothko. Panza in seguito diede perfino un acconto per quei quadri (circa 40mila dollari), ma poi la cosa non andò in porto e il Conte chiese di avere due tele “normali” (i Seagram costavano allora 20mila dollari l’uno).

In mostra ci sono proprio i documenti relativi alla trattativa della Tate per avere i “Seagram Murals”. L’ultima lettera è scritta dal direttore  Norman Reid nella quale scrive al suo interlocutore americano che i quadri tanto attesi erano arrivati a Londra lo stesso giorno in cui giunse se questa sponda dell’Oceano la notizia della morte di Rothko.

IL MUSULMANO CHE PREGÒ DAVANTI A UN QUADRO DI ROTHKO

Mark Rothko, Light Red Over Black, 1957
Mark Rothko, Light Red Over Black, 1957

Tra la folla che accorse alla prima mostra inglese di Mark Roth nel 1961 alla Whitechapel di Londra ci fu anche un giovane musulmano che, entrato nella galleria, slotolò un tappetino e si mise a pregare. È questo il ricordo più fulminante di quella mostra evocato dall’allora direttore della galleria Bryan Robertson. Rothko aveva iniziato a dipingere campiture di colore dalla fine degli anni quaranta e da subito, attorno alla sua opera, si era creata una sorta di mitologia religiosa. Il fatto che un episodio di questo genere fosse capitato durante la sua prima mostra in Europa, dà l’idea di quanto questo fosse vero.
L’episodio è riportato dal Telegraph in una bella recensione di Alastair Sooke alla mostra “Rothko in Britain” che la galleria londinese ha organizzato per celebrare i cinquat’anni di idillio tra la Gran Bretagna e il suo pittore americano preferito.
In mostra, riferisce tra l’altro Sooke, sono esposti alcuni fogli dattiloscritti dall’artista Michael Canney nei quali riferisce un dialogo avuto con Rothko durante le settimane della mostra del ’61. “Pensi che i miei quadri siano sereni, come la vetrata di una cattedrale?” diceva Rothko. “Devi guardare meglio. Io sono il più violento tra i pittori americani. Dietro quei colori si cela il cataclisma finale”.

MARK ROTHKO 4SEASONS RESTAURANT=POMPEI+MICHELANGELO

Jonathan Jones racconta una storia che non sapevo e che trovo davvero intrigante. È la storia che vedete qui sopra e che lega inaspettatamente una delle opere più importanti del Novecento, il ciclo per il Four Seasons di New York di Mark Rothko, con i dipinti della Villa dei Misteri di Pompei e il vestibolo della Bibblioteca Laurenziana di Firenze di Michelangelo. Il critico del Guardian lo racconta in modo più elegante e convincente, ma permettetemi lo stesso di sintetizzare la vicenda. Mark Rothko era un fan de “La nascita della tragedia” in cui Friedrich Nietzsche spiega che il teatro greco ha avuto origine dai riti dionisiaci. Mentre stava pensando al ciclo di quadri che sarebbe dovuto servire per le pareti dell’elegante ristorante del Seagram Building di Manhattan, Rothko fa un viaggio in Italia e si reca a Pompei e in particolare visita la Villa dei Misteri famosa per i suoi affreschi raffiguranti proprio dei riti dionisiaci. I rossi e i neri di quegli affreschi, probabilmente, sono quelli che ritroviamo nei quadri del ciclo ora conservato alla Tate Modern.  L’altra visita di cui Rothko parla è quella alla Biblioteca laurenziana. Jones dice che Rothko fu impressionato, in particolare, dalle finestre cieche del vestibolo della bibblioteca (uno dei grandi capolavori di Michelangelo). Finestre che, anziché portare luce, bloccano la curiosità del visitatore. La sala della Tate con i quadri di Rothko – dice sempre Jones – è come se riproducesse l’effetto claustrofobico e disorientante del vestibolo bicromatico di Michelangelo. L’ultima osservazione di Jones è forse la più interessante: nell’ultima fase della sua vita il pittore americano sembra interessato soprattutto a creare degli spazi con la pittura ed è soprattutto nella Rohtko Chappel di Huston che si ritrovano echi ancora più evidenti del Michelangelo architetto.